Caro Direttore Giannini,
leggiamo con sgomento e orrore il pezzo di Patrizio Bati che sul tuo giornale racconta di avere conosciuto come “cliente” – il termine corretto sarebbe sfruttatore terminale – una delle due ragazze cinesi barbaramente assassinate da un serial killer a Roma (la terza vittima è una donna colombiana).
Dice di essere stato nel suo appartamento “almeno venti volte”, descrive nei dettagli la ragazza trucidata: “pelle ambrata, capelli lunghi e neri, incisivi leggermente sporgenti”. Parla di “donne murate in sottoveste nel loro appartamento, vita sociale ridotta al tragitto casa-supermercato/supermercato-casa”, le definisce “ombre cinesi proiettate su persiane”. Ammette il loro terrore di subire violenza, ne scrive come di “corpi senza identità, coscienti di essere soltanto questo. Schiave di organizzazioni criminali” manlevandosi tuttavia da ogni responsabilità.
Come se non sapesse che se questa schiavitù esiste perché ci sono uomini come lui che la alimentano
ritenendo di avere diritto di stuprare a pagamento. Se questo turpe commercio è sempre più fiorente – donne vittime di tratta nella gran parte dei casi – è perché c’è una domanda che la giustifica e la incrementa. In tutto questo, poetando sui “rigagnoli di sperma”, Bati si mostra del tutto incosciente di sé, dei propri abusi e delle proprie responsabilità. Racconta in modo distaccato e come se fosse una cosa perfettamente normale delle sue “almeno venti volte”, di quelle venti volte in cui una giovane donna costretta dai papponi è stata resa oggetto e ha dovuto dissociarsi da se stessa per sopravvivere al disgusto e all’umiliazione che stava subendo.
Se ne lava le mani, in poche parole. Ma ognuna di queste venti volte, e delle centinaia e migliaia che ha dovuto sopportare, quella ragazza ha continuato a morire. Lui c’entra
Siamo orripilate e indignate. Non comprendiamo per quale ragione un quotidiano autorevole come La Stampa e proprio alla vigilia del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, abbia scelto di pubblicare un testo come questo, in cui la violenza viene perfettamente normalizzata. Testo che se ha un valore è quello di avere raccontato, nero su bianco, la logica del dominio maschile dispiegata alla sua massima potenza.
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Ho inviato questa lettera, scritta dalle donne della Rete Inviolabilità, al direttore della Stampa. Spero che molte altre persone, non solo donne, vorranno esprimersi a proposito del modo inaccettabile di normalizzare la violenza dell’atto di acquistare l’accesso sessuale alle donne riducendole a cose, come l’articolo a cui si fa riferimento candidamente racconta (corredato oltretutto di foto ammiccanti della ragazza uccisa). Parliamo sempre di mettere fine alla violenza maschile contro le donne, e poi chiudiamo gli occhi sulla principale scuola di violenza e misoginia: la prostituzione.