Violenza maschile sulle donne: “dove sbagliamo?” In tutto ma l’errore più grande è nei tribunali

“Crimini invisibili” è l’inchiesta di Luisa Betti Dakli, giornalista e direttrice di donnexdiritti.com, che dà voce alle sopravvissute ai maltrattamenti in famiglia e poi punite dal tribunale dove hanno cercato aiuto con i loro figli

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice di DonnexDiritti Network e International Women



Ieri durante la presentazione della nuova relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio al senato dal titolo “Donne uccise dagli uomini: i numeri di una strage. Dove sbagliamo?”, la presidente Elisabetta Casellati ha detto che quella contro la violenza è “una battaglia di libertà, di giustizia e di civiltà che non possiamo permetterci perdere”, e che è importante “dare voce alle testimonianze delle donne che hanno detto no e si sono ribellate alle violenze, salvando se stesse e i loro figli, perché siano di esempio e infondano coraggio”.

“Donne uccise dagli uomini: i numeri di una strage. Dove sbagliamo?”

Fabio Roia

Fabio Roia, giudice presidente vicario del Tribunale di Milano, ha dato alcuni dati: il 15% delle donne uccise aveva denunciato mentre l’85% non si era rivolta alla giustizia, e nel 63% non aveva parlato con nessuno. Quindi era rimasta silenzio. Perché? Per Roia c’entra anche “la sfiducia verso l’apparato giudiziario che non sempre garantisce rapidità, competenza, efficacia e professionalità”.

La causa principale, per lui, è l’assenza di una specializzazione di chi affronta la violenza delle donne nei tribunali e che il “femminicidio non è un atto di follia e non è un accadimento improvviso”

Paola Di Nicola

Paola Di Nicola, giudice al tribunale penale di Roma, ha sottolineato che gli uomini uccidono quando la donna si sottrae al controllo, quando decide di interrompere una relazione violenta che dura nel tempo e che non è mai un fenomeno improvviso e accidentale. Uomini già denunciati, attenzionati, che si lamentavano che le loro moglie “non accettava più le regole di casa”. Di Nicola su questo, parla di normalizzazione della violenza e della radice dello stereotipo che è più interiorizzato di quello che possiamo immaginare ovunque, con forte sottovalutazione della violenza che in fondo viene considerata un “comportamento normale”.

Le donne devono essere credute

Linda Laura Sabbadini

Per Linda Laura Sabbadini, Direttrice centrale dell’Istat, nella maggioranza dei casi i femminicidi avvengono in coppie e in famiglia, e nel 40% dei casi c’è in ballo una separazione: un fenomeno che ha prodotto negli ultimi anni 169 orfani che hanno assistito alle violenze del padre contro la madre, e alcuni di loro hanno visto anche l’uccisione. Sabbadini sottolinea che quelle che avevano denunciato prima di essere uccise, lo avevano fatto più volte affermando di aver paura, e temevano per la loro vita, ma che non sono state credute, e che quindi le istituzioni non sanno intercettare la violenza di uomini che hanno ucciso non perché erano “fuori di testa” ma perché volevano vendicarsi della donna che era sfuggita dalle loro mani.

La ministra Marta Cartabia

La ministra della Giustizia Marta Cartabia ha parlato della “necessità della formazione” di magistrati e di tutti gli operatori che lavorano al contrasto alla violenza sulle donne, sottolineando come le “procedure di affido dei figli fanno emergere contesti di violenza, e come nella relazione della commissione abbia constatato ormai la totale “assenza di raccordo tra tribunali civili e penali sul il tema dell’affido”.

A questo aggiunge un “aumento dei procedimenti di violazione di avvicinamento alla vittima” (3.018), aggiungendo che la “partita fondamentale è quella della prevenzione” sottoscrivendo l’intento e il dovere di “fermare prima che sia troppo tardi”

Ce la faremo o è già troppo tardi?

Elisabetta Casellati

Ma forse siamo già oltre, ed è già troppo tardi da un pezzo. Forse la battaglia che la presidente Casellati dichiara di non poter perdere, è già persa, perché a oggi le donne che dicono no, quando non vengono uccise, non solo non sono credute, non solo il “raccordo tra tribunali civili e penali” è assente, ma le donne vengono punite, rivittimizzate, e trattate come criminali nei tribunali al punto che le stesse violenze e gli abusi che loro raccontano come la causa per la quale si vogliono separare e per cui i loro figli rifiutano il genitore abusante, vengono considerate come un motivo ulteriore di accanimento su di loro.

Una storia che oggi al senato ancora non è stata raccontata

Quali sono questi “Crimini invisibili” che non si vedono

Nell’inchiesta “Crimini invisibili”, 11 puntate visibili sul web journal donnexdiritti.com, le donne che nel corso di diversi anni ho intervistato, fanno emergere un mondo oscuro su cui ancora non sappiamo i numeri ma che dilaga nei tribunali di tutta Italia e riguarda prima di tutto la violenza domestica non riconosciuta nei tribunali civili, con conseguenze disastrose. Sono interviste di donne i cui fascicoli sono stati acquisiti dalla commissione femminicidio al senato, e che quindi sono una delle basi di quelle indagini, e che raccontano esattamente cosa hanno vissuto e cosa stanno vivendo. Racconti in cui si deduce che erano tutte potenziali vittime di femminicidio, i cui ex hanno deciso di non uccidere perché hanno optato per la vendetta a vita: con la tortura e la distruzione completa. Donne che danno una risposta molto chiara a quella domanda che ieri ha titolato l’evento della senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione: “Dove sbagliamo?”, domanda che girerei a “Cosa sbagliano le istituzioni per non riuscire a contrastare la violenza sulle donne di cui ormai si parla costantemente negli ultimi anni, e su cui sono intervenute anche con ottime leggi senza però applicarle?”

Le risposte sono nelle storie delle sopravvissute

Ce lo dicono loro, le protagoniste di queste storie, quelle che ancora non sono morte, che non sono state uccise o che non si sono suicidate per la disperazione. Come Anna che in “Braccati”, prima puntata dell’inchiesta “Crimini invisibili” pubblicata due giorni fa su donnexdiritti.com, racconta di come il marito la maltrattasse prima, dopo e durante la gravidanza, controllando personalmente il suo peso, denigrandola costantemente per il suo aspetto fisico, imponendole diete, pretendendo la casa sempre in ordine malgrado lei lavorasse più di lui, e infine reagendo in maniera aggressiva a ogni obiezione della donna.

Un’escalation che diventa incubo quando il bambino confessa alla madre di essere stato abusato sessualmente

La denuncia però viene archiviata senza nessuna indagine ed è la donna a essere colpita da quelle stesse istituzioni a cui ha chiesto aiuto. “Quando ho denunciato noi eravamo già separati – dice Anna – ma io non sono stata ascoltata, anzi il tribunale ha deciso di affidare mio figlio al padre con affido esclusivo perché il sospetto era quello di false accuse per cui ero io che sobillavo mio figlio a rifiutare il padre senza alcuna ragione vera”. Un bambino che dopo le frequentazioni con il papà da cui non voleva andare, si ammala, e viene ricoverato per mesi in ospedale: una malattia autoimmune che gli rompe i capillari e le vene, e che adesso tiene sotto controllo ma che potrebbe sempre riattivarsi. Ma questo per giudici, psicologi, assistenti sociali, tutori, curatori nominati in questa intricata vicenda, non è una spia, non è l’allarme di un disagio intenso del bambino su cui indagare in maniera approfondita. Anzi, il bambino deve essere portato in casa famiglia, anche davanti a un rischio di salute, perché qui gli sarà imposta la ripresa del rapporto paterno, tagliando fuori completamente quello con la madre che lo ha accudito e cresciuto.

Mamme ridotte al silenzio

Madri, donne la cui parola non vale nulla, la cui condotta è sempre a doppio fine, malvagia a prescindere, donne considerate bugiarde qualsiasi cosa dicano, accusate del falso in atti pubblici, ridotte al silenzio, redarguite se osano parlare e raccontare la loro devastante condizione di vittime di violenza istituzionale. Per dirla in parole povere, questo è un Paese dove non solo le donne vengono uccise in quanto donne: oggi se non vengono ammazzate dagli ex a loro ci pensa la “giustizia” che oltre ad annientarle completamente, dà all’offender, al partner violento, tutti gli strumenti per ricattarle, per far loro abbassare la testa, per fargli vedere che quello che hanno fatto, cioè separarsi da loro e dal loro controllo, o addirittura denunciarli, era uno sbaglio, in quanto chi comanda è l’uomo e a loro non le crede nessuno.

Racconti da cui si deduce che il problema nelle istituzioni preposte non è solo saper rintracciare la violenza ma sostenerla, essere conniventi di quella violenza che invece viene costantemente esercitata spostandosi dalla casa ai tribunali civili

Storie, quelle di “Crimini invisibili”, che hanno titoli pieni di angoscia come “Braccati”, “La vendetta”, “La cruda verità”, “Senza pietà”: titoli tratti dalle parole di queste sopravvissute che non descrivono le loro sensazioni rispetto al partner ma rispetto a quegli operatori di giustizia a cui si sono rivolte per essere protette e che invece le punisce portandogli addirittura via i figli con modalità violente e fuori da ogni ambito del Superiore interesse del fanciullo.

La violenza istituzionale

Luciana Lamorgese

Giudici che chiedono alle mamme di ritirare la denuncia altrimenti i loro figli andranno in strutture, periti del tribunale che manipolano i riferiti di donne e bambini: perché la ministra della giustizia Cartabia che ieri ha parlato degli affidi coatti ma non blocca immediatamente questi illeciti? Perché la ministra degli interni, Luciana Lamorgese, permette ancora che siano prelevati da casa o da scuola bambini con la forza dell’ordine e in maniera violenta Forse lo stereotipo della donna bugiarda e rompiscatole è più esteso di quello che si pensa? “Qui in tribunale  – racconta Claudia – viene nominato un perito, un consulente tecnico d’ufficio che valuta la genitorialità dei genitori in cui non c’è istruttoria ma solo un parere dello psicologo su cui il giudice poi si basa per decidere. Nel mio caso mi è stato detto prima di raccontare solo un episodio di violenza domestica dicendo che non c’era bisogno di raccontare tutto, e poi alla fine lo stesso mi ha detto: Sì, va bene, ma è successo una volta sola”.

Paola ha visto, sulla base di accuse “alienanti”, suo figlio preso per i polsi dai carabinieri e trascinato in casa del padre dove non voleva andare, per poi essere preso e rinchiuso in casa famiglia. Lei che si era allontanata dal padre del bambino dopo essere stata minacciata e picchiata con trauma cranica, ferite sul volto, ecchimosi sul corpo. Con due rinvii a giudizio per lesioni aggravate però, lui ha ottenuto dal tribunale l’affido al servizio sociale con collocamento presso il padre, e questo dopo 4 anni di affido esclusivo alla mamma, relazionata come una madre con cui il bambino aveva “un rapporto troppo positivo per essere vero”.

I bambini: protagonisti muti di questa storia

Storie dove i bambini e le bambine portano sulla pelle ferite indelebili, che non vengono ascoltati, che guardano impotenti le loro madri vittime di violenza prima del padre e poi della giustizia, che piangono quando vengono strappati con la forza da casa o a scuola, che scappano e cercano di nascondersi quando si trovano da soli davanti all’inevitabile, costretti a confrontarsi fisicamente con chi è più forte e senza una coscienza personale. Bambini presi a casa loro e portati via con scene degne di un qualsiasi film dell’orrore, con urla disperate davanti alle quali gli operatori incaricati dal tribunale non si fermano mostrando anche l’assenza totale di una coscienza rispetto a quello che stanno facendo: come i nazisti che infierivano su esseri inermi che non potevano difendersi.

Andrea è stato portato via con l’inganno nell’ospedale dove era stato condotto per un malore e tra le urla è stato strattonato, preso in braccio con la forza da un uomo adulto sconosciuto, mentre dimenava braccia, gambe e piedi, e portato via nei corridoi con sua madre trattenuta nella stanza

Ebbene oggi ci volgiamo ancora chiedere cosa c’è di sbagliato in questo? Tutto, non si salva niente e nessuno. Però anche la risposta è altrettanto semplice: è arrivato il momento di indagare seriamente in questi tribunali con una inchiesta ispettiva come fu quella per la P2, bloccando tutti questi procedimenti in corso, riportando intanto a casa i bambini rinchiusi nelle strutture dove nessuno può entrare come se fossero in un regime semi-carcerario, e infine, come dice Linda Laura Sabbadini, cominciare a credere alle donne da subito e senza trattarle con la crudeltà e la ferocia che vediamo oggi in quasi tutti i tribunali d’Italia quando emerge il riferito di una violenza nel momento in cui quella donna sta cercando di separarsi e di proteggere i suoi figli.

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I nomi delle donne citate dall’inchiesta “Crimini invisibili” sono tutti di fantasia.

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