Nel silenzio quasi assoluto in questi mesi i comuni italiani si sono dati da fare per contrastare il disegno di legge 735, presentato dal senatore Simone Pillon a settembre, la cui discussione in commissione giustizia è ricominciata due giorni fa dopo più di 100 audizioni, con un dibattito che si prevede acceso dato che parteciperanno anche tutti i senatori e le senatrici che lo desiderino (anche se non fanno parte della commissione), dopo tutte le critiche di esperti e dell’associazionismo contro questa riforma della famiglia. Un dibattito, quello sul ddl Pillon, che continua a essere rovente e che si prepara a colpi di scena con un parlamento spaccato a metà dato che a volere il suo ritiro senza emendamenti non sono solo Pd, +Europa, Leu e parte di Forza Italia, ma molti parlamentari del M5S, soprattutto alla camera, che hanno giurato che mai e poi mai voteranno quel testo neanche emendato.
Un fronte sempre più vasto che si rafforza mentre Pillon è impegnato tra il Congresso mondiale delle famiglie di fine marzo a Verona (anche quello super contestato) e la stesura di un testo unico che raggruppi al suo ddl anche gli altri presentati sul tema di affidi e famiglia al senato. In giro per l’Italia infatti fioccano più numerose che mai, mozioni comunali e regionali che bocciano la sua creatura: oltre a Roma e Torino, che sono le grandi città ad aver approvato documenti contro il ddl Pillon con l’unione di Pd e M5S, ci sono una miriade di comuni, grandi e piccoli, che hanno lavorato sodo a questo fronte trasversale. A respingerlo, nei giorni scorsi, sono stati il comune di Fiumicino (con i voti di Pd, M5S e del consigliere di Crescere Insieme mentre Lega e FdI hanno abbandonato l’aula), e Savona, dove la mozione è passata con 18 voti a favore e 8 contrari. Insieme a loro hanno votato mozioni simili Ravenna, che ha bocciato il Pillon con il sì di 20 consiglieri e 2 astenuti (Lega Nord), ma anche i comuni di Parma, Padova, Ferrara, Lucca, Modena, Savona, e Bergamo che già a gennaio aveva approvato un documento per chiedere il ritiro del ddl 735 con 19 favorevoli e 8 contrari.
Ordini del giorno contro Pillon che sono stati presentati anche in piccoli comuni come Fondi, Casale Monferrato, Pomezia, Nemi, Vetralla, Merano, senza tralasciare consigli regionali importanti come quelli della Toscana e della Sardegna. Un M5S che ha votato praticamente compatto contro il ddl Pillon insieme al Pd, ad eccezione di Carpi, dove la mozione è passata con l’unione di Pd, gruppo misto, lista civica, Forza Italia e Fratelli d’Italia, mentre i pentastellati si sono astenuti. Ma le vere eccezioni sono altre. A dicembre è passato in sordina che la Regione Piemonte ha votato una mozione presentata dalla consigliera Silvana Accossato (Leu), che chiedeva il ritiro del ddl Pillon e approvata con i voti della maggioranza consiliare compresi quelli della Lega Nord. Uno scacco che si è ripetuto il 13 marzo nel consiglio comunale di Fano con una mozione votata all’unanimità, compreso il centro destra.
Qui la candidata sindaco Lucia Tarsi, che rappresenta il centro destra di Fano (Lega Nord, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Udc) alle elezioni amministrative che ci saranno in primavera insieme alle europee, è intervenuta durante la seduta comunale parlando del ddl 735 come di un disegno di legge che non può passare e, citando Antigone, ha chiamato all’unità per fare in modo che si mettesse «davanti alla legge degli uomini, la legge del cuore di tutte le donne» perché, secondo Tarsi, non si può «strumentalizzare l’identità della donna per fini politici». A lei ha fatto eco l’altra candidata sindaca, Marta Ruggeri del M5S, dicendo chiaramente: «Noi voteremo favorevolmente questo odg (ndr, contro il ddl 735), e lo facciamo in modo sereno e convinto perché anche dal nostro punto di vista il ddl Pillon è indice di una regressione culturale che il nostro Paese non può permettersi», richiamando alla memoria anche le diverse affermazioni di contrarietà del sottosegretario con delega alle pari opportunità dei cinquestelle, Vincenzo Spadafora.
Nessuna dichiarazione invece da parte del terzo candidato sindaco, Massimo Seri del Pd, che pur appartenendo allo schieramento che quella mozione l’ha proposta, ha preferito lasciare posto alle dichiarazioni della Presidente del Consiglio comunale, Rosetta Fulvi (Pd), che ha ripreso le parole di Marta Ruggeri aggiungendo che «la politica è scelta e si può sempre decidere da che parte si vuole stare» al di là delle sigle, e ricordando che anche dentro il parlamento ci sono «tante donne di diversi schieramenti che non sono d’accordo con questo ddl che contiene cose devastanti”, come il considerare “mamme e bambini bugiardi a prescindere, nel momento in cui denunciano un uomo violento». Una mozione che, oltre a chiedere il ritiro del disegno di legge, contiene l’impegno del comune di Fano al«contrasto dell’alienazione genitoriale» – la pseudo teoria inventata dallo psichiatra Richard Gardner e mai riconosciuta da nessun organo scientifico o istituzionale ma contenuta nel ddl Pillon e usata già adesso nei tribunali – e l’impegno «a inviare questo ordine del giorno all’Anci Marche, al fine di poterlo diffondere presso altri Comuni».
A scrivere e proporre questo documento è stata Sara Cucchiarini, consigliera comunale e componente della commissione pari opportunità della Regione Marche, che ha iniziato a leggere qualcosa sul ddl Pillon quando è approdato al Senato notando «quanto poco si conoscessero gli effetti possibili di una proposta del genere», ma che di certo non si aspettava un risultato del genere in consiglio comunale in quanto «anche se auspicavo un’ampia convergenza sulla mozione per il ritiro – ha detto – non avrei mai immaginato di avere il voto favorevole dell’intero Consiglio, all’unanimità». Una mozione che in questi giorni ha avuto numerose richieste per l’utilizzo del testo, per far approdare la richiesta di ritiro del ddl Pilllon ad altri comuni come Pesaro, Urbino, Inverigo e Sesto Fiorentino.