Alla fine ce l’abbiamo fatta: la richiesta sui profili d’incostituzionalità della legge Merlin, la legge che nel 1958 chiuse quelle che furono chiamate dalla stessa senatrice le prigioni delle donne, sono stati respinti dalla Corte Costituzionale. A chiederla erano stati i Giudici di Bari su richiesta dei difensori degli imputati al processo sulle ragazze procacciate e offerte come merce sessuale, tra il 2008 e il 2009, all’ex premier Silvio Berlusconi da Gianpaolo Tarantini, nella parte in cui punisce chi recluta ragazze che, secondo loro, si prostituiscono invece per libera scelta; a chiedere di respingere queste tesi, l’avvocata del Consiglio dei Ministri e le avvocate Antonella Anselmo e Teresa Manente (di seguito la richiesta di Differenza donna) in rappresentanza delle associazioni di donne contrarie (Rete per la parità, Resistenza femminista, Donne in Quota, Coordinamento Italiano della Lobby Europea delle Donne Lef Italia, Iroko, Salute Donna, Udi Napoli, Differenza Donna).
Ieri, dopo l’ascolto della Consulta, in una conferenza stampa che si è svolta alla Federazione nazionale della Stampa, le avvocate hanno raccontato particolari della discussione dove gli avvocati che hanno richiesto il parere della consulta, hanno parlato non solo di “donne libere di scegliere di prostituirsi” ma addirittura di “vocazione”, come se una donna aspirasse a questo nei suoi sogni di bambina. E questo in un’atmosfera in cui la Lega al governo, non vede l’ora di riaprire quelle case che Merlin chiuse per sempre liberando donne e ragazze da questa schiavitù: uno Stato che vuole speculare su questo denaro derivato dal traffico di esseri umani e che vuole schedare le prostitute, controllando la loro salute, come si fa con gli animali.
Durante la conferenza stampa, oltre alle avvocate e alla presidente della Rete della parità, Rosanna Oliva, che ha voluto fortemente questo intervento e che ieri ha lanciato l’idea di un osservatorio sui ricorsi che arrivano alla Corte costituzionale, sono intervenute due scrittrici Rachel Moran e Julie Bindel, che sull’argomento hanno scritto due libri illuminanti: “Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione”, e “Stupro a pagamento”, entrambi convinte che la chiave per sconfiggere questo abuso sia la penalizzazione dei clienti sul modello nordico già in vigore in Svezia (dove è quasi scomparsa), Norvegia, Islanda e Francia. Bindel, giornalista e scrittrice inglese, ha sottolineato che
la prostituzione non è riconosciuta come violenza e questo è un problema
perché quella subita dalle donne in generale e dai bambini viene riconosciuta. Per lei l’idea degli uomini che possano avere accesso al corpo di una donna pagando, ci dà l’idea che il consenso non ci sia, perché altrimenti non pagherebbero: l’idea del diritto maschile viene presentata come una posizione progressista mentre invece è un’idea molto vecchia che nessun paese dovrebbe accettare. Rachel Moran ha vissuto questa esperienza in prima persona, e ha raccontato di come le donne che le passavano accanto, si girassero dall’altra parte, mentre lei a 15 anni era sulla strada e si chiedeva:
“Perché non capite, non riuscite a vedermi, sono qui e sto vivendo questo abuso”
“Un momento storico pericoloso per questo Paese – ha aggiunto Moran parlando dell’Italia – perché è in corso una guerra contro le donne dove c’è bisogno di una battaglia forte, vecchio stile”. Per Moran però La cosa fondamentale che dobbiamo vedere è che la prostituzione è violenza maschile sulle donne anche quando un uomo non ha mai picchiato perché il fatto che un uomo mettere le mani addosso su di me è già una violenza intima.
Gli uomini – continua – quando parlano di sessualità, parlano sempre dei loro desideri, di quello che vogliono e di quello di cui hanno bisogno, eppure quello che loro desiderano non è un bisogno quindi non è un loro diritto. E questo va fatto emergere, per poterlo smantellare”. Per Linda Laura Sabbadini l’attacco è globale su tutti i diritti: dalla riapertura delle case chiuse, alla riforma della famiglia del ddl Pillon, ma anche la legge che stabilisce a prolungare il lavoro delle donne in stato di gravidanza fino al nono mese che può essere un attacco a quelle più vulnerabili e ricattabili.
Infine Donatella Martini, presidente Donne in Quota, ha chiesto una maggiore visibilità di questi argomenti anche nel main streaming che sembra ignorare questo dibattito, mentre Ilaria Baldini, di Resistenza femminista, ha ribadito la sommerso della violenza nell’ambito prostitutivo, in quanto sembra che quello che avviene in questo ambito non sia considerata come violenza, come abuso.