#STOPVIOLENZA Le tolgono il figlio con la forza: madre alla sbarra per aver denunciato metodi disumani

Una donna si separa, ha l'affido condiviso del bambino ma quando denuncia presunti abusi sessuali del padre, dopo la confessione del figlio che la procura archivia, il tribunale la accusa di essere "alienante" e il minore viene affidato al padre, mentre lei si dovrà presentare in udienza per calunnia dopo aver accusato servizi sociali e forze dell'ordine di aver prelevato il figlio da casa con la forza e con l'abbattimento della porta del bagno dove il piccolo si era barricato

Stopviolenza
Stopviolenza
è una task force della società civile con lo scopo di monitorare la piena applicazione della Convenzione di Istanbul nelle istituzioni per il contrasto alla violenza maschile sulle donne, alla violenza subita e/o assistita su persone di minore età e alla vittimizzazione secondaria di tali soggetti nei Tribunali e nell'ambito istituzionale.



La task force #STOPVIOLENZA è una rete della società civile con lo scopo di monitorare l’operato dei tribunali e del governo per il contrasto reale alla violenza maschile sulle donne, alla violenza subita e/o assistita su persone di minore età e alla vittimizzazione secondaria di tali soggetti nei Tribunali, sulla base della piena applicazione della Convenzione di Istanbul e delle raccomandazioni della Commissione d’inchiesta sul femminicidio al Senato XVIII legislatura.

Le esperte e gli esperti della task force prendono in esame, volta per volta, sentenze pubbliche di tribunali sul territorio nazionale in cui si rintracciano gravi violazioni in materia di diritti umani volti a rivittimizzare donne e bambini/e

Violazioni che si riferiscono a iter giudiziari che si concludono spesso con sentenze che rivittimizzano queste donne, già vittime di violenza domestica, e i loro figli minori vittime di violenza assistita o subita (sessuale, fisica e/o psicologica).

Oggi andiamo ad analizzare il caso di una donna che dopo essersi separata e aver denunciato il sospetto di abusi sessuali sul figlio, viene rivittimizzata in tribunale in quanto non creduta, accusata di essere alienante, privata del bambino che viene portato via con l’impiego della forza da casa mentre piange e si dispera perché non vuole essere portato via da casa sua e dai suoi affetti, per essere consegnato al padre che vive lontano dalla città dove il piccolo è cresciuto.

E sebbene la Cassazione abbia dato mandato alla Corte d’appello per l’ascolto del minore, che nel frattempo è cresciuto, da parte del giudice per capire le motivazioni del rifiuto del padre e mettendo in discussione quanto deciso in primo grado e in appello, la signora è imputata per calunnia in quanto ha osato ribellarsi e denunciare le modalità del prelievo forzoso del figlio, tra l’altro ripreso in video dagli stessi servizi, dove si sente nitidamente il pianto disperato del minore che si è chiuso in bagno per sfuggire all’assalto, porta che verrà divelta con la forza, mentre la madre viene trattenuta dagli agenti nell’ingresso di casa sua.

In 6 punti: che cosa andiamo a cercare in queste sentenze

1 – Assenza di istruttoria in cui rivalutare anche gli atti di archiviazione nel penale delle denunce di abuso sessuale sul minore;

2 – Presenza di pregiudizi per cui la madre viene valutata condizionante e ostativa sulla base della falsa teoria dell’alienazione parentale;

3 – Giudizio del rifiuto del minore come immotivato e inconsistente mutuato sempre dalla teoria dell’alienazione parentale;

4 – Nessun ascolto nel procedimento civile, diretto e indiretto, del minore riguardo il suo rifiuto a stare con il padre;

5 – Principio della bigenitorialità prevalente sull’interesse del minore e in ogni caso disatteso in quanto al solo vantaggio del padre;

6 – Prelievo traumatico del bambino effettuato dalle forze dell’ordine.

Il caso

Il rapporto sentimentale della coppia inizia all’estero. La donna viene in Italia dopo un anno ma la convivenza non è felice e con la nascita del bambino le cose peggiorano. La signora si laurea in scienze infermieristiche e inizia a lavorare in ospedale, e solo dopo pochi anni la convivenza si interrompe dopo aspre divergenze. Viene regolato il rapporto di coppia con conclusioni congiunte dal tribunale di Roma, dove la coppia viveva. In seguito alla separazione il padre torna in Sicilia mentre la signora si trasferisce con il figlio prima a Pordenone e poi a Pisa per ragioni di lavoro.

Le conclusioni sono affidamento condiviso con collocamento nell’abitazione della madre e il diritto di visita del padre

L’iter giudiziario

Nel 2018 vengono chieste modifiche da parte dell’uomo e il provvedimento stabilisce che il padre possa tenere con sé il figlio a fine settimana alternati, indicando alla madre dove condurrà il minore e che nei periodi festivi il padre tenga con sé il figlio anche in Sicilia dove lui risiede. In seguito ci sarà però una denuncia per abusi sessuali da parte della donna nei confronti dell’uomo, dopo le rivelazioni fatte alla madre da parte del minore, e da quel momento il bambino, che aveva mostrato disagio al rientro delle visite dal padre anche in precedenza, rifiuta il rapporto con lui.

la signora riferisce che il bambino “era diventato taciturno, insicuro e che la notte aveva talmente tanti incubi da dover mettere la sbarra laterale nel letto”

Nel 2020 la signora viene sentita dal collegio in I grado e sul bambino riferisce che “il padre l’avrebbe toccato nelle parti intime” e che lei ha anche registrato le dichiarazioni del figlio. Alla domanda del presidente sulle condizioni nelle quali era avvenuta la registrazione, la stessa dichiarava: “Stavo mettendo a letto mio figlio e lui ha cominciato a toccarmi il seno, gli ho detto di non toccarmi il seno e lui si è arrabbiato chiedendomi perché e quindi ho cominciato a registrarlo ponendogli delle domande”. Il minore viene sentito ma dimostra disagio a rispondere e “mostra un consistente imbarazzo e difficoltà a esprimersi”, per cui l’esame si chiude dopo 10 minuti. Il procedimento penale per presunti abusi sessuali viene archiviato così, nonostante l’opposizione della madre.

Le sentenze *

Sulla base dei criteri esposti sopra, la task force #STOPVIOLENZA ha preso in esame:

  • il Decreto del TRIBUNALE DI PISA SEZIONE CIVILE, composta dai seguenti Magistrati: Maria Giuliana Civinini, Presidente relatore; Daniele Mercadante, Giudice; Santa Spina, Giudice;
  • l’Ordinanza della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE composta dai seguenti Magistrati: dott. Isabella Mariani, Presidente Relatore; dott. Alessandra Guerrieri, Consigliere; dott. Leonardo Scionti, Consigliere;
  • il Decreto della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE composta dai seguenti Magistrati: Isabella Mariani, Presidente; dott. Daniela Lococo, Consigliere Rel.; dott. Alessandra Guerrieri, Consigliere;
  • Il ricorso alla CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE, collegio composto dai magistrati: dott.ssa Maria Acierno, Presidente Relatrice; dott. Umberto Luigi Cesare Giuseppe Scotti, Consigliere; dott.ssa Giulia Iofrida, Consigliere; dott. Francesco Terrusi. Consigliere;

e ha rintracciato in esse gravi criticità in materia di violazione di diritti e vittimizzazione secondaria di donne e minori relativamente ai seguenti fatti.

DECRETO DEL TRIBUNALE DI PISA

Dalla lettura di questo primo decreto si evince la mancanza di un’attività istruttoria finalizzata ad acquisire le prove del cattivo rapporto padre/figlio e della paura del bambino a incontrarlo, vederlo e sentirlo, come testimoniato da insegnanti, assistenti sociali, consulenti. Manca un’analisi autonoma dei fatti denunciati secondo il criterio specifico della prova nei procedimenti civili, vale a dire del criterio del più probabile che non diversamente dell’oltre ogni ragionevole dubbio, del procedimento penale.

Mancanza di istruttoria 

Manca cioè la rilettura degli atti che hanno portato all’archiviazione del penale per abusi sessuali, e in particolare l’audizione del minore e dell’insegnante. Dalla richiesta di archiviazione del PM prendiamo visione dell’audizione protetta del minore il quale “nonostante apparisse a suo agio, è risultato chiuso e poco disposto al racconto in generale, rispondendo in modo stringato (sì/no/non mi ricordo) ed è apparso soprattutto molto cauto e diffidente nel riferire informazioni relative alla propria sfera familiare”.

L’unica cosa che il bambino ammette è che il padre gli dà degli schiaffi

Alla fine l’ascolto protetto si conclude dicendo: “Va bene, rimango un pochino con il dubbio che tu non ci abbia raccontato delle cose perché hai paura che noi le raccontiamo al babbo”. Se il dubbio che il bambino neghi per paura non è sufficiente a proseguire l’azione penale, per il civile costituisce invece il viatico per aprire un’istruttoria e valutare i silenzi del minore come reazioni di paura, dando valore al suo rifiuto senza liquidarlo come immotivato. In più c’è la testimonianza dell’insegnante che riporta come il bambino abbia cambiato atteggiamento verso il padre in concomitanza con le confidenze alla madre e con la denuncia.

Testimonianza dell’insegnante che riporta come “in occasione delle scorse vacanze natalizie, vi sia stato un repentino cambiamento da parte del minore nel rapporto con il padre, passando improvvisamente dall’essere contento di incontrarlo, a non volerlo più vedere né sentire”

Ma il GIP accoglie la richiesta di archiviazione del PM rigettando il ricorso materno e motiva come segue: “Il Giudice ha ritenuto quale elemento non controverso che dagli atti, e in particolare dalle dichiarazioni rese dal minore in sede di audizione protetta, non sono risultati comportamenti sessuali nei suoi confronti da parte del genitore. A fronte di tale circostanza, che ha indotto il PM alla richiesta di archiviazione, le eccezioni dell’opponente sono costituite da una parte nel mancato accertamento della capacità a testimoniare del minore; dall’altra ii suo rifiuto di incontrare il padre considerata circostanza significativa di una reazione del minore ad abusi subiti. (…) Con il risultato che in entrambe le ipotesi nessun elemento è utile a sostenere in giudizio l’infamante accusa nei confronti del padre. (…) Tutto ciò posto non può che concludersi per l’archiviazione del procedimento”.

In conclusione il penale non ha dato una parola definitiva sulla vicenda, come invece hanno inteso sia il tribunale di I grado che la Corte di appello, in quanto non ha sciolto i dubbi sull’accertamento dei fatti: cosa che doveva essere rilevata nel civile a salvaguardia dell’interesse superiore del minore. A cui si aggiunga il commento del GIP che parla di “infamante accusa”, mostrando un pregiudizio rispetto alle denunce di siffatta specie e di propendere per un’accusa ingiustificata: una presa di posizione inadatta al ruolo super partes come deve essere quella di un giudice, e quindi basata su pregiudizi.

Pregiudizi verso la madre e la Pas

A fronte della decisione di non approfondire i fatti c’è, come ormai prassi nei tribunali, quella di accusare la madre di essere malevola e di mettere su il bambino contro il padre con false accuse, per cui nel decreto si legge: “Richiamati i precedenti provvedimenti con cui si prescriveva lo svolgimento di incontri protetti tra padre e figlio, e si raccomandava alla madre la frequenza di un percorso di supporto alla genitorialità nonché di adottare comportamenti collaborativi, astenendosi dall’influenzare direttamente o indirettamente il bambino circa la volontà di vedere il padre”. Raccomandazioni in cui è evidente il richiamo alla falsa teoria dell’alienazione parentale per cui è la madre che influenza il figlio a non vedere il padre, che inventa fatti gravi e infamanti per sottrarre il figlio al padre, senza una seria indagine sui possibili abusi subiti.

Il rifiuto del figlio come risultato dell’alienazione parentale

Il riferimento alla PAS si esaspera quando il tribunale considera il rifiuto del padre da parte del minore come immotivato, e dato che non ha interpretato né indagato a fondo le sue risposte come tipicamente traumatiche, si appella a un non provato (e non provabile) condizionamento materno dovuto alla sua malafede e quindi alla sua manipolazione sul bambino, basato sul principio per cui se il minore non vuole vedere il padre, la colpa è sicuramente della madre.

Le relazioni dei consulenti e dei servizi riportano: “Ai primi due incontri protetti il bambino si rifiutava di scendere dalla macchina per incontrare il padre, mentre agli incontri successivi il minore avrebbe acceduto ai locali del Centro affidi solo per ribadire di non voler né vedere il padre né parlargli. (…) All’incontro fissato tra i genitori e il minore, il bambino si rifiutava nuovamente di scendere dalla macchina, scoppiava a piangere e tornava a casa con la madre”. Una situazione che non essendo stata indagata nei fatti ha portato alla conclusione di dover togliere il bambino alla madre, anche con la forza, per darlo al padre in maniera definitiva, seguendo ormai il copione dei tribunali che non volendo indagare le cause dei rifiuti dei minori applicano pedissequamente la mai dimostrata teoria dell’alienazione parentale.

La bigenitorialità prevale sull’interesse del minore

La bigenitorialità si palesa nel decreto come obiettivo da realizzare in modo inderogabile, nonostante le accuse e il rifiuto del minore. La madre è ritenuta non collaborativa e condizionante (riferimento alla teoria della PAS), ma anche bugiarda perché accusata di fornire false rappresentazioni degli eventi. Si rileva al contrario un pregiudizio positivo sul padre che dovrebbe garantire la bigenitorialità, ma come il padre possa garantirlo non si evince da alcuna relazione nonostante sia stato oggetto di denunce di stalking e persecuzioni nei confronti della ex-partner. Denunce che hanno dato l’avvio a procedimenti ancora in atto.

Per cui, come si legge nel decreto: “Considerato che il miglior interesse del minore può essere realizzato solo facendo sì che lo stesso abbia una relazione sia con la madre che con il padre, che la madre non garantisce il rispetto del diritto di visita da parte del padre e che, date le false rappresentazioni degli eventi da lei fornite, nessuna collaborazione si ritiene possa esserci da parte della stessa per il futuro. Ritenuto che è nell’interesse del bambino la ripresa di un rapporto con il padre e che non è nel suo interesse restare isolato nella bolla familiare della madre, che ha influenze negative sul suo sviluppo armonioso ed equilibrato avendo la stessa sino ad ora contributo a rafforzare e radicalizzare nel figlio l’idea di non voler vedere il padre. Ritenuto, pertanto, che il minore debba restare affidato ad entrambi i genitori come espressione del diritto alla bigenitorialità e che, tuttavia, deve esserne disposto il collocamento presso il padre quale ultimo tentativo di ricostruzione della bigenitorialità, con esercizio del diritto di visita della madre con le stesse modalità sino ad ora previste per il padre. Dispone l’affido congiunto del minore a entrambi i genitori, con collocamento dello stesso presso il padre”.

Prelievo del bambino con l’uso della forza

Per cui alla fine il decreto non solo toglie il bambino alla madre per darlo in affido al padre che il bimbo rifiuta, ma chiede la forza pubblica e il prelievo forzoso del minore, quindi il giudice: “Autorizza i Servizi Socio-psicologici, per il caso in cui i genitori non si presentino o non siano collaborativi nel passaggio del collocamento dalla madre al padre, a prelevare il minore ove si trovi, anche a scuola, e a affidarlo al padre, il tutto con l’assistenza della forza pubblica. Richiede la Polizia di Stato di supportare le attività di esecuzione dei Servizi Sociali, raccordandosi preventivamente con i medesimi”.

Il prelievo, avvenuto in modo traumatico, si è realizzato con dispiegamento di forze dell’ordine all’interno dell’abitazione del bambino creando un clima di terrore di cui la Corte di appello però considererà responsabile la madre che doveva convincere il bambino a lasciare il suo domicilio e accedere al collocamento presso il padre, lasciando ex abrupto oltre la madre, genitore di riferimento, anche il suo contesto abituale di vita malgrado la sua ferma volontà di non andare.

Dalla trascrizione di parte della videoregistrazione del prelievo, si apprende che il bambino rivela il comportamento abusante del padre

Inoltre dal commento del perito trascrittore dei file video registrati dalle forze dell’ordine, si apprende che: “Il bambino per tutto il corso della registrazione piange con diversi gradi di intensità, per la maggior parte del tempo piange disperato e in maniera inconsolabile e urlando”. Il bambino poi chiedendo di parlare a più riprese da solo con l’educatrice, senza la presenza di altri e soprattutto senza la presenza del padre presente durante il prelievo, rivela gli abusi: “Ho subito tante tante cose (…) mi toccava le parti intime di notte quando dormivo, ma questo è non glielo dire a lui”.

A questa rivelazione l’educatrice dice (dando le spalle alla telecamera) : “Ho capito la tua paura, so che sono successe delle cose anche tra babbo e mamma”, e il bambino risponde: “No, con mamma no”. Ma l’educatrice riprende: “No, sono successe cose fra mamma e babbo, non ti sto dicendo che sia successo qualcosa di particolare, ma il punto sai qual è? Però mi devi guardare”, e il bambino disperato: “No, per favore per il mio bene voglio vedere mia mamma“ (Piange disperato portandosi le mani sul volto e buttandosi con i viso sul letto). Eppure, malgrado il racconto e la disperazione, l’educatrice continua a dire che deve andare con il padre e infine dice: “Bisogna che tu abbia il coraggio e la forza di accettare questa cosa in questo momento”.

Non è chiaro come mai una operatrice di un servizio pubblico non dia peso a questa rivelazione di abuso e non abbia immediatamente chiamato il giudice, o altra autorità, per rappresentare la situazione e ottenere l’immediata interruzione della procedura di prelievo. Nessun provvedimento è stato preso successivamente dall’AG a tutela del minore lasciando una testimonianza così importante priva di riscontro.

ORDINANZA CORTE D’APPELLO DI FIRENZE

La madre va in appello e anche nell’Ordinanza in appello, che rifiuta la richiesta di sospensiva del decreto, appaiono numerosi pregiudizi verso la donna: colpa della madre, anni di condizionamento, assoluta necessità e priorità della presenza della figura paterna rispetto a quella materna, denunce di abuso come strumento per gettare discredito sul padre.

Persiste cioè l’atteggiamento di marcata colpevolizzazione della madre che ha rivolto “infamanti accuse” al partner e si rivolgono implicite accuse alla donna affermando che: “le dichiarazioni del figlio erano palesemente artefatte”

Afferma la Corte che “il provvedimento di collocamento presso il padre, mantenendo l’affidamento condiviso, sia stato determinato da un atteggiamento di assoluta negazione della madre non del diritto del padre a avere un rapporto con il proprio figlio, ma del figlio ad avere un rapporto con il proprio padre biologico. La sequenza di comportamenti dalla separazione della coppia a oggi, culminati nella reiterata denuncia del padre del minore anche per delitti ignominiosi (né è sufficiente dichiarare di avere denunciato per la tutela del minore posto che le dichiarazioni del figlio erano palesemente artefatte), hanno comportato il rifiuto della figura paterna da parte del minore. Ciò è dipeso certamente dal comportamento materno, che si è articolato in anni di condizionamenti”.

DECRETO CORTE D’APPELLO DI FIRENZE

Anche nel decreto in appello si replicano le medesime criticità del I grado e in più si rileva:

Carenza e travisamento della prova

Non vengono considerate le relazioni dei servizi sociali e degli specialisti psicologi incaricati ma solo le interpretazioni parziali delle stesse che confliggono con il dato letterale. Relazioni che davano atto invece della collaborazione della madre agli incontri, segnalando le criticità del bambino che non voleva vedere il padre, situazione su cui nessuno ha indagato le reali ragioni se non al fine di addossare alla madre la responsabilità in quanto “alienante” seppur collaborativa (un controsenso).

Carenza della motivazione del collocamento dal padre

Secondo il tribunale il miglior interesse il minore non era avere una relazione con la madre e con il padre ma salvaguardare esclusivamente il rapporto con il padre allontanando il minore dalla madre, sua figura di riferimento, malgrado la psicologa avesse espresso chiaramente il pericolo del distacco della stessa. Il tutto senza un adeguato supporto scientifico ma solo sulla base di impressioni deduzioni e preconcetti, e quindi applicando la falsa sindrome di alienazione parentale e il suo fondamento ascientifico.

La Corte non oppone una disamina puntuale alle censure sollevate dalla donna e il suo rigetto si fonda su un’analisi colpevolizzante del comportamento della donna basato sulla relazione prodotta dal servizio di neuropsichiatria infantile e riportato con ampi stralci nel decreto. La Corte, nel solco della ordinanza di rigetto della sospensiva, si diffonde in un’interpretazione colpevolizzante del comportamento della donna, giungendo però a rendere visibile una contraddizione presente nell’ipotesi avanzata:

“Perché la donna che aveva un vantaggio genitoriale sull’uomo come collocataria, insiste nel suo comportamento ostativo e motivato malamente con accuse infondate e infamanti per l’uomo?”

La risposta della Corte è nel solco di un pregiudizio misogino: “Per dare sfogo al suo desiderio di possesso totale del minore”. Una mera ipotesi priva di ogni addentellato con la realtà specifica di questa donna ma anche con la realtà generale della condizione materna. Mentre la spiegazione più probabile e logica, a meno che non si voglia attribuire alla donna una insensatezza mentale che va provata e diagnosticata, è che la madre abbia cambiato atteggiamento dopo l’ascolto del minore e la presa in carico delle sue paure.

Invece la Corte si schiera tutta a favore delle ragioni dell’accusato, e parla di stress ingiustificato causato dalla condotta materna rispetto a un bambino che tutte le volte è stato costretto dalle istituzioni a presentarsi negli uffici dei servizi per incontrare un padre rifiutato e poi è stato preso di forza e allontanato dalla madre con cui stava in buona salute e con cui aveva dichiarato di voler vivere. Insensatezza del comportamento istituzionale, nonché del provvedimento della Corte, che si può evincere, passo passo, nelle motivazioni della Kaiden’s Law statunitense del 2022 (US – Kayden’s Law, 16 march 2022, TITLE XV—Keeping Children Safe from Family Violence, The reauthorization of the Violence Against Women Act).

Mettiamo in evidenza ancora una volta il pregiudizio che si trasmette dal primo grado all’appello: per ambedue i tribunali vi è “la totale assenza di ragioni oggettivamente legittimanti la esclusione del padre dalla vita del bambino”. L’assenza di motivazione non è nella madre ma nel tribunale civile incapace di leggere, in una istruttoria autonoma e doverosa, gli indizi forniti dal penale sull’abuso, anche riascoltando il minore a altri testimoni, tra cui la madre. Grava in questo procedimento la mancanza di adesione al principio del superiore interesse del minore, e il mettere al centro il favor pueri rispetto al favor rei specifico del procedimento penale.

Il decreto d’appello non formula specifiche motivazioni di rigetto al ricorso della donna, e formula un provvedimento di inasprimento a quello di I grado, con l’affido esclusivo al padre e restringimento del rapporto con la madre

La Corte sa di creare una sofferenza aggiuntiva al minore e questo veramente lascia perplessi perché malgrado sia consapevole del danno che si andrà ad arrecare al minore, e della sproporzione tra il danno attuale certo di contro un incerto vantaggio ottenuto con un cambio di residenza e di genitore collocatario, afferma: “Appare evidente alla Corte che il minore sentirà la mancanza della madre con la quale ha vissuto in simbiosi sino al giugno di quest’anno, ma appare altrettanto evidente che egli necessiti di un congruo tempo per ricostruire una propria esistenza in tranquillità collocato presso il padre che ha dimostrato, quanto meno durante lo svolgimento del procedimento, la maggiore tenuta e responsabilità”.

In conclusione: il bambino rimane presso il padre che guadagna anche l’affido esclusivo mentre alla madre viene ridotto anche lo spazio di contatto telefonico con il figlio, mentre permane il divieto di visite libere in presenza

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Il giudizio però viene ribaltato in Cassazione che rinvia gli atti alla Corte di appello richiedendo l’ascolto del minore: “Al riguardo l’omissione dell’audizione nel giudizio di secondo grado non è sanata dal precedente ascolto nel giudizio davanti al Tribunale, atteso il rilievo del fattore tempo in una fase di crescita quale quella dai sette ai nove anni. II minore, nel giudizio di secondo grado si è trovato in una fase più prossima alla soglia legale della presunzione di discernimento. Ne consegue che a fronte della prospettiva, poi realizzatasi di un cambiamento di vita così radicale, il minore doveva essere ascoltato anche per comprendere le ragioni del suo comportamento verso ii padre, per poter meglio valutare l’esistenza e l’entità di condizionamenti e pressioni esterne sui suoi intendimenti.

Ne consegue l’accoglimento de primo motivo e l’assorbimento dei rimanenti. Alla Cassazione del provvedimento impugnato segue il rinvio alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione si attenga al principio che segue: nei giudizi relativi alla modifica delle statuizioni sull’affidamento o sul collocamento del minore, tenuto conto anche di fattori quali la modifica della residenza, ove lo stesso sia prossimo alla soglia legale del discernimento e sia stata formulata istanza di rinnovo della audizione, il giudice di secondo grado deve procedere all’ascolto o fornire puntuale giustificazione argomentativa del rigetto dell’istanza stessa”.

L’ACCUSA DI CALUNNIA PER LA DENUNCIA DELLA DONNA SULLE MODALITÀ DEL PRELIEVO DEL FIGLIO

Nonostante una evoluzione positiva del caso, che non ha però dato ancora i suoi frutti concreti perché l’ascolto non è ancora avvenuto e il bambino rimane contro la sua volontà presso la casa del padre, la signora è stata rinviata a giudizio per calunnia avendo denunciato le forze dell’Ordine e i servizi intervenuti presso la propria casa per portare via manu militari il figlio e affidarlo al padre. Imputazione per cui domani 12 settembre la donna dovrà presentarsi in udienza per rispondere di una denuncia fatta sulla base di testimonianze e prove video in cui si sente nitidamente il pianto del bambino che urla di non voler andare con il padre e che si è chiuso in bagno per disperazione e paura (e che sarà prelevato dopo lo sfondamento della porta), mentre la madre viene trattenuta dagli agenti in corridoio che smentiscono le lamentele della madre, preoccupata del pianto del bambino.

Come ha raccontato all’epoca dei fatti l’avvocata Ilaria Boiano dello Studio Manente che segue il caso: “Il piccolo, che ha 8 anni, è scappato e si è chiuso in bagno, piangendo e gridando: mi fate paura andate via! e la curatrice speciale, invece di chiamare un medico per accertarsi dello stato di salute del minore, ha chiamato le forze dell’ordine che si sono presentati in 11, tutti in borghese, e senza fornire le proprie generalità neppure sotto mia richiesta, in quanto legale della madre del minore”. Bambino che è stato prelevato così, buttando giù la porta del bagno con la forza dopo una strenua lotta e senza nessun personale medico-sanitario presente.

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