Allontanamenti dei minori: dopo dieci anni intervenga il Garante

Le avvocate di Differenza Donna scrivono al Garante nazionale per la libertà personale sui prelievi dei bambini

Teresa Manente
Teresa Manente
Avvocata penalista esperta in gender violence, Responsabile dell'ufficio legale di Differenza Donna e consulente giuridica della Commissione di inchiesta parlamentare sul femminicidio e su ogni forma di violenza. Ha pubblicato "La violenza nei confronti delle donne dalla Convenzione di Istanbul al Codice Rosso" (Giappichelli)



Le scriventi Avv.te Maria Teresa Manente e Ilaria Boiano, facendo seguito ai contatti pregressi con l’intestato Ufficio in qualità di difensori di fiducia della signora A.L., si permettono di sottoporre all’attenzione dell’Ill.mo Ufficio del Garante nazionale delle persone private della libertà personale le seguenti questioni emerse nel corso dell’assistenza difensiva prestata a favore altresì della signora L.M., in quanto si ritengono rilevanti alla luce del mandato di codesto Ill.mo Ufficio e nel contesto della richiesta di intervento rivolta a Codesto ufficio.

Dieci anni di prassi tossiche nei tribunali ordinari e dei minori

Si ritiene doverosa una premessa di natura descrittiva del contesto in cui si inseriscono le modalità di trattamento riservato alle donne e ai loro figli minorenni nel contesto dei giudizi pendenti dinanzi ai Tribunali ordinari e Tribunale per i minorenni riguardanti l’esercizio della responsabilità generale. Come già rilevato con preoccupazione da parte degli organismi internazionali:

da dieci anni negli uffici giudiziari competenti in materia di affidamento dei figli si sono radicate prassi applicative del diritto di famiglia particolarmente discriminatorie nei confronti delle donne

le quali sono sistematicamente accusate di condotte ostative della genitorialità paterna allorché i figli e le figlie manifestino difficoltà fino al rifiuto di avere contatti con il padre. Il tema è già al vaglio della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e ogni forma di violenza di genere istituita presso il Senato e presieduta dalla On. Valeria Valente, che ha ritenuto di approfondire l’indagine acquisendo oltre 2.000 fascicoli presso gli uffici giudiziari italiani, dal momento che suddette accuse sono mosse per lo più nei confronti di donne che hanno segnalato in sede civile e/o in sede penale condotte maltrattanti e altre forme di violenza da parte dell’ex partner nei loro confronti e/o alla presenza dei minori e/o nei confronti di quest’ultimi.

La costrizione all’incontro con l’ex maltrattante

Quotidianamente su tutto il territorio e dinanzi a tutti gli uffici giudiziari le donne temono di accedere alla giustizia se vittime di violenza domestica in quanto temono di vedersi allontanate dai figli e dalle figlie minorenni e sono esposte a vittimizzazione secondaria nei giudizi di regolamentazione dell’affidamento perché costrette a incontrare l’ex partner violento per dimostrare di essere “buone madri”, pur in pendenza di processo penale con applicazione di misure cautelari a loro tutela (ex artt. 282 bis e ter c.p.p.) e a tutela dei figli/e riconosciuti persone offese dai maltrattamenti assistiti.

Ciò accade in violazione della Direttiva europea n. 29/2012 sui diritti delle vittime di reati di violenza maschile nelle relazioni di intimità che vieta il contatto diretto tra vittima e indagato o imputato

Molte sono le donne costrette a percorsi di mediazione vietati dalla Convenzione di Istanbul ex art. 48 e viene ignorato l’art. 31 della Convenzione di Istanbul che impone “al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli” di prendere in considerazione gli episodi di violenza. I provvedimenti di limitazione/ablazione della genitorialità delle donne si fondano sulla base di consulenze psicoforensi che perseguono formalmente il modello familiare strutturato intorno al principio della bigenitorialità quale unica e sola dimensione che garantirebbe il sano sviluppo dei figli minori. Questa cornice ideologica, di per sé priva di fondamento giuridico, ma anche sociologico e scientifico, si conferma mero pretesto per danneggiare esclusivamente le donne, poiché mai viene invocato per censurare le inadeguatezze genitoriali paterne, ma

solo per screditare le madri, per lo più coloro che hanno osato ribellarsi al controllo e alla violenza dell’ex partner

Le donne che si separano da un partner violento sono a rischio

Nessuna donna che denuncia violenza nelle relazioni familiari è ormai protetta contro insinuazioni pretestuose che poi divengono assurde “diagnosi” di alienazione genitoriale e tutte le donne che decidono di separarsi o di richiedere all’autorità giudiziaria la regolamentazione dell’affidamento dei/delle figli/e sono a rischio di essere stigmatizzate quali “madri malevoli”. Per le donne straniere si aggiunge lo stigma di inadeguatezza motivato da valutazioni razziste.

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 17 maggio 2021 n. 1327, ha consolidato un orientamento ormai netto sul tema, chiarendo che i provvedimenti assunti recependo in maniera acritica censure alla genitorialità materna genericamente motivate sulla base della cosiddetta sindrome della “madre malevola”, o altre locuzioni, come “madre alienante”, “madre simbiotica”, restaurano nel contesto dei procedimenti civili la cosiddetta “colpa d’autore”, risalente a dottrine giuridiche espunte dal nostro ordinamento in quanto incostituzionali, con gravi conseguenze sullo sviluppo psicofisico dei figli e delle figlie.

Raccomandazioni internazionali

Il comitato CEDAW nel 2011 e poi nel 2017 ha espresso preoccupazione per l’incremento di provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale delle donne, che hanno denunciato violenza nelle relazioni di intimità, basate sulle valutazioni di consulenti che contengono riferimenti alla PAS (Sindrome di alienazione parentale). Il Rapporto del gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la violenza domestica e ogni altra forma di violenza di genere contro le donne (GREVIO) nel 2020 ha sottolineato l’inadeguatezza della risposta giudiziaria in materia di affidamento dei figli e delle figlie vittime di violenza assistita, stigmatizzando come inaccettabile in quanto illegittimo il ricorso alla cornice argomentativa dell’alienazione parentale per limitare la genitorialità materna.

Malgrado questi siano tra i più importanti organismi internazionali che hanno preso posizione sul tema e sulle conseguenze preoccupanti che si registrano in Italia sui diritti delle donne, non si contano più i bambini e le bambine che sono allontanati dalle madri perché ritenuti vittime di mamme giudicate alienanti quando manifestano la paura di incontrare i padri maltrattanti

i minori patiscono, quale conseguenza diretta, la recisione del legame materno con modalità che si traducono in trattamenti inumani e degradanti

Prelievi forzosi dei bambini da parte dei tribunali

Le modalità di esecuzione dei provvedimenti adottati sulla base delle illegittime valutazioni psicoforensi sono violente e confermano la natura coatta e contraria alla volontà dei minori coinvolti, nonché il grave rischio correlato alla loro esecuzione per la salute: sistematicamente si dispone l’ausilio della forza pubblica e si predispone la presenza di ambulanze con medico a bordo.

Ciò comprova la consapevolezza delle autorità giudiziarie, dei servizi sociali e sanitari territoriali nonché delle forze dell’ordine di arrecare un pregiudizio alla salute psicofisica dei minori destinatari dei provvedimenti

La maggior parte dei provvedimenti, inoltre, dispone non solo l’allontanamento dalla figura materna, sempre esente da condotte maltrattanti, ma anche il collocamento presso case famiglia con divieto per considerevole periodo di tempo (almeno sei mesi) di ogni contatto con l’esterno, ma soprattutto con la madre e ogni familiare del ramo materno, per essere così “riavvicinati” al padre attraverso percorsi di psicoterapia delegati a figure di psichiatri o psicologi forensi, spesso estranei al servizio sanitario nazionale, in quanto operanti nell’ambito di cooperative e associazioni. Si tratta in sostanza della procedura della terapia della minaccia, definita così dal controverso psichiatra statunitense Richard Gardner, ideatore della sindrome di alienazione parentale, che si aggiunge quale trattamento sanitario obbligatorio che viene imposto ai minori, per lo più fuori dal controllo pubblico, anche in ordine alla validità degli approcci impiegati, del servizio sanitario nazionale.

Trattamenti inumani e degradanti nel corso dell’esecuzione dei provvedimenti nei confronti dei minori

Le scriventi sottopongono all’attenzione di codesto Ill.mo Ufficio innanzitutto le modalità di esecuzione dei provvedimenti. In ordine al caso già segnalato della signora A.L., che ha denunciato i fatti avvenuti il 15 giugno 2021 nel corso dell’esecuzione del trasferimento del minore presso il padre, si evidenzia che a seguito di tale esecuzione e a fronte delle condizioni del minore, peraltro pure queste attribuite alla madre, nessuna figura sanitaria ha presenziato né ha visitato il minore nell’immediatezza del prelievo e successivamente.

Da oltre un mese dall’allontanamento del minore, collocato presso il padre, la signora A.L. non ha ancora potuto incontrare il figlio, perché la Corte di appello (…) ne ha limitato la frequentazione in ragione della ritardata esecuzione del provvedimento attuato

Riesce a parlare con il figlio solo per pochi minuti una volta al giorno e il bambino non è stato ancora mai visitato da personale medico-sanitario, ma solo incontrato dal servizio sociale territoriale. Questa è l’ultima esecuzione con queste modalità. In ordine alla signora L.M. si evidenzia che con provvedimento del 9 luglio 2021 la Corte di appello confermava il decreto di decadenza della responsabilità genitoriale della signora sul figlio con immediato allontanamento del minore dal contesto familiare ed il suo collocamento in idonea casa famiglia delegando per I’esecuzione il S.S. (…) di concerto con il tutore ed il curatore speciale con l’ausilio di personale dell’Ufficio Minori della Questura (…) in abiti civili. Dispone che il minore prosegua il percorso psicoterapico già intrapreso. Dispone la temporanea sospensione di ogni rapporto tra la madre L.M. e il minore.

Si evidenzia che ciò è stato disposto nonostante la manifestata volontà da parte del bambino di non allontanarsi dalla madre, documentazione medica attestante le condizioni di salute del minore incompatibili con l’allontanamento forzato dalla madre e con il suo collocamento extra-familiare e il parere contrario del servizio sociale incaricato che di fatto manifesta obiezione di coscienza all’esecuzione dei provvedimenti.

In questo momento è in atto un vero assedio per prelevare il minore che si rifiuta di lasciare la madre

La privazione della libertà personale dei minori

Come sopra già evidenziato, i provvedimenti in genere non solo sono limitativi della responsabilità genitoriale materna, ma stabiliscono il collocamento presso “case famiglia” dei bambini e delle bambine, anche contro la loro volontà espressa con consapevolezza e maturità, secondo i parametri desumibili dalle convenzioni internazionali rilevanti in materia di ascolto dei minori. Le condizioni imposte includono il divieto di ogni contatto con la madre, spesso per un tempo indeterminato, nonché l’azzeramento di ogni pregressa abitudine di vita e contatto con la dimensione sociale e relazionale costruita dai bambini e dalle bambine insieme alla madre, il divieto di contatto con l’esterno.

Riservando ogni censura di merito e di legittimità dei provvedimenti adottati in punto di affidamento dei figli e di limitazione della responsabilità genitoriale alle sedi giudiziarie competenti, ritualmente dalle nostre assistite, con questa nota segnaliamo a codesto Ill.mo Ufficio l’illegittimità delle modalità di esecuzione materiale dei provvedimenti che risultano comprimere irragionevolmente e in modo sproporzionato la libertà personale dei minori e il loro diritto alla salute, con imposizione di trattamenti psicologici e/o psichiatrici, configurandosi trattamenti inumani e degradanti in violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 13 e 32 Cost. nonché in violazione degli artt. 2, 3 e 8 CEDU, non trovando giustificazione alcuna nella disciplina predisposta dal legislatore a tutela dei minori.

bambini destinati a subire restrizioni di fatto della loro libertà personale, privati di ogni relazione familiare con la madre al di fuori dei casi consentiti dalla legge e con modalità lesive dei diritti e delle libertà fondamentali

Le richieste al Garante nazionale 

Tanto fin qui esposto, con la presente chiediamo all’Ill.mo Ufficio del Garante nazionale delle persone private della libertà di monitorare in generale tutte le esecuzioni dei provvedimenti riguardanti i minori sul territorio nazionale con ausilio della forza pubblica; di monitorare ogni iniziativa esecutiva della Questura (…) nei confronti di L.M. e del figlio; di assumere informazioni sulle condizioni di collocamento in cui si trovano ristretti i minori allontanati dalle loro madri in ragione di provvedimenti adottati dagli uffici giudiziari sul territorio nazionale con motivazioni che includono il riferimento, in ogni sua declinazione, a presunte condotte ostative, alienanti o manipolative delle madri.

Al fine di reperire i riferimenti dei casi meritevoli di attenzione e approfondimento si chiede di valutare la consultazione con la Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta del Senato sul femminicidio e ogni forma di violenza nei confronti delle donne on. Valeria Valente.

Con osservanza

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Lettera delle Avvocate Maria Teresa Manente e Ilaria Boiano dell’Ufficio legale di Differenza Donna all’attenzione dell’Ufficio del Garante nazionale delle persone private della libertà con oggetto: “Segnalazione di sistematici trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei minori e situazioni arbitrarie di privazione di fatto della libertà personale dei minori”

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