In Italia il governo mette in discussione il diritto di famiglia, soprattutto per quello che riguarda il divorzio e l’affido condiviso già inserito nella legge 54 del 2006. Un progetto su cui Simone Pillon, il senatore leghista neocatecumenale col papillon, ha messo la faccia attirando su di sé un numero impressionante di critiche dopo aver presentato in commissione giustizia il disegno di legge 735 in sede redigente. Una testo che ha richiamato l’attenzione anche delle Nazioni Unite che hanno inviato una lettera al governo italiano dove la Special Rapporteur dell’Onu sulla violenza di genere Dubravka Šimonović, e la Presidente del Gruppo di Lavoro sulle discriminazione contro le donne, Ivana Radačić, chiedono chiarimenti rilevando una
“potenziale regressione nell’avanzamento dei diritti delle donne e la loro protezione dalla violenza domestica”
in quanto “Il disegno di legge introdurrebbe disposizioni che potrebbero comportare una seria regressione e alimentare la disparità di genere e la discriminazione basata sul genere e privare le sopravvissute di violenza domestica di importanti protezioni”. A cui si aggiunge la “grave preoccupazione” per la sua incompatibilità “con gli obblighi dello Stato italiano in materia di diritti umani”.
Critiche che sono arrivate anche dalla società civile, con la nascita di comitati No Pillon in tutta Italia, e la rivolta dei Rete dei centri antiviolenza (DiRe) hanno lanciato una petizione per il ritiro del ddl e mobilitazioni su tutto il teritorio nazionale sia il 10 che il 24 novembre con una manifestazione in cui quasi 200 mila persone in piazza gridavano “No al ddl Pillon” con striscioni e cartelli inequivocabilmente contro il senatore e la sua riforma. A non essere d’accordo però sono anche gli amici di partito di Pillon tra cui lo stesso ministro della famiglia, Lorenzo Fontana, e la ministra Giulia Bongiorno che parlano di correzioni al testo: idea supportata per il momento anche dai 5stelle dove, malgrado le aspre critiche di Vincenzo Spadafora, sottosegretario con delega alle pari opportunità, e dello stesso vicepremier Di Maio, serpeggia l’idea di poter emendare l’articolato rendendolo accettabile.
Ma è veramente emendabile un disegno tanto criticato?
A chiedere di buttare nel cestino questa proposta non è solo la società civile e le donne, ma i maggiori esperti sul tema: magistrati esperti di diritto di famiglia, giudici che ogni giorno trattano casi di separazione in tribunale, procuratori che si occupano di violenza di genere, avvocati di famiglia esperti di diritti dei minori e psicologi dell’età infantile. Il Cismai (Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia), che considera il ddl pillon “un pericoloso passo indietro nel percorso di tutela dei minori”, l’Aiaf (Associazione Italiana Avvocati per la famiglia e per i minori) per cui il DDL “si pone in contrasto con uno dei principi fondamentali alla base del diritto di famiglia”, l’Unione Nazionale Camere Minorili per i quali “la riforma presenta un grave rischio di compromissione delle garanzie di crescita dei minori”, e l’Anamef (Associazione nazionale avvocati mediatori familiari) in cui c’è “forte preoccupazione” per le “palesi criticità di applicazione”, fino alle avvocate di Differenza donna, al Movimento per l’infanzia e l’Associazione Nazionale degli Avvocati Mediatori Familiari, l’ Istituto Italiano di Diritto Collaborativo e Negoziazione assistita, la Società italiana dei mediatori familiari, tutte sigle presenti la mattina del 18 dicembre al convegno “Riforma della famiglia e ddl Pillon. I doveri degli adulti e i diritti dei bambini” che si svolge al senato organizzato da Artcolo21 e Magustratura democratica, con la partecipazione dell’Ordine dei giornalisti del Lazio che ne ha fatto un momento formativo.
In questi giorni, oltre al parere negativo dell’Associazione nazionale magistrati riguardo la cancellazione del 570 bis che il ddl Pillon vorrebbe, la Cassazione ha emanato, il 10 dicembre scorso, una sentenza che contesta implicitamente i presupposti del ddl 735. Dirimendo la questione di una coppia ad altissima conflittualità e di un padre che ha fatto ricorso contro l’affidamento in via prevalente alla madre chiedendo di passare con la piccola lo stesso numero di giorni della ex moglie, la Corte ha respinto la richiesta dicendo che
“Va ricordato che il principio di bigenitorialità si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse, ma ciò non comporta l’applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi
di frequentazione del minore, in quanto l’esercizio del diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore”. E questo dato che il ruolo materno e quello paterno sono complementari, non equivalenti, e non sempre l’uno può sostituire l’altra: tempi rigidamente uguali rispondono al bisogno del genitore di affermare i propri diritti in un conflitto, non certamente alle esigenze del figlio.
Questo disegno ha quattro pilastri:
1 – la mediazione familiare obbligatoria a pagamento con un piano dettagliato che potrebbe prevedere, nel caso non ci si metta d’accordo, anche un coordinatore familiare (figura tutta da inventare);
2 – tempi perfettamente paritetici con un minimo di 12 giorni al mese presso ciascun genitore e il bambino che andrà avanti e indietro con la valigia anche in caso di affido esclusivo a un genitore per comprovate ragioni, come scritto negli articoli 11 e 12;
3 – il mantenimento diretto che esclude l’assegnazione della casa (eventualmente chi rimane paga l’affitto all’altro) e l’assegno, per cui ogni genitore provvederà ai bisogni sul momento, mentre i figli maggiorenni che hanno bisogno di soldi dovranno andare dal magistrato, con la cancellazione quindi del 570 bis del codice penale che punisce chi non adempie agli obblighi di mantenimento;
4 – e infine l’introduzione della cosiddetta alienazione parentale e dei falsi abusi ampiamente disciplinata agli articoli 17 e 18.
In una generale perdita di discrezionalità da parte del giudice, che dovrà applicare quanto stabilito nel piano genitoriale, e in un complessivo aumento della difficoltà a separarsi e divorziare che potrebbe far desistere molte coppie rendendo inaccessibile un diritto e rendendo più poveri i suoi attori con una mediazione obbligatoria e un eventuale coordinatore familiare, pagati di tasca propria dalle parti. Da tenere presente, a questo proposito, che in Italia una donna su tre rimane a casa dopo il primo figlio, mentre chi ci torna lo fa part time e con stipendi dimezzati, per l’assenza, ormai quasi totale, di un welfare che metta in condizioni di lavorare a tempo pieno entrambi i genitori senza lasciare i figli.
Una crisi in cui, quando i coniugi si sperano, si creano fortissimi squilibri per cui la condizione economica peggiora vertiginosamente, con dati di povertà che danno al 50,9% per le mamme single e 40,1% per i papà: cifre non prese in considerazione dal ministro dell’interno Salvini che intende aiutare solo i padri in difficoltà promettendo loro 400 euro al mese e dimenticando completamente le mamme che hanno invece una percentuale di povertà anche più alta.
Un problema strutturale che il ddl Pillon non risolve togliendo la casa coniugale al minore
che ne ha diritto al di là del genitore che vi rimane (a volte la casa resta al bambino con i genitori che si alternano), né lasciando al caso il mantenimento dei figli e togliendolo raggiunta la maggiore età, fino alla cancellazione a 25 anni mentre magari ancora vanno all’università (lo stesso Pillon si è laureato a 26 anni).
Alcuni dei punti, che vedremo in maniera approfondita, riguardano ciò che ha fatto chiedere il suo ritiro ai centri antiviolenza e chiarimenti dalle Nazioni unite, preoccupati dell’esposizione di donne e minori alla violenza domestica e ai ricatti dell’offender, che in questi casi è sempre il padre, attraverso l’applicazione delle norme presenti del ddl 735.
Nell’articolo 11 i casi di violenza domestica che escludono l’affido condiviso sono equiparati alla qualità degli spazi abitativi degli ex coniugi, come se avessero la stessa gravità, e anche se maltrattamenti e abusi escludono l’affido condiviso in caso di violenza “comprovata e motivata”, l’articolo 12 rende possibile la frequentazione di quel genitore in quanto anche di fronte a casi gravi che prevedono l’affidamento esclusivo al genitore accudente, il testo tutela la bigenitorialità fino all’ossessione, costringendo il bambino a frequentare da solo e con pernottamenti il genitore non affidatario anche se abusante o maltrattante.
A completare però l’esposizione dei bambini alla violenza ci sono gli articoli 17 e 18, in cui si presuppone che i bambini non siano in grado di discernere e di avere un proprio pensiero autonomo in quanto nel caso si rifiutino di stare con un genitore, il magistrato può togliere la responsabilità genitoriale all’altro, pur in assenza di “evidenti condotte”, perché ritenuto colpevole di “alienazione parentale”. Inaudita altera parte il piccolo sarà prelevato e messo in una struttura specializzzata, o addirittura affidato all’altro genitore in maniera esclusiva, anche se quest’ultimo aveva perso l’affido per violenza e abuso. Si tratta di fatto di articoli in cui viene considerata irrilevante la
violenza domestica: un fenomeno che colpisce l’80% dei 7 milioni di donne che in Italia la subiscono
in nome di falsi abusi che sono in realtà una piccola minoranza.Una teoria, quella dell’alienazione parentale, inventata nel 1985 dallo psichiatra americano Richard Gardner, per il quale tutte le accuse di violenza e abuso sarebbero in realtà false perché frutto di manipolazione della madre nei confronti del padre, che è nella quasi totalità dei casi l’offender. Teoria rifiutata dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici e dalla Società italiana di pediatria, dichiarata inesistente dall’Istituto superiore di sanità, classificata non utilizzabile dalla sentenza di Cassazione n. 7041 del 20 marzo 2013, e non presente nel D.S.M. (Diagnostic and Statistical Manual of mental desorders). Respinta da esperti della Corte d’appello di Inghilterra e Galles che raccomandano di non usarla, l’alienazione parentale è stata vietata dal governo francese nel V Piano nazionale antiviolenza in quanto “nega lo status di vittima invertendo le responsabilità” senza essere stata mai riconosciuta da alcun organismo scientifico ufficiale. Pseudo teorie molto pericolose per i minori che in Italia le associazioni di padri separati hanno cercato in tutti i modi di far entrare in una legge dai tempi della presentazione della legge 54 sull’affido condiviso con disegni di legge e proposte alla camera e al senato attraverso diversi schieramenti, senza mai riuscirvi.
Un tentativo, quello delle false accuse che è partito per occultare casi di pedofilia a partire da Gardner stesso, poi allargato alle accuse di violenza domestica dove l’alienazione parentale è usata già adesso nei tribunali italiani per scagionare maltrattanti e abusanti, e accusare le madri che denunciano violenza domestica: un iter che viene usato nelle Ctu (Consulenze tecniche d’ufficio) da psicologi, psichiatri e periti a cui il giudice si appoggia delegando anche troppi i propri strumenti di indagine che invece ha in mano, e che attraverso una capillare infiltrazione, hanno ormai invaso i tribunali stessi con la scuola di Gardner, tanto da creare forti disequilibri tra il civile e il penale, come ha fatto notare lo stesso Csm, per cui anche in presenza di una condanna per maltrattamenti e una ordinanza di allontanamento dalla casa coniugale, un padre può avere l’affido condiviso .
Un disegno di legge su cui la maggioranza del parlamento vuole portare avanti facendo emendamenti su cui Pillon si è reso disponibile rivedendo i punti che riguardano la mediazione obbligatoria e il tempo paritario, senza però toccare l’intero impianto che rimane in piedi malgrado sia per molti esperti un impianto irrealizzabile, pericoloso, inattuabile e quindi inemendabile perché anche anticostituzionale.
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Introduzione di Luisa Betti Dakli al convegno “Riforma della famiglia e ddl Pillon. I doveri degli adulti e i diritti dei bambini” organizzato da Articolo21 e Magistratura democratica al senato. Clicca qui per avere l’esito del convegno.