Nei giorni del centenario della Marcia su Roma è nato il primo governo a trazione postfascista della storia repubblicana. È il primo Governo italiano presieduto da una donna, Giorgia Meloni: la stessa che rivendicava la sua identità di donna-madre-cristiana, e che sceglie ora di non significare politicamente il suo essere donna e di farsi chiamare Signor Presidente del Consiglio (a ricordarci quanto avesse ragione Simone de Beauvoir a dire che donne si diventa). Un Governo iperatlantista e iperlibersita (come il precedente) che per connotarsi come discontinuità usa il simbolico della Nazione: la Patria, i Patrioti, la gioventù sana, produttiva e meritevole.
La “peggio gioventù”
“Siate affamati, siate folli. Vorrei aggiungere anche siate liberi”: questo l’invito che Giorgia Meloni, citando Steve Jobs, rivolge alla “gioventù” durante il suo discorso di insediamento da Presidente del Consiglio. Nel rivendicare appieno la sua militanza nella “peggio gioventù” (Fronte della Gioventù, Azione Studentesca e Azione Giovani) durante cui avrebbe imparato “il profumo della libertà”, Meloni confessa anche: “difficilmente riuscirò a non provare un moto di simpatia anche per coloro che scenderanno in piazza per contestare le politiche del nostro governo“.
Prima i manganelli sugli studenti
Proprio mentre Meloni parla per avere la fiducia della Camera, le forze dell’ordine danno una chiara dimostrazione di “simpatia” verso le contestazioni studentesche e davanti alla Facoltà di Scienze politiche della Sapienza decine di giovani inermi vengono manganellate/i e caricate/i dalla polizia in tenuta antisommossa: una contemporaneità inedita nella storia repubblicana, aggravata dalla scelta di violare l’università, spazio pubblico e democratico di formazione e ricerca, casa delle studentesse e degli studenti.
Perché la celere entra con scudi e manganelli nell’Ateneo?
Per zittire la contestazione rumorosa di un convegno di Azione universitaria, con Fabio Roscani, deputato di Fratelli di Italia e presidente di Gioventù nazionale, e Daniele Capezzone, ex deputato di centrodestra. Al convegno, avente come oggetto “Il capitale buono” era stato negato ogni possibile contraddittorio. Insomma, studentesse e studenti dovevano restare “zitti e buoni”.
La critica alla parola “merito” come competizione
E, invece non possiamo che ringraziarle/i per aver reagito immediatamente alla brutale aggressione della polizia, occupando la facoltà di Scienze politiche dopo una affollatissima assemblea svoltasi il 27 ottobre. Assemblea che ha messo in atto una lucida critica a una parola-chiave del lessico meloniano e della sua idea di formazione: il merito. All’idea, cioè, che formazione e ricerca possano essere orientati dalla competizione, che scuola e università siano incunabolo del capitale umano.
In fondo, l’ordine di Meloni è una società della prestazione molto disciplinata
L’assemblea studentesca intona, dopo aver chiesto le dimissioni della rettrice dell’Ateneo, Antonella Polimeni, i cori del collettivo di fabbrica GKN, disegna una università transfemminista e libera dalle forze di polizia. Organizza per il giorno successivo la celebrazione simbolica dei “cento anni di Resistenza” a fare da controcanto al centenario della marcia su Roma. Ci fa respirare un po’ di “grande bellezza” in giorni neri e marci.
Poi lo sgombero del rave a Modena
C’è un altro inizio che Meloni ha voluto rimarcare come simbolico e volto a dare concretezza alla sua idea di ordine della “nazione”. Infatti, il primo Decreto-legge scaturito dal Consiglio dei ministri, oltre a perpetrare quella forma di tortura che è l’ergastolo ostativo (aggirando di fatto pronunciamenti della Corte di Cassazione e della Corte europea), istituisce un nuovo reato: il reato di “invasione” con rischio per l’incolumità o la salute pubblica. Sì, invasione. Il “pericolo” che dà origine al provvedimento è un rave party a Modena, che proprio in quelle ore veniva sgomberato (peraltro del tutto pacificamente).
Il reato di “invasione” di 50 persone
È evidente che l’istituzione di un reato ad hoc è la materializzazione di una ideologia repressiva, di quella criminalizzazione di ciò che è ritenuto “devianza” (altra parola-chiave della neolingua meloniana) giovanile. Si rischia così la reclusione da tre a sei anni per una “invasione” compiuta da oltre cinquanta persone (un rave oggi, una occupazione domani). Non a caso i sindacati di polizia plaudono a questo nuovo strumento di deterrenza contro i “pericolosissimi” rave.
Il raduno fascista a Predappio è anticostituzionale
Non può passare inosservato, però, che mentre il rave party di Modena veniva rappresentato come un pericolo per l’ordine pubblico, il “rave” di Predappio – oltre duemila neofascisti che celebravano il centenario della marcia su Roma – poteva svolgersi indisturbato, senza che il neoministro Piantedosi sentisse l’esigenza di far rispettare la Disposizione XII della Costituzione: “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto Partito fascista”.
È questo uno dei rischi più concreti della destra postfascista al Governo: la normalizzazione
La normalizzazione di un missino alla Presidenza del Senato, Ignazio La Russa, e di un integralista cattolico alla Presidenza della Camera, Lorenzo Fontana. Normalizzazione che è frutto, senz’altro, anche di decenni di revisionismo e rovescismo storico (a partire da Luciano Violante, ringraziato dallo stesso Larussa nel suo discorso da neopresidente del Senato) sulla storia del Novecento e che oggi trova il suo culmine nella sostituzione de facto dell’antifascismo con l’atlantismo come valore fondamentale: puoi anche essere un postfascista, basta che tu prometta fedeltà alla Nato.
Cose che capitano, quando la sinistra di governo elegge il battaglione Azov a difensore della libertà europea
La normalizzazione del fascismo
E, come si diceva, tra continuità con la fedeltà atlantica, con l’invio di armi e con l’agenda Draghi in politica economica, Giorgia Meloni per connotare come discontinuità la costruzione della sua “governance reazionaria di massa” ha bisogno di mettere in atto da subito atti simbolici e identitari che rassicurino quelli che “hanno votato ancora la sicurezza e la disciplina”: come il reato di invasione, come la torsione patriottica e nazionalistica delle Istituzioni, avviata con la ridenominazione dei ministeri. Istruzione e Merito, Famiglia, Natalità e Pari Opportunità: è questo l’ordine del Presidente. Un ordine da sovvertire insieme, con la relazione, la politica, la lotta: il movimento femminista e transfemminista si è dato appuntamento in piazza il 26 novembre. E saremo furiose.