Il dramma dei bambini allontanati dalle madri in seguito all’applicazione della Sindrome di Alienazione Parentale (PAS) mi colpisce molto, dato che avviene nell’ambito di diagnosi e interventi psicologici, e io sono una psicologa. Per capire meglio, anche alla luce del pronunciamento della Corte di Cassazione che ne denuncia la mancanza di scientificità, ho deciso di rispolverare i testi su cui ho studiato, perché, andando a memoria, non mi risultava che alcun docente mi avesse mai messo in guardia contro queste madri così negative e colpevoli.
Cosa si dice sui libri di testo? Che la mamma è insostituibile
Li ho riguardati non con gli occhi della studentessa di psicologia, ovviamente, ma con quelli dell’attivista che si sforza di smascherare stereotipi e pregiudizi. E ho scoperto tanto sessismo patriarcale. Ho trovato i miei testi di neuropsichiatria infantile o di psicologia dell’età evolutiva un po’ antiquati, nel linguaggio e nell’approccio, ma tutti sono concordi nel descrivere l’insostituibilità, nei primi anni di vita, della relazione madre-bambino. Cito, ad esempio, Giovanni Bollea che nel suo “Compendio di psichiatria dell’età evolutiva” (Bulzoni editore) scrive:
“La madre con le sue cure e la sua identificazione con il bambino impara a conoscere e a rispondere ai suoi bisogni, e gli permette il passaggio da uno stato di autismo primario a una graduale consapevolezza dell’ambiente esterno, attraverso un rapporto di tipo simbiotico, come Mahler ha efficacemente descritto”
“[…] A questo livello iniziale è la preoccupazione materna primaria, di cui parla Winnicott, che ha una funzione di organizzatore simbiotico per il bambino, favorendo la sua individuazione e la sua nascita psicologica”. Traduco dallo psicologese: madre e bambino, nel periodo che va dalla nascita al secondo anno di vita, devono essere attaccati come cozze altrimenti poi il pargolo non si sgancia. Qui stiamo nella mistica della maternità, di cui ho già scritto, per cui donne, se figliate, dovete stare a casa e annullarvi nella prole altrimenti si guasta e sarà tutta colpa vostra.
I libri della lobby pro-Pas
In un periodo successivo dei miei studi mi sono imbattuta nel mondo della mediazione familiare e ho studiato altre autrici e autori, scoprendo oggi che, tra quelli di riferimento, alcune/i sono accusati della stesura di perizie discutibili dalle madri organizzate nella protesta contro il sistema che si avvale della PAS. In “Separazione e affidamento dei figli” di Cigoli, Gulotta, Santi (Giuffrè editore, 1983) si afferma:
“La figura paterna è un modello indispensabile per il figlio, senza la quale difficilmente avrebbe potuto apprendere (tramite processi di identificazione) corretti comportamenti di ruolo sessuali, mentre probabilmente avrebbe assunto stili dai tratti femminei (se maschio) o condotte sessuali non equilibrate (se femmina)”
“I maschi evidenziavano inadeguati comportamenti relativi al ruolo sessuale (H. B. Biller, 1969); mentre le femmine tendevano ad assumere atteggiamenti decisamente inadeguati nell’ambito delle loro relazioni eterosessuali (E. M. Hetherington, 1972)”. Ho già usato il termine sessismo patriarcale? Mi pare di sì, magari aggiungo omofobo. Quindi, senza padri i figli maschi diventano gay, le femmine hanno condotte sessuali non equilibrate nelle loro relazioni eterosessuali. E chi decide quali siano le condotte sessuali femminili equilibrate?
Immagino che si intenda che devono essere caste e monogame, ma in assenza di indicazioni vale qualsiasi punto di vista soggettivo e pregiudizievole. Il testo diventa inconsapevolmente comico più avanti, quando si ammette che “analizzando i processi di adattamento e di sviluppo nei figli di madri risposate, non si trovano differenze significative rispetto a quelli privi di figura maschile. La sola assenza del padre, pertanto, non riesce a spiegare le reazioni patologiche esercitate sui minori dalla separazione, perché, se così, ci si dovrebbe attendere l’attenuazione o la scomparsa dei disturbi in virtù del fatto che, risposandosi, il genitore affidatario garantirebbe al figlio un modello sostitutivo di identificazione e di controllo.”
E poi il lampo di genio: “Si ipotizzò così che la mancanza della figura maschile determinasse effetti rovinosi solo indirettamente sui figli, e direttamente su altri fattori della vita familiare (livello economico, status sociale, accresciute difficoltà per la madre con la custodia, ecc.)”. Finalmente si prende atto della disparità di potere – soprattutto economico – tra i due generi? Macché! Nelle pagine successive ci si affretta a dichiarare che “il minore può risultare psichicamente disturbato non tanto dall’assenza della figura paterna, ma dall’assenza della figura materna, se è eccessivamente trascurato a causa degli impegni extradomestici della donna (perché, si dice nel paragrafo precedente, dovrà lavorare per integrare le insufficienti entrate) o se questa delega ad altri (istituti, parenti, amici, baby sitter, ecc.) l’espletamento della funzione educativa”.
La colpa è sempre della donna
In qualche modo la misoginia è rassicurante, non credete? Di qualsiasi cosa si parli la colpa è della donna, facile! E soprattutto, mi chiedo, ma i padri che lavorano invece cosa fanno, come organizzano la quotidianità familiare e come conciliano i figli col lavoro? La risposta al mio dubbio è già superata dalle affermazioni precedenti: se il padre è assente non ci sono danni, se lo è la madre sì. Ma gli autori (curioso, sono tre uomini) non hanno ancora dato il meglio di sé, quindi state pronte: “Le madri separate possono dimostrarsi assai impreparate ad assolvere con successo alle suddette funzioni (n.d.A. socializzazione, autorità e disciplina) per mancanza di esperienza o per la scarsa influenza esercitata sul comportamento del figlio non abituato ad accettarne l’autorità, o perché non riescono a conciliare l’atteggiamento autoritario di padre con l’atteggiamento amorevole di madre”. Ma come? Non erano in gradi di manipolarli? Adoro la visione binaria, è così matematica, squadrata, certa. Ma nelle famiglie omogenitoriali che succede?
Se si hanno due padri si ricevono solo regole e se si hanno due madri solo abbracci? E se c’è un genitore unico perché l’altro, ad esempio, è deceduto, o è in carcere, o ospedalizzato/a per una lunga malattia? Comunque gli autori non hanno mai conosciuto una madre pugliese come la mia, corredata di battipanni e ciabatte
La nascita della “madre malevola”
Come si è arrivati allora a teorizzare madri simbiotiche crudeli e accentratrici? Mi è toccato andare a studiare i teorici della PAS, per la precisione “Separazioni distruttive tra conflittualità e alienazione” di Antonella Parrini, Edizioni Psiconline (2008). Ho scoperto un concentrato di misoginia e sessismo patriarcale. Si comprende bene come questa teoria si presti ad essere il braccio armato dei Pillon di turno. Il bello è che gli stessi sostenitori ne scrivono di così esagerate da contraddirsi da soli. Partiamo dalla definizione:
“La manifestazione principale (n.d.A. della PAS) è la campagna di denigrazione rivolta contro un genitore; una campagna che non ha giustificazioni. Essa è il risultato della combinazione di una programmazione (lavaggio del cervello) effettuata da un genitore indottrinante […] e del contributo offerto dal bambino in proprio alla denigrazione del genitore bersaglio.” Ma attenzione, tra gli 8 sintomi primari della stessa PAS c’è “il fenomeno del pensatore indipendente: la determinazione del bambino ad affermare di aver elaborato da solo i termini della campagna di denigrazione, senza alcuna influenza del genitore programmante”.
un bambino che affermi di non voler vedere un genitore lo fa perché l’altro genitore gli ha fatto il lavaggio del cervello, e se a sua discolpa dice che nessuno lo ha influenzato, che quello è proprio il suo sentire, bene, ciò dimostra esattamente che è stato plagiato
Siamo in pieno comma 22, un articolo del regolamento militare scaturito dalla fantasia di Joseph Heller nel suo libro “Catch 22”, che cita: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”. Però attenzione, il testo usa sempre il termine “genitore”, pur precisando che “l’autore (Richard Gardner) riteneva che nella maggior parte dei casi il genitore alienante fosse la madre, dal momento che quest’ultima rimane il centro della vita familiare anche in presenza di sostanziali cambiamenti sociali, culturali ed economici, e sarebbe più incline a mettere in atto qualsiasi strumento atto a garantirsi questo potere sui figli (Giorgi, 2001)”.
Credo che se nel libro il termine genitore fosse stato sempre sostituito da “madre”, che è poi quello che si intende affermare, la misoginia di cui è intriso sarebbe stata troppo evidente. Lo si capisce già dal fatto che il genitore vittima della PAS viene chiamato “bersaglio”, e ciò sottintende il fatto che sia inerme, ancor più di una vittima, e che ci sia un soggetto attivo che si adopera per colpirlo. E sono affascinata dalla protervia con cui ci si lamenta del fatto che le madri siano il centro della vita familiare nonostante i sostanziali cambiamenti. Capito, sorelle? Ogni volta che rileviamo la difficoltà di accedere al mondo del lavoro, i gap salariali, il tetto di cristallo, le molestie e le violenze che subiamo, ricordiamocelo, che invece le cose sono sostanzialmente cambiate.
Il mancato riconoscimento della violenza domestica
Alcune riflessioni riportate nel libro sono sicuramente valide. Certamente una coppia che si separa assicura il benessere dei figli se è in grado di mantenere efficacemente il ruolo genitoriale, è giusto, infatti l’affidamento congiunto (antecedente a quello condiviso introdotto con la legge 54 del 2006), funzionava in modo soddisfacente quando la coppia, superate le difficoltà emotive che avevano portato alla separazione e quelle connesse al cambiamento successivo, restava sempre in un sostanziale equilibrio. In altre parole, se riusciva a esprimere la separazione della coppia mantenendo l’integrità del ruolo rispetto ai figli.
Ma se parliamo di una coppia disfunzionale, se parliamo di violenza maschile sulle donne? Nemmeno una parola su questo. Anzi, mi correggo, le poche parole che ci sono sembrano provenire da chi non si è mai occupato di questo tema. Si dice infatti: “Come si fa a capire se il genitore rifiutato è realmente abusante? I genitori dei figli realmente abusati […] si prestano a ripristinare tale relazione (col genitore abusante) in condizioni protette, e solitamente le denunce risalgono a molto tempo prima della separazione”.
Quindi se siete vittime di violenza domestica, denunciate ma non separatevi subito, aspettate “molto tempo”, altrimenti si capisce che avete detto il falso E i vostri figli dovranno frequentare il padre violento, perché in caso contrario significa che li avete plagiati
Lo stereotipo della femmina subdola, bugiarda e manipolatrice
Altre perle: “I genitori abusanti soffrono di esplosione violenta di rabbia”, invece in quelli alienati “le eventuali esplosioni di rabbia sono conseguenti al rifiuto, alla frustrazione e al senso di impotenza generato dall’ostilità dei figli”. Insomma se sono violenti o lo sono perché effettivamente violenti o per colpa vostra. Come si faccia a dimostrare la veridicità dell’una o dell’altra situazione è un mistero. Ricapitolando: se i figli interrompono i contatti con un genitore significa che l’altro è alienante, e Gardner in quel caso propone come intervento la totale interruzione di contatti con lui, che è poi lei, ricordate? Quindi la soluzione della PAS, è la PAS stessa ma attuata dal padre.
Questa folle teoria è corredata dalla descrizione di altre due sindromi. Quando c’è la PAS, si dice c’è un genitore malevolo e uno interdetto, ma, guarda un po’, questa volta i termini scelti non sono declinati al maschile non marcato; si tratta sempre di madre malevola e padre interdetto. La malevola, Crudelia, Grimilde, Malefica, ha uno scopo chiaro: “quello di privare il genitore perduto non solo del tempo da trascorrere col figlio, ma anche della sua infanzia (Cartwright, 1993)”. Una perla: “le azioni malevole possono essere notate durante il processo di divorzio, ma è possibile che il comportamento malevolo fosse preesistente, anche se nascosto”. Ma io direi che è certo, non possibile!
Ma che non lo sappiamo che tutte le donne sono come Eva? tutte pronte a imbrogliare il povero ingenuo Adamo, subdole, false e calcolatrici?
Due pesi, due misure: l’assenza di rigore nei dati
D’altro canto, secondo Gerald L. Rowles, la madre malevola causa un padre interdetto perché “i padri, a causa del divorzio e della perdita incombente dei figli, manifestavano in modo quasi universale un insieme di sintomi ricollegabili a depressione e a disordine post traumatico da stress”. Questo è molto interessante: se un padre è depresso e con DPTS ciò dimostra che è vittima di PAS. Se una madre manifesta “disturbo delirante di persecuzione, di personalità paranoide, narcisistico e borderline” (cit. pag 50), ciò è la prova che sia un genitore alienante.
Rowles sostiene, in aggiunta, che la storia del “padre inadempiente” in gran parte è un’invenzione (pag. 88). Le teorie psicologiche vengono provate analizzando il follow up, cioè verificando l’evoluzione della situazione a posteriori. L’autrice dichiara candidamente che “l’intervista di follow up è stata rivolta unicamente al genitore alienato, quindi non si è tenuto conto delle considerazioni del genitore alienante, per quanto probabilmente si sarebbe mostrato non collaborativo nella maggior parte dei casi a fornire informazioni sul caso.
Altro limite è dato dal fatto che la valutazione e l’esame del materiale di follow up è stato unicamente realizzato dallo stesso autore, manca quindi il confronto con un altro osservatore indipendente
Rispetto a questo, Gardner ha giustificato l’assenza di una terza persona quale intervistatore, per il fatto che aveva già stabilito una relazione di fiducia con la quasi totalità dei genitori vittimizzati, e questo gli garantiva “la loro disponibilità”. Anche per quanto riguarda i dati sulla diffusione di queste sindromi, viene citato il lavoro di Arditti (1992) che ha riferito che il 50% di un campione di 125 padri indicava che la madre intralciava le loro visite ai figli.
Se tutto questo fosse solo il contenuto di un blog MRA (Men’s Right Activists) potremmo prenderle per chiacchiere pittoresche. Non è così. Sono vere e proprie armi utilizzate in un ambito giuridico dove il giudizio nei confronti delle donne è molto attivo tendente al persecutorio, dove alle donne tendenzialmente non si crede, dove uomini colpevoli possono accedere a moltissime scusanti che attenuano le loro azioni (il raptus, la malattia mentale, il troppo amore) mentre le donne si vedono addossare tutte le colpe tipiche di una visione binaria e arcaica dei generi: hanno provocato la violenza per il vestiario o il comportamento, hanno spezzato il cuore dell’altro imponendo una separazione non voluta, non ultimo minano la potestas sui figli attirandoli a sé in maniera esclusiva con l’inganno delle lusinghe.