Mentre sui social se ne parla ancora dopo una settimana dall’evento, sui giornali italiani la notizia è stata quasi trascurata sia prima ma soprattutto dopo. Si tratta della Women’s March che malgrado non abbia raggiunto i numeri di due anni fa, quando Washington fu invasa contro il nuovo presidente Trump mentre s’insediava alla Casa Bianca, ha portato comunque anche quest’anno piazze piene in tutto il mondo: da Washington a tutti gli Stati Uniti, l’onda delle donne è arrivata a travolgere le città dell’America Latina, Europa, Africa, Cina, Indonesia, Australia, Nuova Zelanda.
Una marea di uomini e donne scesi in strada per rivendicare i diritti contro fascismi e sovranismi
che dilagano in una politica razzista, xenofoba, che erige muri contro la diversità e trova il nemico anche dove non c’è. Un movimento, quello delle donne, che si delinea sempre di più come l’unico vero movimento internazionale attivo e in contrasto con politiche di erosione dei diritti a livello globale.
Dalla Women’s March e il #metoo, nati negli Stati Uniti, al One Billion Rising fino al grande movimento di Non una di meno, che nasce in America Latina e che ora prepara lo sciopero generale dell’8 marzo, il contagio delle femministe ha invaso aree geografiche e culture anche molto diverse tra loro, per un movimento globale che riesce a mobilitare milioni di persone grazie all’attivismo femminista locale di ogni Paese che non ha mai smesso di lavorare ed elaborare nuove strategia, e che adesso sta esplodendo come muraglia contro l’estendersi di politiche fasciste dentro e fuori dai governi i tutto il mondo.
Un movimento, quello delle donne, che si è sincronizzato con alcuni appuntamenti mondiali fissi, dal 25 novembre contro la violenza sulle donne, agli scioperi dell’8 marzo fino appunto alle marce di fine gennaio e di febbraio, per una mobilitazione che in definitiva copre quasi tutto l’anno (le mobilitazioni cominciano a ottobre e si allungano fino alla fine di aprile), in una elaborazione continua di azioni e di “agitazione permanente” (come recita lo slogan di NUDM), sia tutte insieme sia ognuna con le proprie specificità secondo il Paese di appartenenza. Una consapevolezza politica e un lavoro sui diritti delle donne che non ha mai smesso di crescere e avanzare, e che oggi dà i suoi frutti in un momento difficilissimo per l’umanità con l’incalzare delle destre oltranziste e xenofobe, e l’incombente cancellazione di molti diritti conquistati negli anni, per un movimento che malgrado le profonde diversità, si muove all’unisono su alcuni temi comuni e fondamentali.
Primo fra tutti quello della violenza maschile sulle donne con tutte le implicazioni che un tema del genere implica a partire dagli stereotipi culturali e dall’evidente squilibrio di rapporti di forza tra uomini e donne nella società, nel lavoro, nella politica e nelle relazioni in genere. In particolare la Women’s March, nata due anni fa contro l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca e contro le sue politiche sessiste, razziste e xenofobe, si è posta a capo di un movimento che comprende la difesa dei diritti in maniera ampia, battendosi non solo per i diritti delle donne ma anche per i diritti civili in genere:
un movimento che può essere considerato intersezionale e femminista internazionale
Un movimento guidato da donne e da associazioni femministe che è riuscito a sopravvivere malgrado le divisioni interne presenti già prima delle accuse di antisemitismo nei confronti Tamika Mallory, co-presidente della Women’s March, che aveva elogiato pubblicamente Louis Farrakhan, leader musulmano afroamericano della Nation of Islam, che – come riporta il Post – nell’evento dello scorso febbraio, quello a cui partecipò Mallory, disse che «gli ebrei potenti» erano suoi nemici.
Le donne della Women’s March hanno però preso le distanze da tale affermazioni e hanno rilasciato una serie di dichiarazioni contro l’antisemitismo, scusandosi più volte: un passaggio che però non è stato evidenziato abbastanza nel polverone di polemiche che hanno sommerso la marcia di quest’anno, andando a incidere sulla partecipazione alle manifestazioni, tanto che alcune città hanno deciso di non manifestare e a New York ci sono state due marce separate così come a Filadelfia. Un duro colpo inferto al movimento, proprio alle porte dell’evento, con accuse rilanciate in maniera virale dopo che il 10 dicembre un articolo apparso su Tablet, rivista di cultura ebraica indicava, tra le altre cose, Mallory e Perez della Woman’s March, come due sostenitrici della teoria che gli ebrei avrebbero avuto una particolare responsabilità nella schiavitù degli africani.
A New York, secondo il New York Times, la marcia che ha avuto più successo è stata quella nell’Upper West Side di Manhattan organizzata da Women’s March Alliance che nei giorni prima dell’evento aveva maggiormente insistito sulle posizioni contro ogni ipotesi di antisemitismo, mentre a poca distanza, a Foley Square, si svolgeva la manifestazione della National Women’s March rimasta troppo morbida sulla questione.
negli USA le manifestazioni sono state anche una celebrazione delle donne elette al Congresso
un risultato avuto grazie anche a quelle donne diventate politicamente attive per la prima volta dopo la marcia del 2017 e grazie anche al #metoo. La senatrice democratica Kirsten Gillibrand, che ha recentemente annunciato la candidatura alla presidenza nel 2020, è apparsa in Iowa e la deputata Ayanna Pressley ha parlato a Boston, ma a infiammare gli animi è stata la giovane congressista Alexandria Ocasio-Cortez, che ha parlato a New York con la Women’s March Alliance,
con un discorso in cui ha messo l’accento sulla giustizia, economica e sociale, ricordando che “giustizia significa che essere educati non è stare in silenzio perché a volte la cosa più giusta da fare è scuotere il tavolo”. “Noi non molleremo – ha detto Ocasio-Cotez – e se nel 2018 ci siamo prese la Camera dei Rappresentati, nel 2020 ci prenderemo la Casa Bianca e il Senato. E so anche che qui oggi è presente la futura Presidente”.
A Londra migliaia di donne hanno sfilato gridando “Women Demand Bread & Roses”, slogan preso in prestito dalle donne lavoratrici americane nei primi anni del Novecento, mentre a Berlino donne e uomini hanno marciato dalla Porta di Brandeburgo ad Alexanderplatz, e a Roma il raduno si è svolto in Piazza Santi Apostoli.
Qui sono intervenute sulla situazione italiana, femministe della società civile mettendo l’accento sulle politiche sessiste, razziste e xenofobe dell’attuale governo formato da Movimento 5 stelle e Lega Nord. Il tema era la violenza maschile contro le donne con l’hastag #EndViolenceAgainstWomen e, tra le altre, sono intervenute Lella Paladino, presidente di D.i.Re (Rete nazionale dei centri antiviolenza), Loretta Bondi, della Casa Internazionale delle Donne e della cooperativa Be Free, Luisa Rizzitelli, di Rebel Network e di Assist, Elisa Ercoli di Differenza donna, che hanno sottolineato una politica di governo che alza i muri dell’odio e che applica un respingimento pericoloso anche per il contrasto alla tratta degli esseri umani provocando un ritorno indietro in tema di trafficking.
Quello che emerge è che le persone che vengono sequestrate in mare dal governo italiano fuggono da guerre e da situazioni di tortura che questo governo sembra ignorare, bambini e donne che hanno subito sevizie e che secondo il diritto internazionale devono essere accolte e non respinte e riportate indietro in quei Paesi da cui fuggono per salvarsi la vita. In barba a tutte le convenzioni sui diritti umani firmati anche dall’Italia, queste persone vengono lasciate in mare, comprese donne incinta e bambini piccoli, per non parlare di tutte quelle imbarcazioni che affondano provocando quella che ormai può essere definita la strage del Mediterraneo.