Nulla più del mondo virtuale, dove tutto pare lecito e nessuna responsabilità è dovuta, può sfociare nell’eccesso. Avere una platea esalta legioni di frustrati: fine ultimo è il click che si autoalimenta. L’asticella spinge ogni giorno un po’ più in là la soglia dell’indicibile, poiché un dispositivo ben oliato s’innesca facilmente.
Haters nell’etere
L’odiatore da tastiera lo incontriamo al bar, per le scale del condominio, in ufficio. Vive in una metropoli o in una piccola città. Può essere di volta in volta un innocuo pensionato, una dolce signora, un ragazzo timido, un professionista stimato, un importante dirigente: nei social si trasforma in un mostro di rabbia repressa, ma per lo più ritira ciò che scrive in presenza di reazioni decise: “Era uno scherzo, non volevo offendere”.
Sono pavidi, sono vigliacchi. Attaccano gli ebrei e non vogliono esser chiamati antisemiti, scrivono “sporco negro” e non si definiscono razzisti, disegnano svastiche sui muri e si dissociano dal nazismo, denigrano le donne ma guai ad accusarli di misoginia o di sessismo. Di fronte all’ipotesi di conseguenze legali se la fanno sotto
Dapprima nega, poi davanti alle registrazioni dice:” Avevo bevuto troppo e ho esagerato”. È il pizzaiolo ventenne che sul molo di Lampedusa, dopo l’attracco della Sea Watch, augurò lo stupro alla capitana dell’imbarcazione (una dei maggiori bersagli dei messaggi d’odio, com’è facile che sia quando il sessismo si coniuga al razzismo).
Gli attacchi a Laura Boldrini
Insultò il presidente Mattarella sui social, 68enne piange davanti ai pm: “Non voglio andare in carcere, mi sono fatta condizionare”. Quando Laura Boldrini, prima di passare alle vie legali, pubblicò i nomi di coloro che la minacciavano e li chiamò a discutere pubblicamente, molti si sottrassero balbettando, alcuni fecero scrivere dalla moglie o dalla madre per domandare scusa. Luglio 2018. Un consigliere comunale di Genova definì Laura Boldrini “bal**acca” in un post. “Non volevo offendere, sono stato leggero”, disse quando la sua frase venne ripresa dalla stampa. Nell’estate 2017, dopo uno stupro a Rimini, il sindaco twittò riferendosi ai colpevoli: “Potremmo dargli gli arresti domiciliari a casa della Boldrini, magari gli mette il sorriso”. Ottenne l’appoggio di un viceministro. Un anno dopo si dichiarò pentito, parlò di frase infelice e aggiunse che “Ora, se incontrassi la Boldrini, le porgerei le mie scuse”.
Lo stupro una “bambinata”
Luglio 2017, trasmissione tv “L’aria che tira”. Il sindaco di Pimonte definì uno stupro di gruppo (dodici ragazzi su una quindicenne) “una bambinata”: poco più che una marachella. Molti utenti dei social in rivolta e il sindaco chiese scusa: “Sono nonno di tre nipoti”. Agosto 2017. Il segretario cittadino di san Giovanni Rotondo di “Noi con Salvini” condivise sulla propria bacheca Facebook la notizia dello stupro avvenuto a Rimini ai danni di una coppia di turisti, con questo commento: “Ma alla Boldrini e alle donne del Pd, quando dovrà succedere?” (poi cancellato). Ancora agosto 2017. Su Facebook – sotto la pagina del Resto del Carlino che pubblicava la notizia di una violenza di gruppo – un ragazzo commentò:
“Lo stupro è peggio ma solo all’inizio, poi la donna diventa calma ed è un rapporto normale”. Spaventato dai commenti rimosse il post
Febbraio 2018. Post su Facebook dopo la seduta di consiglio comunale che a Desio approvò una mozione antifascista: “Spero vivamente che alcune consigliere subiscano violenza e stupro da parte di qualche bel nigeriano, forse è proprio quel che cercano” (poi cancellato). Novembre 2018. Tanti gli attestati di solidarietà per Maria Rosaria Coppola, divenuta suo malgrado un’eroina del web dopo aver preso posizione in un treno locale a tutela di un immigrato cingalese, ma anche qualche commento choc: “Attenta allo stupro selvaggio con banchetto cannibale finale” (poi cancellato). Dicembre 2018. “Una cagna dell’Anpi che nega le foibe. La andiamo a prendere e la stupriamo?” Vittima del post una consigliera comunale di Vinci. Quando partì una catena di solidarietà per sostenere la donna, l’autore oscurò il profilo. Era il maggio 2019 quando una consigliera della Regione Piemonte criticava il ministro dell’Interno sul caso Diciotti. Un giornalista de La7 raggiunse allora alcuni dei “leoni da tastiera” che auguravano lo stupro a lei e alle sue figlie. Di fronte alle telecamere si affrettarono a negare quanto avevano scritto. Dicembre 2019. La fotografia di alcune ragazze in un corteo di “sardine nere per difendere i diritti di clandestini e immigrati” e un commento razzista e sessista:
“Quando non battono, nuotano”. A scriverlo sulla sua pagina Facebook, infarcita di post simili, un consigliere comunale di Cremona. Post cancellato dopo l’ondata di indignazione salita dalla rete
Un consigliere comunale di Casalecchio di Reno scrive che per il 90% le denunce per abusi da parte delle donne sono inventate. L’opinione pubblica reagisce con sdegno e indovinate qual è la reazione del prode leghista? Mostra dati che certifichino le sue affermazioni? No. Dice che non voleva offendere nessuno e che lui è sempre stato vicino alle persone che subiscono violenza.
Ottobre 2020: un consigliere comunale di Amelia insulta pesantemente su Facebook la ministra Azzolina. Il solito copione: polemiche e poi scuse. Dicembre 2020: “Lasciare Giorgia Meloni in Libia come contropartita, insieme a Di Maio e Salvini, per impiegarla sul porto come risorsa dei marinai”. È l’odioso post dell’ex sindaco di Remanzacco: anche questo cancellato. La stessa linea di condotta viene seguita nelle interviste e nei processi da molte famiglie degli stupratori reali (non sapevano, non erano in sé, è stato solo un attimo, sono bravi ragazzi): prima leoni e poi conigli. Ed ecco adesso il politologo francese Olivier Duhamel, che ammettendo le accuse di violenza sessuale rivoltegli dal figliastro (all’epoca quattordicenne) le definisce “una grande stupidità” e “un errore”. Reato bagatellare, insomma.