“Mamma mi stanno costringendo”: il grido di dolore di un bambino prelevato a casa con 11 poliziotti

"Lui barricato in bagno che piangeva, loro ci hanno separati e poi hanno sfondato la porta". Nuovo allontanamento di un minore strappato a una madre "ostativa" per essere collocato dal padre: il racconto della mamma e dell'avvocata

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice di DonnexDiritti Network e International Women



Mi squilla il telefono, rispondo, sento una voce che cerca di mantenere la calma ma è terrorizzata. È la voce di una donna, una mamma che chiede aiuto perché le stanno portando via suo figlio. Sono in 15 tra cui 11 poliziotti in borghese. Il bambino è solo, si è barricato in bagno, è stato separato dalla madre che viene sorvegliata da tre agenti che non la fanno passare per andarlo a consolare.

Dall’altra parte sento in sottofondo delle grida, pianti: “Cosa succede?”, chiedo alla signora. “Lo stanno portando via! Sono venuti in casa nostra con 11 poliziotti a prelevarlo. Per favore vieni! Fai venire qualcuno! Non so cosa fare, mio figlio è disperato, sta piangendo, grida, mi hanno chiusa dall’altra parte della casa, non lo posso vedere ma lo sento!”. “Sei da sola?”, chiedo preoccupata. “No, c’è il mio compagno e sua madre – mi risponde – ma anche loro sono stati separati da lui”.

“Il bambino è da solo chiuso in bagno e fuori dalla sua porta ci sono solo gli operatori. Davanti a noi tre poliziotti in borghese non ci fanno passare. Lui ha paura, non vuole uscire, e incolpano me, dicono che sarei io a terrorizzarlo. Ti rendi conto? Non so come fare”

Undici poliziotti e l’abbattimento della porta 

Questa è la telefonata che arriva sul mio telefono dopo le 17 circa di ieri pomeriggio. Lei è un’altra madre alienante, malevola, simbiotica, punita dal Tribunale di Pisa, per aver allontanato un padre che il figlio non vuole vedere dopo più di 30 incontri perché, dice, ha paura. “Mio figlio non ha mai vissuto con lui – afferma la madre – e quando doveva incontrarlo si chiudeva in macchina, non voleva scendere. Mi hanno chiesto anche di portarlo di peso ma io gli ho risposto che potevano venire a casa mia, che non avevo problemi a riceverli, perché ho sempre aperto la porta”.

Un caso ritenuto dalla giudice di “alta conflittualità”, su cui il tribunale ha stabilito che fossero i servizi sociali a prendersi in carico il minore per ricostruire il rapporto con il padre e che, senza neanche bisogno di una Ctu, il bambino di 8 anni fosse prelevato anche con la forza pubblica, disponendo l’allontanamento dalla madre e il collocamento dal padre che vive in Sicilia dove il ragazzino non ha mai abitato.

Non solo perché con un decreto dell’8 giugno la stessa giudice, pur di prendere il bambino che non vuole andare col padre, ha dato il consenso all’abbattimento degli ostacoli, quindi a buttare giù le porte: come è avvenuto ieri a casa della madre del minore

La dinamica del blitz

Ilaria Boiano

“Oggi era concordato un altro incontro padre-figlio al Centro affidi ma il bambino si è rifiutato nuovamente di uscire da casa e la madre ha avvisato il servizio sociale”, racconta Ilaria Boiano avvocata dello studio Manente e dell’ufficio legale di Differenza Donna che segue la signora. “Poi alle 17,40 si sono presentati a casa della mamma l’assistente sociale, l’educatrice e la curatrice speciale del minore. La mamma ha aperto la porta senza problemi e li ha fatti entrare”.

“Il piccolo, che ha 8 anni, è scappato e si è chiuso in bagno, piangendo e gridando: mi fate paura andate via! E la curatrice speciale, invece di chiamare un medico per accertarsi dello stato di salute del minore, ha chiamato le forze dell’ordine che si sono presentati in 11, tutti in borghese, e senza fornire le proprie generalità neppure sotto mia richiesta, in quanto legale della madre del minore”

Bambino che è stato prelevato così, buttando giù la porta del bagno con la forza dopo una strenua lotta e senza nessun personale medico-sanitario presente. Un Far West dove nessuno ha accertato lo svolgersi di un intervento non traumatico e rispettoso delle condizioni del minore, come previsto dal provvedimento del Tribunale pisano dell’8 giugno: una supervisione necessaria ad assicurare che l’intervento fosse tempestivamente interrotto in caso di rischio per l’incolumità psicofisica del minore.

Quando però entrano gli 11 poliziotti, insieme al padre del minore, ci si rende conto che quello che sta avvenendo non deve venire fuori da lì e che neanche il diritto di cronaca può essere garantito, perché vengono subito girate le telecamere del sistema di videosorveglianza in modo da compromettere l’inquadratura delle stanze.

Forze dell’ordine che intimano la suocera della signora a non riprendere o pubblicare nulla, minacciando una denuncia in Procura il giorno dopo, e chiedendo i documenti per identificarla, malgrado lei faccia notare che quella è casa sua e che sono loro a entrare in un luogo di privata proprietà dove lei non sta facendo niente. “Non ho mai visto una cosa del genere – spiega Boiano – ero in diretta video con la mia assistita e nessuno le ha dato il permesso di parlare con il figlio per sapere come stava mentre lui piangeva dall’altra parte. Come se lei non contasse nulla, non fosse la madre, anzi come se fosse lei responsabile delle paure del figlio”.

“Ma la cosa assurda è che la curatrice speciale del bambino è rimasta tutto il tempo sulla porta d’ingresso, ignorando il pianto del minore e limitandosi ad accusare ripetutamente e ingiustamente la signora di essere lei la causa della situazione, di quel pianto”

Come avvoltoi

“Erano intorno come avvoltoi – dice la mamma – e mentre mi bloccavano nella stanza lontana da mio figlio, mi hanno detto che se li toccavo, mi arrestavano. La poliziotta donna, a un certo punto, ha minacciato di arrestarmi con le manette in mano, tanto che l’ispettore ha dovuto calmarla”. Alla fine la disfatta arriva: sfondata la porta del bagno, il bambino esce sconfitto dalla sua lotta impari. È visibilmente provato, impotente davanti a quello che sta succedendo.

“Parlava a monosillabi – dice la madre – era pallido come uno straccio. Mi ha abbracciata, e poi mi ha detto piangendo: mamma mi stanno costringendo”

Un abbraccio che dura poco, dato che tre agenti accerchiano madre e figlio, cercando di afferrare il minore dalle braccia e dalle gambe. Ma la mamma a quel punto si ribella: “Adesso basta, non gli fate del male, fatemelo rassicurare almeno”, risponde con indignazione. Una donna che, con molta forza e controllo, conduce il figlio che le stanno strappando, verso un futuro incerto, in un ambiente completamente sconosciuto. “Una volta fuori casa – dice la signora – mio figlio ha chiesto che fossi io ad accompagnarlo al Centro affidi.

Così siamo saliti sulla mia macchina e siamo andati. Ma la cosa assurda è che durante il tragitto la poliziotta che stava seduta dietro con il padre, ha ripreso per tutto il tempo me e il bambino, intimandomi di non parlare in spagnolo a mio figlio, dato che sono sudamericana. Mi riprendeva su come guidavo parlando anche di possibili sanzioni”. Ma poi arrivati lì, ricomincia lo strazio: “Lui non voleva andare, mi si aggrappava addosso. E quando è entrato, sentivo le urla e i pianti disperati da fuori dalla struttura”. E adesso il bambino dove andrà, dove dormirà stanotte? Chiedo alla mamma.

“Non so dove lo portano, ho chiesto ma non mi hanno dato risposta. Il padre mi ha detto che mi farà sapere ma non ho saputo niente. Non lo so dove andrà mio figlio. Io ho l’affidamento congiunto, ma vedo che non conta assolutamente niente”

Che giustizia è questa?

Lo hanno preso, con la forza, come tanti altri bambini, senza rispettare il suo consenso, le sue decisioni, il suo desiderio. E lo hanno fatto non dei rapitori ma le istituzioni, il tribunale che dovrebbe proteggere questi bambini e non esporli a questi traumi, preoccupandosi che l‘opinione pubblica non sappia cosa succede nei prelievi coatti, che la stampa non se ne occupi esercitando il suo diritto di cronaca e la libertà di opinione.

Al Centro affidi la madre gli porta dei vestiti, lui non la vuole lasciare, piange ancora, ma non è importante, il trauma più grosso è non stare con il padre, tutto il resto non conta: i modi brutali e le circostanze inadatte, sono ininfluenti. Un bambino che ora si ritroverà in un ambiente lontano e distante da quello finora conosciuto, dove è cresciuto da sempre. Un padre che ha chiesto alla signora i documenti del piccolo, compreso il passaporto (che lei però si è rifiutata di consegnare). Un altro bambino che scompare dentro le mura di una struttura dove le istituzioni riconsegnano la prole al “legittimo proprietario” come un “trofeo”. Ma che vittoria è questa? Si può imporre l’amore e l’affetto di un bambino con la forza?

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Il materiale fotografico e video è stato utilizzato per gentile concessione dei suoi proprietari

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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