L’Italia condannata dalle Nazioni Unite: “Ancora troppi pregiudizi sessisti nelle aule di tribunale”

Il Comitato di controllo sull'applicazione della Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw), ha accolto il ricorso delle avvocate di Differenza Donna sul caso di una signora già vittima di violenza domestica, stuprata dall'agente delle forze dell'ordine che indagava sui fatti, assolto in Cassazione

Ilaria Boiano
Ilaria Boiano
Avvocata ufficio legale Differenza Donna e dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. ha pubblicato, tra gli altri, "Femminismo e processo penale" (Ediesse)



Il comitato Cedaw (Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, adottata nel 1979 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite) il 20 giugno del 2022 ha deciso sul caso F.C. Italia (148/2019) riconoscendo che gli stereotipi e i pregiudizi sessisti diffusi nei tribunali italiani violano il principio dell’uguaglianza delle donne davanti alla legge. Il comitato Cedaw ha ribadito che laddove non c’è consenso c’è sempre violenza sessuale, pertanto il reato deve essere modificato.

La storia

Per la prima volta in Italia il Comitato delle Nazioni Unite che monitora l’applicazione della Cedaw, ha accolto il nostro ricorso F.C. Italia iscritto al n. 148/2019 e ha riconosciuto che l’Italia ha violato gli articoli 2 (b)-(d) e (f), 3, 5 e 15 della CEDAW nei confronti di una donna che, già vittima di violenza domestica, ha subito uno stupro da un agente delle forze dell’ordine incaricato delle attività di indagini in corso sul maltrattamento subito dall’ex marito.

L’agente era stato condannato in primo grado a sei anni di reclusione, poi assolto in secondo grado. La Corte di cassazione ha poi confermato l’assoluzione

Lo Stato italiano nel procedimento ha difeso le politiche nazionali adottate negli ultimi anni in materia di prevenzione della violenza di genere nonché l’operato dell’autorità giudiziaria, ma il Comitato CEDAW ha ritenuto che il trattamento riservato alla donna prima dalla corte d’appello e poi dalla Corte di Cassazione non ha garantito “l’uguaglianza sostanziale della donna vittima di violenza di genere”.

La condanna dell’Italia

Il trattamento riservato alla donna dall’autorità giudiziaria nasconde infatti, secondo il Comitato CEDAW, “una chiara mancanza di comprensione dei costrutti di genere della violenza contro le donne, del concetto di controllo coercitivo, delle implicazioni e delle complessità dell’abuso di autorità, compreso l’uso e l’abuso di fiducia e l’impatto dell’esposizione ai traumi successivi”.

Secondo il Comitato, inoltre, sono state ignorate le vulnerabilità e le esigenze specifiche della donna  vittima anche di violenza domestica

Il Comitato dinanzi alla difesa articolata dallo Stato italiano, che ha rivendicato “sforzi significativi per implementare iniziative sulla parità di genere”, ha sottolineato che se non si riconosce l’esistenza degli stereotipi sessisti e non si intraprendono azioni determinate per rimediare ai pregiudizi diffusi, qualsiasi modifica legislativa è vana, in quanto inaffidabile “per cambiare la realtà delle donne, che sono vittime in modo sproporzionato di violenze e abusi, che possono lasciare cicatrici (a volte invisibili) per tutta la vita e a livello intergenerazionale”.

Il Comitato sottolinea che le sentenze di assoluzione nel caso di specie si sono basate su “percezioni distorte e su miti e convinzioni preconcette, piuttosto che su fatti rilevanti, che hanno indotto la Corte Regionale e la Corte Suprema di Cassazione a interpretare o ad applicare in modo errato le leggi, minando così l’imparzialità e l’integrità del sistema giudiziario e producendo un errore giudiziario e la rivittimizzazione della donna”.

Stereotipi sessisti nei tribunali

In accoglimento delle nostre argomentazioni, il Comitato CEDAW ha ricondotto le violazioni al fatto che gli stereotipi sessisti prosperano in sede giudiziaria in ragione di una legislazione, come quella italiana, che non identifica chiaramente il consenso come elemento centrale e determinante della violenza sessuale. I pregiudizi e gli stereotipi sessisti hanno lasciato spazio a interpretazioni contrastanti e dannose, basate su norme e preconcetti culturali che hanno negato alla donna un accesso paritario alla giustizia, non hanno assicurato l’adeguata protezione, ma l’hanno ripetutamente sottoposta a discriminazioni e ri-traumatizzazioni.

Misure riparative

Il Comitato ha raccomandato, come misura specifica nei confronti della donna, l’integrale riparazione del danno morale e sociale a lei cagionato a causa dell’omessa riparazione e protezione anche in quanto vittima di violenza domestica.

Sono sati riconosciuti, inoltre, i danni specifici conseguenti all’accettazione degli stereotipi e i miti basati sul genere da parte dell’autorità giudiziaria di merito e della Corte di cassazione

Il Comitato ha deliberato anche misure di ordine generale che lo Stato deve adottare con urgenza e che riguardano la risposta legislativa e giudiziaria del nostro ordinamento dinanzi alla violenza di genere e sessuale. Sono state accolte, infatti, le nostre richieste di adottare misure efficaci per garantire che i procedimenti giudiziari relativi ai reati sessuali siano portati avanti senza ritardi ingiustificati e di garantire che tutti i procedimenti giudiziari relativi a reati sessuali siano imparziali, equi e non influenzati da pregiudizi o stereotipi di genere, indicando una vasta gamma di misure correttive rivolte a tutti i livelli del sistema legale.

Formazione per giudici e avvocati

Tra queste sono indicate la formazione adeguata e regolare sulla CEDAW, sul Protocollo opzionale e sulle raccomandazioni generali del Comitato, in particolare sulle raccomandazioni generali n. 19, 35 e 33, per i giudici, gli avvocati e il personale addetto all’applicazione della legge. È stato raccomandato inoltre di fornire programmi di formazione specifici per la magistratura, per l’avvocatura e le forze dell’ordine, il personale medico e tutte le altre parti interessate, con la finalità di far comprendere le dimensioni legali, culturali e sociali della violenza contro le donne e della discriminazione di genere.

Il Comitato raccomanda di sviluppare, implementare e monitorare strategie per eliminare gli stereotipi di genere nei casi di violenza di genere, che approfondiscano i danni prodotti dagli stereotipi e pregiudizi mediante ricerche basate sull’evidenza e l’identificazione delle migliori pratiche.

Il monitoraggio e il consenso

Ulteriore raccomandazione del Comitato, che noi riteniamo cruciale, è quella di predisporre un sistema di monitoraggio e analisi delle sentenze delle tendenze del ragionamento giudiziario, predisponendo anche meccanismi di denuncia e controllo dei casi di stereotipizzazione giudiziaria.

Ciò significa che magistratura, avvocatura e tutti coloro che agiscono nella qualità di agente statale (forze dell’ordine, servizi sociali, personale socio-sanitario ecc.) e fanno ricorso a stereotipi e pregiudizi sessisti nel loro operato, ne debbano rispondere

Infine, a distanza di ventisei anni dalla riforma dei reati sessuali, l’Italia riceve la raccomandazione di modificare il reato di violenza sessuale eliminando ogni riferimento a condotte di violenza o minaccia e di garantire la centralità del consenso della vittima “come elemento determinante”  del delitto. L’onere della prova del consenso deve essere posto, inoltre, a carico dell’imputato che, nell’invocare la difesa, deve dimostrare “la convinzione fondata di un consenso affermativo da parte della donna”. L’Italia entro sei mesi dovrà dare conto di tutte le azioni intraprese alla luce di questa decisione assicurando la sua massima diffusione in italiano.

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Avv. Teresa Manente, Avv. Ilaria Boiano, Avv. Rossella Benedetti, Avv. Marta Cigna, Associazione Differenza Donna 

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