Il 25 novembre nella Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha ricordato che “non basta denunciare la violenza” ma che «bisogna rimuovere le cause e le condizioni che danno luogo a tutto questo: un lavoro culturale, educativo, per le istituzioni e per tutti settori della società compresa la scuola, il giornalismo, la comunicazione, le università”.
Sulla stessa linea la Presidente della Camera, Laura Boldrini, che nello stesso giorno ha organizzato un incontro di 1.400 donne proprio nell’aula di Montecitorio, ha ricordato quanto l’informazione giochi un ruolo importante in un processo di trasformazione che prima di tutto deve essere culturale e che vede scuola e media come motori di questo cambiamento.
Un processo lento che se anche ha prodotto qualche passo in avanti negli ultimi anni, continua a essere sempre lento e faticoso
Perché se è vero che una corretta narrazione della violenza maschile sulle donne è una forma di contrasto a quella stessa violenza, il linguaggio e gli stereotipi con cui questa violenza si racconta nei media, sono ancora eccessivamente legati a un immaginario che vede la violenza come un fatto inevitabile nella vita di una donna descritta ancora troppo spesso come un oggetto di desiderio sottoponibile a un controllo maschile dato quasi per scontato.
Per questo, e nella ricerca di un linguaggio corretto per la narrazione di una realtà che coinvolge le donne a livello planetario, l’Ordine dei Giornalisti del Lazio chiude l’anno il 21 dicembre con il convegno – formazione “Il Manifesto di Venezia: come raccontare il femminicidio” che si svolgerà alla camera – sala dei Gruppi via Campo Marzio 78 – dalle 9.30 in poi. Una formazione necessaria quando ci rendiamo conto di leggere ancora di donne raccontate come responsabili di violenze da loro stesse subite a causa di gelosia, raptus, passione che sono loro stesse a provocare nell’uomo che agisce nei loro confronti. Un racconto che non solo distorce la realtà ma che crea una ulteriore sofferenza alle sopravvissute e uccide due volte le vittime di femmicidio. Un fenomeno mondiale che ancora viene descritto come un fatto isolato o come un delitto passionale – che non esiste nel nostro codice penale – tralasciando che una donna viene uccisa nel momento in cui cerca di sottrarsi al potere maschile, e non per gelosia.
Uomini che per la maggior parte agiscono portando con sé armi: coltelli, pistole, accette e che non agiscono in preda a una momentanea perdita di controllo
A questo proposito è importante segnalare il decalogo per una corretta narrazione della violenza redatto dal sindacato internazionale dei giornalisti (IFJ) che è stato fatto proprio dall’ODG, sulla cui traccia la FNSI, insieme a Giulia giornaliste (che recentemente ha pubblicato il manuale “Stop violenza: le parole per dirlo”) e Cpo Usigrai – su proposta del Sindacato Giornalisti Veneto – ha elaborato il Manifesto di Venezia che propone 10 semplici quanto efficaci regole per non cadere nei tranelli di stereotipi ancora ben presenti nell’immaginario di queste narrazioni. “Noi, giornaliste e giornalisti firmatari del Manifesto di Venezia – si afferma nel documento di lancio del Manifesto – ci impegniamo per una informazione attenta, corretta e consapevole del fenomeno della violenza di genere e delle sue implicazioni culturali, sociali e giuridiche.
La descrizione della realtà nel suo complesso, al di fuori di stereotipi e pregiudizi, è il primo passo per un profondo cambiamento culturale della società e per il raggiungimento di una reale parità”. Quindi rispetto della deontologia, rifiuto al sensazionalismo e a cronache morbose, nonché alla divulgazione di dettagli inutili alla notizia, no all’uso di termini fuorvianti come “amore”, “raptus”, “gelosia” per crimini dettati dalla volontà di possesso e annientamento.