La violenza contro le donne non conosce differenze di classe, luogo di nascita, lingua, colore della pelle, passaporto. Anche i centri antiviolenza della rete D.i.Re non fanno distinzioni e da sempre accolgono e supportano tutte le donne che decidono di lasciarsi la violenza alle spalle. Eppure, per una donna povera nata in un altro paese, che non parla (ancora, o abbastanza) la lingua italiana, che a volte ha la pelle di colore scuro, senza documenti, richiedente asilo o rifugiata, accedere a un centro antiviolenza è ancora molto difficile. Per questo, a distanza di tre anni dall’avvio del progetto “Leaving violence. Living safe”, D.i.Re (Donne in rete contro la violenza) e Unhcr (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), il 15 dicembre scorso hanno presentato, in un conferenza stampa in streaming, un documento sintetico eppure denso, intitolato
“Proposte strategiche per migliorare la risposta del sistema antiviolenza italiano ai bisogni specifici di donne migranti richiedenti asilo e rifugiate che hanno subito violenza”
Rivolte alle istituzioni a livello nazionale (Dipartimento per le Pari opportunità, ministero dell’Interno, ministero della Giustizia), e a livello locale (Regioni, Comuni, Questure, Commissioni territoriali, servizi sociali e sanitari, enti per l’inserimento lavorativo) e alle organizzazioni della società civile (centri antiviolenza, enti gestori delle strutture di accoglienza, associazioni per migranti, scuole di italiano L2 e comunità di origine straniera), queste Proposte strategiche sono il frutto dell’esperienza diretta delle operatrici e mediatrici culturali dei 71 centri antiviolenza della rete D.i.Re che dal 2018 hanno accolto oltre 300 donne migranti richiedenti asilo e rifugiate.
Una legenda colorata permette di identificare gli attori a cui è rivolta ciascuna proposta, dunque chi può contribuire a innovare una procedura, modificare una prassi, riorganizzare un servizio o attivarne uno nuovo, avviare una sperimentazione innovativa, pensando out of the box, fuori dagli schemi consolidati. Il filo rosso che attraversa tutte le Proposte strategiche è il tentativo di mettere a sistema competenze e responsabilità diverse, che dialogano poco o con grande fatica con i centri antiviolenza, ma che potrebbero produrre risultati molto più incisivi grazie a collaborazioni multidisciplinari, scambi di esperienze, formazioni reciproche, e al coinvolgimento di donne migranti residenti in Italia da tempo con ruolo di mentor e orientamento.
L’approccio delle Proposte strategiche è molto pratico e concreto, volto a superare la logica dei “tavoli” istituzionali che in molti casi servono a fare il punto sulle criticità ma faticano a dar vita a operatività in grado di affrontare i bisogni specifici delle donne richiedenti asilo e rifugiate che si confrontano con discriminazioni multiple, quelle che la studiosa femminista Kimberlé Crenshow ha efficacemente definito “intersezionali”. Le Proposte strategiche nascono anche in relazione a una contingenza specifica, ovvero il rinnovo del Piano nazionale antiviolenza e del Piano nazionale antitratta, entrambi scaduti nel 2020, “una occasione preziosa per ripensare il sistema antiviolenza in chiave più integrata e inclusiva, valorizzando e sostenendo il lavoro che i centri antiviolenza già fanno per intercettare e supportare donne migranti richiedenti asilo e rifugiate che hanno subito violenza”, ha affermato la presidente di D.i.Re Antonella Veltri introducendo il documento.
Compito al quale tornerà a dedicarsi Elena Bonetti, riconfermata alla guida delle Pari opportunità anche nel governo Draghi. “Il progetto Leaving Violence. Living Safe emerge con un approccio innovativo e strategico, competente e con coraggio di visione”, aveva sottolineato Bonetti intervenendo alla conferenza stampa, “che è importante valorizzare e promuovere all’interno del nuovo Piano antiviolenza”. E si era impegnata a “individuare possibili forme di integrazione tra i Piani nazionali Antiviolenza e Antitratta”, come pure ad “affrontare, anche grazie alla nuova legge sulle statistiche di genere appena presentata in Parlamento, la sfida di far emergere la violenza invisibile subita dalle donne migranti e rifugiate”.
UNHCR e D.i.Re lavorano insieme per dare risposte concrete che possano far superare il trauma degli abusi alle tante donne richiedenti asilo e rifugiate che arrivano in Italia e che sono sopravvissute a violenze di genere
“L’obiettivo è che siano identificate velocemente e che abbiamo accesso ai centri antiviolenza e a un’assistenza adeguata”, ha sottolineato Chiara Cardoletti, Rappresentante UNHCR per l’Italia, la Sante Sede e San Marino. Un ruolo chiave spetta alle mediatrici culturali, come conferma l’esperienza del progetto “Leaving violence. Living safe”, che ne ha formate 50 sulla violenza di genere e la metodologia di accoglienza D.i.Re, per poi inserirne 42 con tirocini formativi nelle équipe dei centri. Ed è grazie a loro che i centri antiviolenza coinvolti nel progetto hanno accolto e supportato 320 donne richiedenti asilo e rifugiate tra il 2018 e il 2020.
Questa trasformazione delle équipe – sempre più multiculturali, aperte al territorio in quella che è stata definitiva “équipe al quadrato” – ha portato a un adattamento della metodologia di lavoro dei centri antiviolenza, sintetizzato nel manuale La metodologia di accoglienza dei centri antiviolenza D.i.Re. Spunti e suggerimenti nel lavoro con donne migranti richiedenti asilo e rifugiate a cura di Iliana Ciulla, Celina Frondizi, Carmen Klinger, Elisa Serafini e Valentina Torri: esperte, operatrici e mediatrici culturali attive nei centri antiviolenza Le Onde di Palermo, Ananke di Pescara, Olympia de Gouges di Grosseto e Pronto Donna di Arezzo, sintesi del lavoro collettivo di tutti i centri D.i.Re coinvolti nel progetto.
Le Proposte strategiche invitano le istituzioni a investire di più per la formazione delle mediatrici culturali sulla violenza di genere e la metodologia dei centri antiviolenza, per il loro riconoscimento professionale e la stabilizzazione lavorativa in tutti i servizi a cominciare proprio dai centri antiviolenza. Perché le mediatrici culturali sono alleate fondamentali delle operatrici non solo per gestire al meglio i percorsi di fuoriuscita dalla violenza, ma anche per attivare quel meccanismo di referral informale – l’invio al centro antiviolenza – che passa attraverso le voci di donne riconosciute come autorevoli e competenti all’interno delle loro comunità. Per questo Mimoza Shembitraku, operatrice e mediatrice al centro VivereDonna di Carpi ha sottolineato l’impegno dei centri D.i.Re “per identificare una operatrice e una mediatrice culturale che possano fungere da punto di riferimento per gli operatori e le operatrici dei centri di accoglienza, per facilitare l’emersione della violenza”. E ha rilanciato la richiesta rivolta agli enti locali di
“creare sportelli di orientamento al lavoro multidisciplinari che includano le mediatrici e le operatrici dei centri, perché risolvendo i loro bisogni primari – come il lavoro e il reddito – si creano occasioni per affrontare anche la violenza subita”
“Le Proposte strategiche riguardano anche quello che i centri antiviolenza e la rete D.i.Re possono ancora fare”, ha evidenziato Rita Pellegrini, consigliera di D.i.Re per l’Abruzzo. E ha annunciato la creazione di un “Gruppo di lavoro costituito da mediatrici culturali, operatrici, avvocate ed esperte dedicato specificamente a Donne migranti richiedenti asilo e rifugiate, e l’impegno ad ampliare le nostre conoscenze sui paesi di provenienza delle donne che accogliamo, anche con il coinvolgimento di leader femministe in questi paesi. Perché è dalla relazione tra donne che nasce il cambiamento”.