Da principessa a guerriera senza perdere la propria “femminilità”

L'ossessione della bellezza sensuale e provocante permane anche quando le donne invadono ruoli "maschili"

Judith Pinnock
Judith Pinnock
Psicologa e psicoterapeuta italo inglese, è esperta di linguaggi e comunicazione di genere. Ha scritto "A Tavola con Platone" e "Bella CostituZIOne" (Ferrari Sinibaldi).



Quando il corpo si ammala facciamo ricorso alla scienza medica che, ormai da anni, si è accorta che la persona non è solo un corpo che sa comunicare tramite sintomi, ma anche mente, termine nel quale dobbiamo includere le emozioni, le esperienze, la storia della persona stessa.

La compliance

È dunque acclarato che la capacità di reagire, un atteggiamento proattivo, non perdere la proiezione di sé nel futuro e altre componenti del pensiero positivo aiutino moltissimo il percorso di cura, tanto che si parla anche della compliance del/la paziente, cioè il grado di osservanza delle cure farmacologiche e dei consigli più generali legati allo stile di vita salutare. Non intendo mettere in dubbio l’importanza di questo tema, però vengo colpita e incuriosita da un termine che sempre più spesso viene affiancato a una donna che è affetta da una grave malattia, che ne soccombe, ma anche a chi deve difendere con forza un suo diritto o la sua stessa esistenza. Si dirà, nel linguaggio diffuso, che è, o che ci si aspetta che sia, una guerriera. Spesso le parole di tendenza mi lasciano un senso di fastidio, il sospetto che nascondano uno di quegli stereotipi striscianti e dall’apparenza luccicante, di quelli che fanno gola. Come smascherare l’imbroglio, se c’è? Inizio, al solito, dall’approfondire il significato della parola. Il noto motore di ricerca è utilissimo perché, digitando un termine, algoritmi basati in particolare sulla frequenza delle ricerche e degli abbinamenti suggeriscono dei completamenti della frase, aprendo così ai nostri occhi uno spaccato della cultura mainstream.

Non stupisce quindi che il primo collegamento ad apparire sia il termine al maschile, del resto se proprio dobbiamo declinare al femminile è bene che qualcuno ci ricordi che stiamo invadendo un territorio tradizionalmente altrui

Dunque guerriero è: “Uomo (o anche donna) armato per il combattimento (con una sfumatura eroica)”. A seguire riferimenti alla guerriera come figura archetipica di donna forte, combattiva, spesso di sangue reale. Immancabile la pubblicità di un corso a pagamento dove un atleta e una sportiva che si dichiara “maestro” di kung fu, garantiscono alle partecipanti che faranno emergere la guerriera che è in loro senza che perdano la femminilità. Ne ho in abbondanza per argomentare il disagio iniziale.

Armi e armature

Politica, aziende, costume: ovunque prendono piede e si affermano metafore belliche. Ti muovi in un movimento pacifista e non violento, ma sei unə militare. In azienda autorevoli consulenti parlano di cosa deve fare un capo con i suoi uomini (mai sentito usare il termine persone) per rafforzare la squadra e conquistare le armi più efficaci per sbaragliare la concorrenza. Si offrono corsi di sopravvivenza per aumentare autostima e senso di efficacia. In politica e in azienda si costituiscono task force per affrontare con decisione e in breve tempo un problema, definendo tattiche e strategie. Se la task force non basta si fa ricorso a un think tank, gruppo di esperti che analizzeranno scenari e soluzioni. Termine, l’ultimo, nato durante la seconda guerra mondiale. Tank vuol dire carro armato.

Si potrebbe pensare che solo il gergo militare possa offrire parole efficacemente evocative. Cogliendo il suggerimento di una mia corsista, tento il seguente esperimento

Potremmo paragonare la persona in posizione apicale ad unə chef capace di amalgamare gli ingredienti del suo gruppo di lavoro, esaltando i sapori, i profumi, i colori di ciascunə così come in cucina si impara a rispettare la materia prima. Definire “panificazione” il lavoro necessario per raggiungere gli obiettivi, perché richiede non solo la crescita della lievitazione ma anche la maturazione dell’impasto, alternando momenti di lavorazione anche energica a momenti di riposo, per arrivare a un prodotto fragrante che durerà nel tempo. Ma che sciocchina sono, usando un linguaggio diverso viene fuori un modello di produzione diverso. Torno allora alla nostra guerriera.

La principessa e la guerriera

Il sangue reale è il mio secondo problema. Intanto perché la nobiltà pare l’unica occasione di chiamare il sangue col suo nome quando è associato a una donna, anche se poi, appunto perché nobile, nelle pubblicità di assorbenti diventa blu. Poi perché della supposta aspirazione di tutte di diventare o essere considerate principesse non se ne può più. Vi invito a leggere o rileggere il bellissimo “Prima le donne e i bambini” di Elena Gianini Belotti, che parte dallo smascheramento della figura eroica maschile nelle narrazioni storiche e letterarie, e del ruolo in esse riservato alle figure femminili.

Un ruolo di contorno definito da vulnerabilità che definisce e rafforza la potenza dell’eroe. Si sancisce così l’ambito riservato alle donne: quello di essere strumenti per assicurare la prosecuzione della specie, destinatarie di galanterie ma non di titolarità e protagonismo

Di conseguenza ci verranno aperte le portiere delle automobili, ci verrà porto il braccio per sostenerci, noi esserini così delicati, ci verranno offerti doni e pagati i conti di bar e ristoranti. Non ci verrà, in cambio, garantito l’accesso all’autonomia economica e personale, né a lavori gravosi o pericolosi, dove si potrebbe rischiare di perdere un’incubatrice. Quindi il nostro destino è quello della principessa che non ambisce al suo regno, ma che è soggetta a perdere dignità e vita e che resterà morta fino a che un principe non la risveglierà. Il nostro retaggio è il matrimonio, i patrimoni invece vanno agli uomini. Il mito della principessa è così radicato che sui social si sono diffuse diverse immagini che rivendicano il diritto di tutte ad esserlo. Per le bambine sottoposte a chemio è stato disegnato il gruppo di principesse Disney al completo con le teste calve e non manca la piccola modella con sindrome di Down, ovviamente vestita da principessa. Quando però la principessa si arma e diventa guerriera questo potrebbe sembrare un superamento, un’emancipazione.

Armata ma sensuale e provocante

Confesso, sono una Marvel addicted, del resto da piccola leggevo più spesso Superman che Topolino. Deduco, dalle protagoniste dotate di superpoteri dell’universo Marvel ma anche dallo sforzo politically correct del più generale mondo Disney, che

la guerriera non è contraddistinta solo da forza, coraggio, combattività, fierezza, onore e quant’altro come nel caso del collega uomo. Deve anche essere incredibilmente bella

Anche il supereroe è mediamente bello, ma la bellezza femminile come sempre è condita da sguardi seducenti e labbra socchiuse. Del resto anche il corso che ho citato all’inizio promette alle future guerriere che non perderanno la femminilità. Ma perché correremmo questo rischio? Perché all’origine era un guerriero, e noi stiamo entrando in un mondo che non dovrebbe essere il nostro. Mi stupisco sempre, positivamente, quando una serie tv propone una protagonista femminile che non risponde al modello estetico imperante, che più che estetico è in realtà comportamentale. Resta più frequente la presenza di poliziotte che compiono improbabili inseguimenti su tacchi altissimi, e comunque l’ossessione per una bellezza che sia anche provocante e ammiccante.

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