Sfatiamo un mito: perché la dea madre è stata sopravvalutata

L'archeologia non conferma un antico matriarcato ma figure femminili di rilievo non sempre legate alla riproduzione

Frances Pinnock
Frances Pinnock
Archeologa, già docente di Archeologia e Storia dell'arte del Vicino Oriente antico all’Università La Sapienza di Roma, è co-direttrice della Missione Archeologica Italiana a Ebla, in Siria. Si occupa di studi sulle donne nella Siria e nella Mesopotamia preclassiche. Ha pubblicato, tra gli altri, “Donne alla finestra. Un viaggio alla (ri)scoperta delle donne d'Oriente e delle donne in Oriente” (L’orto della cultura), “Egitto e vicino oriente antichi: tra passato e futuro” (Pisa University Press).



Le istanze dei movimenti femministi hanno avuto un forte impatto negli studi di storia antica, anche se non sempre con esiti del tutto positivi. Nella prima ondata di studi di genere, da collocare in termini generali tra 1960 e 1970, si è sviluppata la tendenza a cercare di portare le donne in primo piano e di “scriverle nella storia”.

Gli studi femministi

Figurina da Çatal Hüyük, Turchia

Questi studi possono essere definiti “femministi” e si sono accompagnati alle prime rivendicazioni anche per il riconoscimento dei ruoli delle studiose nei centri di ricerca. La seconda ondata, sempre in termini generali nel decennio successivo tra 1970 e 1980, ha puntato l’attenzione sulle origini del patriarcato, con l’idea che, comprendendone le origini esso potesse essere abbattuto. Infine, la terza ondata, dal 1980 a oggi, collegata con il post-modernismo e dunque etichettata come post-femminismo, usa approcci non positivisti e aperti alla pluralità delle interpretazioni. Non parliamo più quindi di studi femministi, ma piuttosto di studi di genere, per cui nascono anche studi “maschilisti” e “queer”, e si afferma il concetto che non esista un “corpo naturale”, ma che anche il corpo sia il risultato di una “narrazione”.

Oggi facciamo più attenzione alla complessità e, come ha detto un’importante studiosa americana di origine iraqena, Zeinab Bahrani, non desideriamo tanto “trovare la donna nella storia, quanto capire cosa significhi donna nella storia”

Il mito della dea madre

Figurina da Çatal Hüyük

In questo quadro di approcci allo studio “genderizzato” del passato spicca un mito che ha affascinato generazioni di studiosi e anche di studiose con motivazioni diverse, ma con una base culturale comune: il mito della Grande Dea o della Dea Madre. Il mito della Dea Madre viene proposto per la prima volta da Johann Jacob Bachofen (1815-1887), uno studioso svizzero che nel 1861 per la prima volta parlò di maternità come fonte della società umana e dell’esistenza di una sorta di matriarcato delle origini, una fase da lui definita “lunare”, basata sull’agricoltura e pacifica, dominata da una dea del tipo di Demetra, poi soppiantata dalla fase “solare” del patriarcato, più violenta e bellicosa. L’idea di fondo era che l’uomo primitivo potesse riconoscere la maternità, origine di ogni cosa, conferendo quindi grande potere al femminile, e non fosse però in grado di identificare i meccanismi della paternità.

Figurina palestinese

Questa idea venne contestata e ripresa più volte, fino a quando, tra il 1974 e il 1991, una studiosa lituana, Marija Gimbutas (1921-1994) non pubblicò tre volumi: “Le dee e gli dei dell’antica Europa” (1974, tradotto nel 2016), “Il linguaggio della dea” (1989, tradotto nel 2008) e “La civiltà della dea” (1991, tradotto nel 2011). Libri in cui, attraverso la raccolta apparentemente oggettiva e minuziosa di reperti archeologici quasi da tutto il mondo, confermava la teoria di una sorta di età dell’oro delle donne, governata da una Grande Dea Madre e distrutta dalla violenta avanzata delle culture maschiliste e bellicose indo-europee. Ma Gimbutas e la sua famiglia lasciarono la Lituania nel 1944 di fronte all’avanzata sovietica, rifugiandosi nella Germania nazista, dove rimasero fino al 1950, emigrando poi negli Stati Uniti: vicende possono avere influito sulle interpretazioni della studiosa.

La figura femminile sessuata

In realtà l’evidenza archeologica è costituita soprattutto da figurine femminili in argilla o in pietra, che non rappresentano divinità e che nulla hanno a che fare con la maternità. Le famose figurine arcaiche di Çatal Höyük in Turchia che rappresentano donne con seni, glutei e pancia molto enfatizzati, non sono immagini materne.

rappresentano donne mature che per l’età e il fisico imponente devono essere interpretate come donne dotate di un potere non legato alle funzioni riproduttive

Ishtar/Astarte

Nel mondo mesopotamico, già nel III millennio a.C. la fertilità umana era chiaramente legata alla “potenza” virile, più che alla ricettività femminile e semmai compito della donna era sollecitare quella potenza, e se nella letteratura questo aspetto è molto evidente, spesso si parla di piacere sessuale. Le dee vicino-orientali del tipo di Ishtar/Astarte sono spesso definite dee dell’amore e quindi, nella mentalità degli studiosi spesso maschi e protestanti, della riproduzione, anche se in realtà sono figure complesse, talora con aspetti anche virili, mai connesse con la riproduzione. Infine, non è da sottovalutare il fatto che le bellicose tribù indoeuropee maschiliste, identificate soprattutto dalle caratteristiche sepolture a tumulo dette “kurgani”, comprendevano anche le donne che venivano sepolte come gli uomini e con lo stesso tipo di corredi funerari, che comprendevano armi, cavalli e carri, elementi di armatura.

L’immaginario maschile legato alla riproduzione femminile

Figurina mesopotamica

Anche se occorrerebbe una maggiore investigazione, possiamo però già definire il mito della Grande Dea Madre legato a un immaginario che indubbiamente piace moltissimo a un certo mondo maschile perché riduce la donna a funzioni riproduttive con la perdita di individualità, complessità e per questo più rassicurante. Mito accolto nel mondo neo-pagano e anche da studiose con l’idea che la Madre rappresenti un potere squisitamente femminile, legato anche al concetto di Gaia, la Terra Madre di tutti. In realtà in un approccio storico alla ricostruzione dei ruoli delle donne nel passato, ci riporta su un piano di maggiore realtà con lo studio delle attività femminili e dei modi in cui si sono costruiti culturalmente il genere e i linguaggi del corpo e di come, su queste basi, sia stata organizzata la società.

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