Caro Salvini non serve il Codice rosso ma la Convenzione di Istanbul

Marisa Sartori e Simona Rocca: due nuove vittime di femmincidio che dimostrano come il codice rosso sia un fallimento

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice di DonnexDiritti Network e International Women



Nel giro di due giorni si sono succeduti tre gravissimi episodi legati alla violenza maschile sulle donne: Marisa Sartori, 25 anni, è stata uccisa dall’ex marito a Curno, in provincia di Bergamo, mentre la sorella che ha cercato di difenderla è stata gravemente ferita; a Vercelli Simona Rocca, 40 anni, è stata picchiata in un centro commerciale dall’ex fidanzato che ha tentato di ucciderla dando fuoco alla macchina con lei dentro, e ora è gravissima al Cto di Torino; e infine a Desio, in provincia di Monza e Brianza, un padre ha tentato di uccidere i figli di 11 e 12 anni per vendetta contro la moglie da cui si stava separando, minacciando di far saltare in aria la casa in cui si era barricato con loro, satura di gas.

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Marisa Sartori

Episodi che non sono nuovi alla cronaca di questo Paese ma su cui ancora nessuno riesce a prendersi la reale responsabilità di intervenire in maniera efficace. Solo chiacchiere, verrebbe da dire, soprattutto sentendo il ministro dell’interno Salvini che urla a gran voce l’approvazione di una legge, quella del Codice rosso, che non solo è un iter preferenziale per le denunce delle donne già esistente ma che, come dimostrato, non è assolutamente la chiave di soluzione del femminicidio in Italia. Sappiamo invece bene che

il 70% delle donne uccise in Italia aveva denunciato i propri assassini ben prima di essere uccise

perché cercavano di fuggire da una violenza da cui non sono state protette e su cui le istituzioni che sapevano, hanno sottovalutato la pericolosità di questi uomini, e non hanno considerato in maniera adeguata il fattore di rischio. Perché? Marisa Sartori aveva denunciato l’ex marito e aveva paura, tanto che non rimaneva mai da sola: una precauzione che non è stata sufficiente a salvarla da Arjoun Ezzedine, che l’ha colpita al cuore più volte fino ad ucciderla. Mario D’Uonno, ex guardia giurata di 54 anni, aveva precedenti per stalking che sono un forte campanello d’allarme malgrado spesso siano procedimenti archiviati perché non considerati così gravi per impreparazione della stessa magistratura non formata sulla violenza di genere e sulle sue dinamiche.

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Simona Rocca

Quello che Salvini vuole farci passare come un problemino che si risolve con un lasciapassare già esistente, ha invece una complessità che prevede una serie di interventi mirati su cui investire un denaro che il governo invece continua a non destinare se non in parte: scelte di chi in realtà disconosce la violenza di genere e ne è assolutamente connivente. Senza dubbio l’unica azione reale per affrontare il femminicidio in Italia sarebbe implementare la Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere, una convenzione redatta dal Consiglio d’Europa che è stata ratificata dall’Italia e che la società civile ha sempre sostenuto, ma che in realtà è ancora lettera morta nella vergogna generale, anche nei tribunali e nelle procure.

Una mancanza che pesa sulla coscienza dello stato e di quelle istituzioni che hanno permesso tutti i femminicidi in cui vi era una segnalazione o una denuncia, e che non hanno fatto nulla per impedire quelle morti, e che oggi continuano a far finta di non sentire cercando di deviare lo sguardo altrove.

Morti che sono sulla coscienza di chi sapeva e non è intervenuto, e di chi ha il potere istituzionale e materiale di intervenire in maniera efficace e completa, e non lo fa

E questo perché per essere efficaci è necessario rimuovere le cause del femminicidio che sono radicate nelle relazioni di potere storicamente ineguali tra uomini e donne, in quanto la violenza sulle donne non è solo un atto criminoso ma il frutto di un pensiero che basandosi sul genere discrimina storicamente e in maniera sistematica le donne in tutti i campi: nel lavoro in famiglia, per strada, a partire dall’educazione e da quei libri di testo che studiamo a scuola e in cui le donne sono completamente cancellate, come se non fossero mai state protagoniste di una storia fatta di soli uomini. Ma per combattere questi stereotipi, che sono alla base della violenza, occorre una strategia che va ben al di là dello sbanderiato Codice rosso, le cui indicazioni sono chiaramente contenute proprio della Convezione di Istanbul.

Qualche giorno fa al I municipio di Roma le donne della società civile che protestavano nei confronti del senatore Pillon in quanto promotore del ddl 735, sono state aggredite fisicamente da parte di Alessandro Vallocchia, figura della destra romana e sostenitore di Pillon. Lì un avvocato romano, Gianluca Sigismondi, ha apostrofato con insulti le donne presenti chiamandole “zoc**le” e ha spiegato alla giornalista Angela Gennaro che la legge italiana ha inventato “due reati: i maltrattamenti in famiglia e lo stalking” che in realtà “non esistono”; parole uscite dalla bocca dei sostenitori di un disegno di legge che vorrebbe riformare la famiglia legittimando la violenza domestica come un ingrediente normale all’interno di un nucleo famigliare dove il maschio comanda, la donna subisce in silenzio, e i figli sono di proprietà esclusiva del padre che ne può disporre come vuole, anche se violento, abusante e maltrattante.

Una proposta misogina e punitiva per donne e bambini, che legittima la violenza minimizzandola e disconoscendola, di cui la Lega Nord e il ministro Salvini, insieme a Pillon, si sono fatti portavoce accogliendo le istanze proprie di quegli uomini che ritengono normali le condotte violente, le quali, come sappiamo, potrebbero in ogni momento sfociare in un femminicidio. Allora perché poi scandalizzarsi se una donna ogni due giorni muore per mano di questi uomini?

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