In Polonia l’influenza delle posizioni più reazionarie e fondamentaliste della Chiesa cattolica è ormai conclamata e l’attacco ai diritti – specie quelli delle donne – è quotidiano. Anche il nostro Paese è avviato sulla stessa strada: tra le posizioni del ministro Fontana contro l’aborto e i diritti dei gay, le mozioni di vari comuni a sostegno di associazioni sedicenti ‘prolife’ e l’osceno ddl Pillon sull’affido condiviso – che, di fatto, mette in questione il diritto al divorzio – i segnali della deriva reazionaria ci sono tutti.
Il contesto europeo
L’ascesa delle destre fuori e dentro le coalizioni di governo in Europa, con partiti e gruppi che fanno riferimento diretto ai princìpi della Chiesa cattolica come punti fondanti della propria politica, ha tra i suoi preoccupanti effetti lo smantellamento dei diritti, a partire da quelli delle donne. I segnali in tal senso sono tanti. Mettiamone in fila qualcuno. 333 associazioni reazionarie e ultracattoliche provenienti da nove paesi dell’Europa centro-orientale – come Lituania, Slovacchia, Romania e Ucraina – hanno indirizzato una lettera al segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, per chiedere la revisione della Convenzione di Istanbul per il contrasto alla violenza di genere.
A Chişinău, in Moldavia, il World Congress of Families ha riunito quest’anno tutti i principali partiti e le ong che difendono la famiglia naturale (uomo/donna) e si oppongono all’aborto, alle unioni civili e allo scioglimento del sacro vincolo del matrimonio: un raduno cui era presente il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, e che Matteo Salvini ha salutato con un messaggio letto dal palco nel quale ha sottolineato che «in questi tempi di aggressione distruttiva e irrazionale ai valori fondanti delle nostre culture, gli sforzi per proteggere la famiglia naturale sono un elemento vitale per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’umanità».
In Polonia, dove Diritto e giustizia (PiS) è stato riconfermato il primo partito nelle recenti elezioni amministrative, con qualche perdita nelle città, il governo di destra ha cercato più volte di restringere le maglie della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, inducendo ogni volta migliaia di donne a scendere in piazza per fermare questo progetto. Si tratta di una legge del 1993 tra le più restrittive in Europa (consente infatti l’aborto solo in caso di pericolo di vita per la donna, stupro o grave malformazione del feto) che la destra cattolica del PiS vorrebbe spazzare via in un paese in cui già oggi ogni anno si verificano circa 150 mila aborti clandestini.
L’attacco alla 194
Una deriva verso cui l’Italia si dirige da tempo per i continui attacchi e sabotaggi nei confronti di una legge, la 194 del 1978, ormai quasi impossibile da applicare dato che il 70 per cento dei medici si rifiuta di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg).
Uno svuotamento del diritto all’autodeterminazione delle donne che mette l’Italia quasi sullo stesso piano di paesi in cui l’aborto è vietato
come Malta, e sempre più lontana da paesi in cui l’obiezione è quasi inesistente – come l’Inghilterra (10 per cento), la Norvegia e la Germania (6 per cento), la Francia (3 per cento) – o del tutto inesistente, come la Svezia e la Finlandia. Come se non bastasse nelle ultime settimane papa Francesco ha paragonato chi pratica l’aborto a chi affitta un sicario per risolvere un problema e mozioni pro-life sono spuntate in diversi comuni italiani. La prima è stata Verona dove il consiglio comunale ha accolto con 21 voti a favore – tra cui quello della capogruppo del Partito democratico, Carla Padovani – e sei contrari, la mozione 434 del leghista Zelger mirante a finanziare associazioni cattoliche pro-life e a fare di Verona una «città a favore della vita».
Mozione che ha fatto proseliti e che, stando a quanto dichiarato dal responsabile giovani della Lega, Roberto Todeschini, sarà portata in tutti i comuni «con l’obiettivo di estenderla a livello regionale e nazionale». E infatti, a distanza di pochi giorni, nel comune di Ferrara, il consigliere Alessandro Balboni di Fratelli d’Italia ha depositato una mozione analoga per il sostegno economico alle donne al fine di distoglierle dall’intenzione di praticare l’Ivg, proclamando Ferrara «città che tutela gli indifesi», e una molto simile è stata presentata, sempre da Fratelli d’Italia, al comune di Roma per proclamare la capitale «città a favore della vita» e predisporre «risorse necessarie per sostenere i centri pro-life».
Mozione approdata anche a Milano dove il consigliere di Forza Italia Luigi Amicone, insieme alla Lega, ha chiesto di riconoscere «Milano città per la vita» e prevedere nel bilancio «congrui finanziamenti» a gruppi pro-life; così come a Modena, dove la consigliera leghista Luigia Santoro ha chiesto al comune di «proporre iniziative e politiche per il sostegno alla maternità e alla prevenzione delle condizioni che portano all’aborto».
I cattolici ultrareazionari hanno sostenitori anche nel governo. In prima fila per la salvaguardia dei valori cattolici tradizionali c’è il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana che, subito dopo l’insediamento del governo Lega-5 Stelle, ha fatto comprendere di che pasta è fatto dichiarando che «la famiglia è quella naturale» e che «purtroppo nel nostro contratto [di governo] non c’è la stretta sull’aborto».
Per Fontana «l’aborto è la prima causa di femminicidio nel mondo» e i valori da difendere «sono quelli della Chiesa cattolica»
contrapposti al «gender» e alle coppie arcobaleno, mentre i flussi migratori portano a «un annacquamento devastante dell’identità del paese che accoglie» e «la società ideale, per chi vuole arrivare a comandare senza che nessuno dia fastidio, è una dittatura leggera». Cattolico oltranzista, legato a gruppi dell’estrema destra veronese, e iscritto al Comitato No194, il leghista Fontana firmò nel 2011 per abrogare la legge sull’Ivg e punire donne e medici con una pena tra gli 8 e i 12 anni: una tessera rivendicata dal presidente del comitato, l’avvocato Pietro Guerini, che ha fatto pubblicamente gli auguri al ministro per il suo insediamento. Comitato che ha anche stretti rapporti con Roberto Fiore, leader di Forza Nuova, come dimostra la partecipazione di quest’ultimo, il 13 ottobre scorso a Milano, al corteo contro la 194 organizzato dall’associazione.
Sintonia evidentemente condivisa anche da Fontana, il quale nel 2015, al Verona Family Day, si fece fotografare con Luca Castellini, leader di Forza Nuova, e non ha mai nascosto la sua simpatia per gli amici di ProVita, il cui portavoce è Alessandro Fiore, figlio maggiore di Roberto, e il cui presidente, Toni Brandi, organizzò il primo Festival per la vita a Verona a cui partecipò anche il ministro.
Fontana rappresenta insomma il trait d’union tra la destra e quell’integralismo religioso che vorrebbe cancellare per sempre la laicità dello Stato
D’altronde il suo padre spirituale è Vilmar Pavesi, il parroco ultrareazionario monarchico che celebra la messa in latino in una chiesa frequentata da soli uomini.
Un nuovo fronte: l’affido condiviso
Oggi però in Italia, insieme a quello storico contro l’aborto, c’è un altro fronte che per la prima volta osa dove altri non avevano ancora osato: quello per il ripristino della patria potestà, cancellata dai progressi legislativi in materia di diritto di famiglia, e la messa in discussione del divorzio. Il progetto ha il volto di Simone Pillon, il senatore leghista neocatecumenale ormai famoso per il numero impressionante di critiche al disegno di legge sul diritto di famiglia da lui presentato in commissione Senato in sede redigente. Una proposta che ha fatto scomodare persino
le Nazioni Unite che in una lettera al governo italiano manifestano «grave preoccupazione» per il ddl
e si chiedono chiarimenti per la sua incompatibilità «con gli obblighi dello Stato italiano in materia di diritti umani». Critiche feroci sono arrivate da ogni parte, con la nascita di comitati No Pillon a Milano, Firenze, Torino, mentre la Rete dei centri antiviolenza (DiRe) ha lanciato una petizione per il ritiro del disegno di legge arrivata a quasi 100 mila firme, e una mobilitazione nazionale. A chiedere di cassare il disegno di legge Pillon non è solo la società civile ma anche avvocati, magistrati e organismi che si occupano dei diritti dei bambini e che esprimono forte preoccupazione: dal Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia (Cismai) all’Associazione italiana avvocati per la famiglia e per i minori (Aiaf), passando per l’Unione nazionale camere minorili, l’Associazione nazionale avvocati mediatori familiari (Anamef) e Magistratura democratica.
I pilastri sono quattro: la mediazione familiare obbligatoria a pagamento con un piano dettagliato che potrebbe prevedere, nel caso non ci si metta d’accordo, anche un coordinatore (figura tutta da inventare); tempi perfettamente paritetici con un minimo di 12 giorni al mese presso ciascun genitore e il bambino che andrà avanti e indietro con la valigia; il mantenimento diretto, che esclude l’assegnazione della casa (eventualmente chi rimane paga l’affitto all’altro) e l’assegno, per cui ogni genitore provvederà ai bisogni sul momento mentre i figli maggiorenni che hanno bisogno di soldi dovranno andare dal magistrato; e infine l’introduzione della cosiddetta alienazione parentale e dei falsi abusi.
In Italia infatti quando mamma e papà si separano la condizione economica sia delle donne (50,9 per cento) sia degli uomini (40,1 per cento) peggiora vertiginosamente
E questo a causa di un sistema sociale inefficiente che, a differenza dei paesi del Nord Europa, fa acqua da tutte le parti e, in caso di separazione, provoca fortissimi squilibri. In una crisi generale, ancora tutta da superare, in cui l’occupazione è sempre più precaria e il reinserimento delle madri nel mondo del lavoro è un percorso a ostacoli, il nucleo familiare in cui la mamma sta a casa con i figli e il papà va a lavoro resta la struttura portante della società. In Italia infatti una donna su tre rimane a casa dopo il primo figlio, mentre chi torna al lavoro lo fa part time e con stipendi dimezzati (a dirlo sono i dati Istat), per l’assenza, ormai quasi totale, di un welfare che metta in condizioni entrambi i genitori di lavorare a tempo pieno senza lasciare i figli per strada.
Se lo Stato italiano infatti si curasse di quei servizi che una famiglia dovrebbe vedersi garantiti e si adoperasse per facilitare l’occupazione a tempo pieno delle donne/mamme con stipendi uguali a quelli degli uomini, in caso di separazione madri e figli non peserebbero solo su quella che oggi spesso è l’unica entrata della casa, ovvero quella del padre, il quale, a sua volta, in queste condizioni, fatica a sostenere l’economia del nucleo nel momento in cui la coppia di separa.
Circostanze che già adesso portano molte coppie a rimanere come «separati in casa», per non ritrovarsi in uno stato di povertà: un problema quindi strutturale che non si risolve certo, come vorrebbe fare il ddl Pillon, togliendo la casa coniugale al minore, che ne ha diritto a prescindere da quale genitore vi rimane (a volte la casa resta al bambino con i genitori che si alternano), né lasciando al caso il mantenimento dei figli o togliendoglielo una volta raggiunta la maggiore età mentre magari ancora vanno a scuola. Sulla divisione della permanenza dei figli nelle case dei genitori senza distinzione di età – un bambino di tre mesi non è come un ragazzo di 15 anni – e sulla mediazione obbligatoria per tutti, Pillon ha fatto già un passo indietro, dichiarando che il disegno si rivolge a quella minoranza di coppie (sono il 18 per cento) che affronta una separazione ad alto conflitto, mentre la maggior parte delle coppie (l’82 per cento) oggi si separa consensualmente.
Ma i punti dolenti del ddl, scritto insieme al pediatra Vittorio Vezzetti e al neuropsichiatra infantile Giovanni Battista Camerini, non finiscono qui e sul resto Pillon non sembra voler retrocedere
Nell’articolo 11 i casi di violenza domestica che escludono l’affido condiviso sono equiparati alla qualità degli spazi abitativi degli ex coniugi. Le ipotesi di «pericolo di pregiudizio per la salute psicofisica del minore» che non prevedono il condiviso sono infatti così elencate: «violenza; abuso sessuale; trascuratezza; indisponibilità di un genitore; inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita del minore», mettendo tutto sullo stesso piano. Nello stesso articolo si precisa che tali motivi di esclusione dell’affido condiviso devono essere «comprovati e motivati» senza chiarire se, nei casi di violenza e abuso sessuale, per definirli in questo modo sia necessario il terzo grado di giudizio, per il quale in Italia occorre aspettare anni e anni, esponendo nel frattempo le vittime a gravi pericoli.
Un punto critico su cui Pillon non ha mostrato di voler fare marcia indietro, malgrado abbia dichiarato che i bambini «hanno diritto a non essere esposti alla violenza», affermando di non mettere in discussione «né l’ordine di protezione, né la misura cautelare del divieto di avvicinamento»: misure che contrastano però nettamente con l’articolo 12 del suo ddl. Negli articoli 17 e 18, scritti dal neuropsichiatra Camerini, si presuppone che i bambini non siano in grado di discernere e per questo, se rifiutano un genitore, pur in assenza di «evidenti condotte» dell’altro che abbiano potuto determinare questo esito, il magistrato può togliere la responsabilità genitoriale a quest’ultimo, colpevole di «alienazione parentale», punendolo anche se non ha mai parlato male dell’ex. Inaudita altera parte,
il piccolo potrà essere prelevato e messo in una struttura specializzata o affidato all’altro genitore in maniera esclusiva, anche se quest’ultimo aveva perso l’affido per gravi condotte come violenza e abuso
Inventata nel 1985 dallo psichiatra americano Richard Gardner, la Pas (Parental Alienation Syndrome) alias Alienazione parentale, teorizza che se un bambino rifiuta un genitore la colpa è immancabilmente dell’altro e che le eventuali accuse di violenza sono false perché frutto di manipolazione del genitore alienante ma, mentre per Pillon chi aliena può essere sia il padre sia la madre (anzi per il senatore sono più i papà alienanti che le mamme), per Gardner è sempre la madre ad alienare i figli nei confronti del padre.
Chi c’è dietro il ddl Pillon
Ma da dove viene questo disegno e chi lo vuole veramente? Il disegno di legge Pillon ha origini lontane. Già dopo l’approvazione dell’attuale legge sull’affido condiviso, la 54 del 2006, alcune associazioni di padri separati si misero a scrivere proposte per modificarla: proposte trasversali poi presentate dai diversi schieramenti politici in cui la lobby pro-Pas è riuscita a infiltrarsi negli anni. «È abbastanza evidente», spiega Mazzeo, «che l’obiettivo reale è stato sempre quello di introdurre l’alienazione genitoriale in un provvedimento legislativo che consentisse l’automatismo del cambio di affidamento del minore sulla base di questa diagnosi formulata dai cosiddetti esperti nelle Consulenze tecniche d’ufficio (Ctu), eludendo ogni valutazione giudiziaria: un tentativo che oggi si ripropone con il disegno di legge Pillon».
Tra tutti i progetti in materia presentati negli anni in parlamento, forse una trentina, quello che ha avuto una storia simile al disegno di legge 735 è il 957 che, con contenuti simili al testo Pillon, arrivò in commissione Senato nel 2008 e per un soffio, grazie alla mobilitazione della società civile, fu respinto nel 2012: una bocciatura che valse ai senatori contrari, la reazione furiosa dei sostenitori del progetto di legge che, dopo settimane di pressioni e minacce, li aggredirono verbalmente all’uscita di Palazzo Madama.
Il padre del disegno di legge 957, come di quasi tutte le proposte in materia, è Marino Maglietta, un ingegnere che nel 1993 fondò l’associazione Crescere insieme e che, malgrado sia stato uno degli artefici della legge 54 (poi abbondantemente emendata), oggi appare come il grande escluso dal disegno di legge 735 a causa dei contrasti con Vezzetti, amico di Pillon e, come abbiamo detto, collaboratore nella stesura dell’attuale ddl.
Le associazioni sostenitrici sono per lo più associazioni di padri separati e, anche se sembrano numerose, molte sono doppioni e di alcune c’è da nutrire dubbi circa la loro reale esistenza: all’indirizzo dell’Associazione genitori sottratti dell’Emilia Romagna di Roberto Castelli c’è per esempio un postamat, mentre l’associazione Genitori separati dai figli di Vincenzo Spavone, responsabile nazionale del dipartimento Bigenitorialità, separazioni e affido minori della Lega (che si occupa in maniera prioritaria di veicolare il disegno di legge Pillon sull’affido condiviso), ha tre sedi a Roma di cui una introvabile all’interno del complesso della Camera di vicolo Valdina.
Ma non ci sono solo padri e, per smentire l’idea che solo loro siano vittime di false accuse, è nato il Movimento femminile per la parità genitoriale che, come si può leggere sul sito, è stato creato dall’iniziativa di «alcune nuove compagne, fidanzate, seconde mogli, sorelle, amiche, madri, nonne, figlie di papà separati». Se la più antica è l’Associazione Padri separati – fondata nel 1991 – la più importante è però Adiantum (Associazione di associazioni nazionali per la tutela del minore), il cui primo presidente è stato lo stesso Vezzetti il quale ha poi fondato nel 2012 Colibrì (Coordinamento libere iniziative per la bigenitorialità e le ragioni dell’infanzia), che vanta 19 associazioni elencate sul proprio sito (peccato che il link della terza rimandi a una pagina pornografica, mentre di altre non è rintracciabile notizia alcuna).
Adiantum nasce nel 2008 per iniziativa di sette associazioni, e Consigliere nazionale con delega specifica nell’area abusi ai minori era Vittorio Apolloni che in questa storia è un personaggio chiave perché nel 2001 aveva già creato il Centro di documentazione Falsi abusi di Torino, con un sito che oggi non esiste più ma che ha contribuito a divulgare in Italia il concetto di false denunce di abuso. Un’associazione creata da Apolloni dopo che
il figlio Valerio era stato accusato di pedofilia nei confronti dei bambini della scuola materna Bovetti di La Loggia vicino Torino
insieme a Vanda Ballario, ex direttrice della struttura. Un’attività, quella di Vittorio, che va avanti senza tregua divulgando la falsa teoria, usata da tutta la lobby pro-Pas, per cui le denunce di violenze nei confronti dei minori sarebbero per il 90 per cento false, e che rallenta solo quando, nel 2009, il figlio Valerio viene infine condannato in Cassazione. Apolloni però non è l’unico a muoversi per questioni personali. Anche Vezzetti, venuto alla ribalta come ospite al Costanzo Show, è un padre separato che nel 2007 fa costituire il figlio di sei anni parte civile nel processo contro la madre in tribunale, denunciata da lui per avere alienato il figlio. Autore del libro Nel nome dei figli (Book Sprint, 2010), Vezzetti spesso con Pillon: nel 2016 è a Bologna al convegno «Affido condiviso: nuove acquisizioni», e poi, quest’anno al II Festival della bigenitorialità di Brugherio insieme anche a Spavone.
«se un padre abusa della figlia la colpa è della madre inibita che non vuole fare sesso con suo marito e che, al fine di evitare scappatelle extrafamiliari, gli offre la figlia» e spinge il padre «per prenderla dietro o davanti a seconda dei casi»
Nel citare Rind Camerini fa riferimento anche all’articolo «A Meta- analytic Examination of Assumed Properties of Child Sexual Abuse College Samples» di B. Rind, P. Tromovitch, R. Bauserman (Psycho- logical Bulletin, 1998), un testo che nel 1999 il Congresso Usa ha condannato con la risoluzione 107 H.Con.Res, in cui si legge: «Considerando che tutti gli studi credibili in questo settore, inclusi quelli pubblicati dall’Associazione psicologica americana, condannano l’abuso sessuale sui minori come criminale e dannoso per i bambini. […] Il Congresso condanna e denuncia tutti i suggerimenti contenuti nell’articolo […] che indicano che le relazioni sessuali fra adulti e bambini consenzienti sono meno nocive di quanto si creda».
Ma nell’entourage della lobby pro-Pas ci sono anche altri personaggi, tra cui l’avvocato Marcello Adriano Mazzola, responsabile dell’ufficio legale di Adiantum, che grazie al blog che ha sul Fatto Quotidiano da anni veicola le posizioni delle già citate associazioni di padri separati; l’avvocato Guglielmo Gulotta, che insieme a Camerini è stato uno dei primi a portare Gardner in Italia; e Marco Casonato, psicologo ex ricercatore della Bicocca che organizzava i convegni dove il gruppo si ritrovava spesso insieme. Sostenitori dell’alienazione parentale che, soprattutto all’inizio e per diversi anni, ruotano in molti intorno ad Adiantum, di cui Vezzetti è stato presidente, e che nel 2009 si sono già in parte riuniti per ritrovarsi al convegno «Il futuro non aspetta» dove troviamo, tra gli altri, anche l’ex ministro Carlo Giovanardi, altro paladino dei falsi abusi, e il già citato Vittorio Apolloni.
Un sentiero, quello delle false accuse, che partito per occultare casi di pedofilia, con Gardner negli Usa e poi con Apolloni in Italia, è stato allargato alle accuse di violenza domestica tout court usando l’alienazione parentale per scagionare maltrattanti e abusanti, e per accusare le madri che denunciano violenza domestica di mentire: un iter che viene utilizzato già da tempo dai giudici grazie alle Ctu fatte da psicologi, psichiatri e periti della scuola di Gardner che si sono inseriti nelle aule dei tribunali. Concludiamo con Marco Casonato, psicologo e perito del tribunale che ha alle spalle numerose Ctu contenenti l’alienazione parentale. Uno strenuo sostenitore di Gardner e autore con l’avvocato Mazzola di Alienazione genitoriale e sindrome da alienazione parentale, nonché organizzatore di molti dei convegni frequentati dai personaggi che abbiamo visto orbitare intorno al disegno di legge 735, come la conferenza «Il divorzio altamente conflittuale», svoltasi all’Università di Milano-Bicocca il 5 giugno 2015 fatta alla presenza dell’attuale senatore Pillon. Una carriera, quella di Casonato, stroncata il 1° novembre 2017, quando uccide il fratello Piero investendolo più volte con la macchina per l’eredità della villa di famiglia a Massa, per poi finire in carcere.