Genovese alla sbarra per stupro: centri antiviolenza parte civile al processo accanto alle ragazze

I legali dell’imprenditore hanno tempo fino al 28 gennaio per trovare un accordo con un risarcimento per le sopravvissute che ha drogato e violentato durante i festini: con loro, durante il processo, ci sarà la Rete nazionale DiRe

Antonella Veltri
Antonella Veltri
Presidente di D.i.Re, Rete nazionale dei centri antiviolenza, e Ricercatrice del CNR



Agli inizi di novembre, nell’udienza preliminare, è stato chiesto il rinvio a giudizio di Alberto Genovese per violenza sessuale. Una delle sopravvissute ha chiesto, tramite l’avvocato Luigi Liguori, un risarcimento di 1,5 milioni per le violenze subite nelle 24 ore in cui è stata seviziata dall’imprenditore, anche se “niente e nessuno potrà mai cancellarle”, come ha affermato. Una perizia medica ha certificato che la ragazza ha riportato un’invalidità permanente del 40% e conseguenze psicologiche gravi, che per molti anni non le permetteranno di tornare a lavorare creandole anche problemi affettivi e di relazione.

Cosa significa costituirsi parte civile a un processo per stupro

Per questo processo, la Rete nazionale dei centri antiviolenza D.i.Re, si è costituita parte civile nel processo che vede imputato Alberto Genovese per le violenze al limite della tortura inferte alle due giovani donne, di 19 e 24 anni, una nella ormai tristemente famosa Terrazza sentimento di Milano e l’altra in una villa presa in affitto a Ibiza, villa Lolita.

Costituirsi parte civile in un processo penale al fianco di una giovane donna che ha denunciato una violenza sessuale è un atto politico, femminista, che ha una lunga storia

Alberto Genovese

Fu il modo con cui, nel 1976, il movimento delle donne si schierò al fianco di Donatella Colasanti, che aveva appena 17 anni quando venne violentata e ridotta in fin di vita dai cosiddetti “mostri del Circeo” – Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira – che invece uccisero la sua amica, Rosaria Lopez, 19 anni. Donatella Colasanti si salvò solo perché si finse morta, venne messa in un sacco insieme al cadavere della sua amica, e riuscì ad attirare l’attenzione dei passanti in un momento in cui gli assassini avevano parcheggiato la macchina e si erano allontanati. Ancora una volta, a distanza di quasi 50 anni, ci troviamo davanti a scenari simili: uomini che attirano giovani donne a presunte feste o vacanze solo per abusarne, corpi di cui disporre per il proprio piacere, in cui la sofferenza inflitta non conta, con l’arroganza di chi si sente al di sopra di tutto. Da allora la strada fatta è stata tanta: innanzitutto è cambiata, grazie all’instancabile lavoro politico e culturale dei centri antiviolenza fondati in Italia da gruppi di donne a partire dagli anni Ottanta, la percezione della violenza maschile contro le donne.

Violenza sessuale: da un reato contro la morale a quello contro la persona

Nel 1976 la costituzione di parte civile serviva soprattutto a promuovere “il passaggio dello stupro da evento privato a fatto politico, la messa in discussione della cultura dominante sia sociale che giuridica che trasforma le donne da parti offese a imputate in virtù della conservazione di stereotipi sociali oppressivi e inaccettabili”, come scrive Rossella Mariuz, avvocata dell’UDI Gruppo giustizia di Bologna, nel 2015 su noidonne, in occasione della costituzione di parte civile nel processo contro Giulio Caria, imputato dell’omicidio della sua compagna Silvia Caramazza.

Ci vollero altri 20 anni per arrivare nel 1996, alla modifica del Codice penale che sancì che lo stupro era un delitto contro la persona, e non contro la morale familiare, come chiedeva il movimento femminista

Elena Biaggioni

Eppure, nel 2021, c’è ancora bisogno di costituirsi parte civile in un processo per stupro. Tanto più nel processo contro Genovese, un processo ad alto rischio di vittimizzazione secondaria. “Il processo penale, per come è, giustamente, strutturato, è incentrato sulle garanzie dell’imputato: è l’imputato che deve potersi difendere a 360 gradi”, spiega la referente del Gruppo avvocate di D.i.Re Elena Biaggioni. “Quel che fa la costituzione di parte civile è assicurarsi che il sacrosanto diritto di difesa dell’imputato non trovi terreno fertile negli stereotipi giudiziari che troppo spesso minano la credibilità delle donne e che trasformano il processo in una prova di coraggio”.

La costituzione di parte civile è un atto femminista, di sorellanza e di forza ed è un atto di presidio al rispetto dei diritti umani delle donne

La vittimizzazione secondaria delle sopravvissute

Angelo Izzo, Giovanni “Gianni” Guido e Andrea Ghira

Con la costituzione di parte civile D.i.Re monitorerà il processo in tutte le sue fasi affinché siano dispiegati tutti gli strumenti giurisprudenziali nazionali e sovranazionali – a cominciare dalla Convenzione di Istanbul – che garantiscono la tutela dei diritti delle donne che hanno subito violenza e mirano a impedire la vittimizzazione secondaria. Perché la vittimizzazione secondaria nei confronti delle giovani che hanno denunciato Alberto Genovese è iniziata immediatamente, prima ancora che si arrivasse in tribunale: sui media. Dal 13 ottobre 2020, quando i giornali pubblicarono la notizia della lunghissima notte di violenze subita da una giovane modella di appena 18 anni, abbiamo assistito dapprima al tentativo di sminuire la vicenda: impensabile che il fondatore di start up di successo come Facile.it potesse aver fatto una cosa simile.

E invece sì, come hanno registrato impietosi i filmati delle telecamere di sorveglianza distribuite nel loft dove si svolgeva la festa

Vittorio Feltri

Poi, progressivamente, una ondata di commenti colpevolizzanti nei confronti della vittima, con il più classico degli stereotipi – “se l’è cercata” – declinato con le più diverse sfumature, la sua delegittimazione come “drogata” o “arrampicatrice sociale”, fino al tripudio di vittimizzazione secondaria andato in scena a “Non è l’Arena”, il programma condotto da Massimo Giletti e al tweet vergognoso di Vittorio Feltri il 15 ottobre scorso. Anche la linea difensiva dell’imputato ha scelto un altro classico della vittimizzazione secondaria – ovvero trovare una giustificazione ai comportamenti maschili violenti in una qualche sofferenza o disagio psichico – per cui abbiamo letto che tutto è iniziato dopo che era stato lasciato da una donna con cui era stato per 7 anni.

Il caso di Fortezza da Basso e la sentenza della Corte per i diritti umani

Francesca Garisto

Quando abbiamo deciso di costituirci parte civile avevamo in mente l’esito di un altro processo per stupro: quello di gruppo alla Fortezza da Basso di Firenze dove c’è voluto il ricorso alla Corte europea dei diritti umani, curato dall’avvocata Titti Carrrano, perché l’Italia venisse condannata per una sentenza che delegittimava la vittima e la riteneva corresponsabile della violenza subita sulla base di un giudizio sulla sua vita privata. Francesca Garisto, l’avvocata penalista che ha curato la costituzione di parte civile di D.i.Re in accordo con le due ragazze, ha detto che “rappresentare D.i.Re in questo processo significa sostenere l’associazione, i suoi principi, i suoi obiettivi e portare la voce delle donne che chiedono il rispetto della loro dignità, del loro valore e dei loro corpi. È una opportunità di trasmettere la forza che le donne hanno quando si sostengono tra loro”.

Contro gli stereotipi e la colpevolizzazione delle donne nei tribunali

Tina Lagostena Bassi, “Processo per stupro”

Uno degli obiettivi dell’associazione D.i.Re, come si legge nel suo statuto, è “promuovere azioni per un cambiamento culturale e di trasformazione sociale”. Significa anche cambiare la cultura che agisce nei tribunali, dove troppo spesso si ripropongono stereotipi e pregiudizi contro le donne che ci rimandano ai tempi di Processo per stupro, trasmesso dalla RAI nel 1979. Dove continua a prodursi la vittimizzazione secondaria. La nostra pratica è la relazione tra donne: è la nostra metodologia, il cuore dei percorsi di fuoriuscita dalla violenza con cui ogni anno oltre 20.000 donne vengono accompagnate dalle operatrici dei centri antiviolenza della rete D.i.Re nella ricostruzione delle loro vite.

La relazione tra donne oggi torna a prendere la forma della costituzione di parte civile: perché siamo tutte parti lese, come recitava un celebre sloga femminista

Perché ci sia un processo giusto per l’imputato, ma anche libero da stereotipi. A questo serviamo, per essere occhi e attenzione, per nominare la violenza in modo corretto, per usare tutta la nostra conoscenza all’interno di aule che non prevedevano la nostra voce. Per opporci con il nostro sapere ai pregiudizi e se serve per denunciarne la persistenza.

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