Il Protocollo Napoli, in prima linea a difendere i diritti delle donne contro la violenza, è intervenuto su alcune modifiche del codice di procedura civile della Riforma della giustizia da parte della ministra Marta Cartabia, che secondo noi rischiano di penalizzare le donne.
I lati positivi: il richiamo alla Convenzione di Istanbul
È noto che la Commissione femminicidio del senato è intervenuta nel disegno di legge di riforma del Codice di procedura civile per far osservare i principi fondamentali della Convenzione di Istanbul. Di ciò vi è ampia traccia nel comma 23 dell’art. 1 dove troviamo accolti, infatti, alcuni degli emendamenti proposti dalla Commissione femminicidio.
Quello di maggior spessore è l’esplicito riferimento, nel nuovo Codice di procedura civile, dell’art. 31 della Convenzione di Istanbul che impone, in materia di affidi familiari e separazioni, di tenere conto degli episodi di violenza
Aggiungiamo a questo risultato importante anche l’affermazione di alcuni temi, come quello della centralità dei poteri istruttori del giudice chiamato a valutare le allegazioni di violenza, il tema dell’ascolto del minore, che non va delegato, i temi della messa al bando della vittimizzazione secondaria, del divieto a servirsi di teorie ascientifiche e di ricorrere a interventi di mediazione nell’ambito di procedimenti giudiziari.
Vi è stato, quindi, un ampio recepimento della Convenzione di Istanbul in una realtà giudiziaria che, come sappiamo, è ancora scarsamente formata su questo tema e propensa a parlare di conflitto familiare piuttosto che della violenza contro le donne. Questo quadro positivo, racchiuso nel comma 23, (che il Protocollo Napoli ha analizzato in dettaglio) rischia però di essere depotenziato se non si mettono in luce le criticità di altri commi (30-34) che risultano, tra l’altro, anche in contraddizione con il comma 23 e che rischiano di far rientrare dalla finestra ciò che era uscito dalla porta.
Gli aspetti negativi: il curatore speciale
Protocollo Napoli, a margine quindi, dell’adesione alla riforma Cartabia nella parte in cui sono stati accolti gli emendamenti della Commissione femminicidio (concentrati ne art.1 comma 23) individua un rischio per le donne vittime di violenza in alcune modifiche apportate ad alcuni articoli del codice di procedura civile, inserite tra i provvedimenti urgenti, senza che si palesi alcuna urgenza di fatto. Sulle modifiche agli articoli che riguardano l’intervento del curatore speciale (Comma 30) segnaliamo, tra i tanti rilievi già fatti da altri (cfr. audizione alla Camera dell’avvocata Capuano), che vi è uno stravolgimento del comma 23 quando, in maniera contraddittoria si dispone l’ascolto delegato dal giudice al curatore speciale, e quando non si precisa che il curatore (come il tutore) non va nominato in tutti i casi in cui vi siano allegazioni di violenza domestica
Inoltre si introduce il curatore speciale anche quando uno solo dei genitori viene fatto decadere o se c’è una richiesta di decadenza
Ad esempio da parte di una donna vittima di violenza nei confronti del partner violento e ciò la esporrebbe alla nomina di un curatore, con una lesione del suo diritto genitoriale.
Aspetti preoccupanti sul diritto di visita
Notiamo anche con la massima preoccupazione (Comma 33) come, in questo comma sulla modifica dell’articolo 709-ter del codice di procedura civile, sia stato inserito un aggravamento delle sanzioni per i genitori collocatari che non rispettino le disposizioni circa il diritto di visita per l’altro genitore. Sappiamo come questa materia sia altamente sensibile per le vittime di violenza, rivolte a tutelare i figli, e come esse subiscano già la tagliola di questi provvedimenti, con effetti pregiudizievoli e deleteri sulla loro stessa autonomia e sulla sicurezza loro e dei loro figli. Questo aggravamento delle penalità trova una corrispondenza sintonica con i postulati della cosiddetta psicologia forense, le cui associazioni hanno già da anni esplicitato finalità di compressione dei diritti di coloro che cercano (madri in prevalenza) di tutelare i figli che rifiutano i contatti con il genitore violento.
Risvolti inquietanti sulla bigenitorialità
Leggiamo, infatti, nel documento del 2017 (“Buone prassi giudiziarie e psicosociali in favore della bigenitorialità e di contrasto all’alienazione parentale”) a cura di diverse associazioni private giuridico-forensi: “Al fine di scongiurare quei comportamenti dei genitori che siano di danno alla serena crescita del figlio si consiglia di richiedere l’adozione di tutta quella serie di “rimedi” [Ndr. tra cui, sottolineiamo, va annoverato l’allontanamento coattivo del figlio rifiutante, secondo la procedura di reset in case-famiglia di derivazione gardneriana] che sono stati anticipati dai maggiori Tribunali in Italia, come quello delle Penalità di inadempimento (Astreintes), che sono – con la previsione di una “sanzione” per ogni volta che si replichi un inadempimento alla corretta esplicazione della responsabilità genitoriale – un vero e proprio deterrente, immediato ed efficace, nel contrasto di un comportamento alienante al suo primo manifestarsi”.
Introduzione di qualifiche inesistenti
In ultimo (Comma 34), ma in stretto collegato con il punto precedente, richiamiamo l’attenzione sulle modifiche relative al comma 34 che interviene sugli articoli 13 e 15 del codice di procedura civile, che hanno come oggetto l’accesso all’Albo dei consulenti tecnici.
Si considera quanto mai avventato, a questo proposito, introdurre in una norma di legge, alcune qualifiche professionali assenti dall’ordinamento istituzionale
È necessario ricordare che, a livello di corsi di laurea, qualunque ne sia l’indirizzo (clinico, sociale, sperimentale), la qualifica finale conseguita è quella di psicologo, che come tale accede all’abilitazione professionalizzante. In altre parole, nell’abilitazione alla professione, che si consegue con il superamento dell’esame di stato, non c’è distinzione all’interno dell’unica categoria dei laureati in psicologa, così come avviene per la categoria dei laureati in medicina e chirurgia. Pertanto, per evitare discriminazioni non presenti per le altre categorie professionali, riteniamo che, sulla modifica all’art. 13 avanzata nel comma 34, si debba procedere all’inserimento al n. 7) di un’unica categoria, quella psicologica, in accordo con quanto accade per la categoria già presente medico chirurgica.
Eliminando così le sottocategorie menzionate di psicologi forensi e dell’età evolutiva, non presenti nell’ordinamento ministeriale (cfr: decreto 50/2019 GU Serie Generale n.84 del 09-04-2019) e che introdurrebbero indebite discriminazioni all’interno della categoria psicologica. Per quanto riguarda poi le specializzazioni, diversamente dalla medicina, in psicologia abbiamo alcuni corsi di specializzazioni presenti nelle Università e altri, la maggioranza, svolti da scuole extrauniversitarie accreditate dal Miur. Nessuna di queste categorie professionali menzionate nel comma 34, e cioè la psicologia evolutiva, forense e giuridica, costituisce titolo di specializzazione.
La psicologia giuridica va cancellata
Riteniamo quindi che le modifiche all’articolo 15 vadano cancellate perché si riferiscono solo alle competenze da attribuire alle sottocategorie di psicologi forensi/giuridici e dell’età evolutiva, che abbiamo detto essere discriminatorie rispetto all’intera categoria di psicologi e non rappresentare qualifiche professionali esistenti nell’ordinamento ministeriale dei corsi di laurea e delle specializzazioni. A margine di questa modifica inserita nella riforma, non possiamo non fare riferimento a come nasce la presenza di questa categoria di psicologi forensi nell’esperienza quotidiana dei nostri tribunali.
Consulenze tecniche d’ufficio
A oggi le consulenze tecniche vengono affidate a uno stretto giro di professionisti che afferiscono a società psico-forensi e che sono per lo più firmatari di documenti (come le buone prassi giudiziarie, già citate) in cui si sostengono le varie declinazioni dell’alienazione parentale (PAS/AP), teoria definita ascientifica e messa al bando dal comma 23 della riforma Cartabia. Per quanto riguarda poi la competenza citata in questo Comma 34 in “violenza domestica e sui minori”, va annotato che essa non può essere reperita in modo appropriato in un contesto di professionalità psicologiche confuse e discriminatorie.
E andrà reclamata in modo diverso e in altri contesti per aderire agli articoli della Convenzione
Protocollo Napoli che ha sostenuto la riforma Cartabia del codice di procedura civile nelle modifiche introdotte dal comma 23 a sostegno delle vittime di violenza, si rivolge oggi ai rappresentanti della Camera dove è in corso l’esame della riforma, lanciando l’allarme sull’inserimento di modifiche urgenti contenute in altri commi della riforma.
Le contraddizioni che non risolvono la violenza domestica ma la aggravano
I commi 30-34 potrebbero infatti penalizzare gravemente le vittime: assoggettandole a un curatore speciale se solo per uno dei genitori (ad esempio anche solo il violento) viene richiesta la decadenza, o se vi siano pregiudizi generici per il minore; aggravando le penalità pecuniarie in caso di non rispetto del diritto di visita dell’altro genitore; depotenziando la loro difesa con consulenti tecnici rappresentanti di società psico-forensi che hanno sottoscritto documenti a sostegno dell’alienazione genitoriale.
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Comitato tecnico scientifico del Protocollo di Napoli (Caterina Arcidiacono, Antonella Bozzaotra, Gabriella Ferrari Bravo, Elvira Reale, Ester Ricciardelli)