Padre violento uccide il figlio per vendetta sulla ex ma sui giornali era “lei che lo voleva lasciare”

Il piccolo è stato ucciso a Cura di Vetralla con una coltellata alla gola dal genitore già denunciato per maltrattamenti

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice DonnexDiritti International Women



Su di lui c’era un decreto di allontanamento dalla casa familiare dove vivevano la ex compagna con suo figlio. Non poteva avvicinarsi alla casa né a loro perché lei, Mariola Rapaj, domestica albanese di 35, lo aveva denunciato per maltrattamenti in famiglia e il gip di Viterbo aveva pensato che allontanarlo sarebbe bastato a proteggere la donna e il suo bambino.

Una valutazione del rischio che si è rivelata non all’altezza perché Mirko Tomkow, manovale polacco di 44 anni, non solo non ha rispettato il decreto, come spesso succede, ma dopo essere andato via dall’ospedale dove era ricoverato per il Covid, è tornato a casa e ha ucciso suo figlio con una coltellata alla gola. Il piccolo era solo ed era appena tornato dalla scuola, dopo essere stato accompagnato da un parente perché la mamma era ancora a lavoro, e sebbene la donna si fosse raccomandata con lui di no aprire a nessuno la porta di casa, nemmeno al papà, quel gesto gli è costata la vita.

È successo ieri, a Cura di Vetralla, nel Viterbese, e a essere ucciso è stato un bambino di 10 anni solo in casa

Perché l’ha fatto? Era inevitabile? Cosa sarebbe successo altrimenti?

La prima cosa che risalta all’occhio è che anche in questo caso, malgrado siamo in presenza di un ordine di allontanamento di uomo violento che aveva minacciato e aggredito più volte la compagna e il figlio, i giornali continuano a scrivere di un movente possibilmente legato al fatto che “lei si voleva separare”, che “litigavano spesso come riportano i vicini”, e mai viene usata la parola “violenza” magari con un “domestica” accanto, mai maltrattamenti, malgrado vi sia una denuncia regolarmente presentata, né l’idea che forse appunto “lei si voleva separare” perché “lui era violento”, e che quindi per questo lo aveva comunque denunciato.

Né ci si domanda il perché, pur essendone al corrente, il tribunale non avesse messo in protezione la donne e il bambino, e come mai la valutazione del rischio di questo caso già allertato, come tanti altri, non fosse adeguato al reale pericolo che madre e figlio correvano. Inoltre nessuno fa cenno al fatto che quasi sicuramente si tratta di una vendetta dell’ex partner violento nei confronti di una compagna che si voleva sottrarre ai maltrattamenti del partner e che quindi il bambino, che il padre ha anche aspettato fuori la scuola, per poi allontanarsi, sia proprio per infliggere un dolore immenso alla donna che ha osato ribellarsi al suo controllo e al suo potere di maschio.

Anche se la palma d’oro oggi va a quei giornali che pubblicano articoli sul caso mettendo la foto del padre in posa mentre tiene tra le braccia il figlio che ha ucciso 24 ore fa: redazioni che forse ignorano la “vittimizzazione secondaria” in barba anche alla Convenzione di Istanbul

 Un femminicidio quindi?

María Marcela Lagarde

Certo, perché se si guardasse meglio l’etimologia, descritta così tante volte e reperibile ovunque, si leggerebbe che Marcela Lagarde l’attribuisce a una “forma estrema della violenza di genere contro le donne, prodotto dalla violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato attraverso varie condotte misogine, quali i maltrattamenti, la violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale, che comportano l’impunità delle condotte poste in essere, tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una condizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle istituzioni e all’esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia”.

Quindi non solo l’uccisione dei figli per punire la donna che si vuole sottrarre alla violenza fa parte del femminicidio, ma anche la mancata protezione delle istituzioni, come in questo o in tanti altri casi

Sminuendo così non solo il termine femminicidio che non viene assolutamente usato in questi casi, anche se ci sta tutto, ma il reato stesso in questo ci si ferma alla mera descrizione usando parole e termini che attenuano l’enorme gravità del fatto e non ne deducono né le cause oggettive particolari (una situazione di violenza intrafamiliare) né le cause oggettive relative al fenomeno (la mancata e idonea protezione delle istituzioni). Non solo, perché oltre al tribunale anche i servizi sociali erano stati allertati.

E che fine avrebbe fatto questa storia se non fosse finita nel sangue?

Forse come tante altre storie di mamme che si separano da ex violenti le quali, se non vengono uccise fisicamente dai mariti, vengono ammazzate spiritualmente e psicologicamente nei tribunali civili, dove “un padre è sempre un padre, anche se violento”, e dove quando una donna riferisce la paura e la sofferenza di abusi in famiglia, invece di proteggere lei e i figli, le vengono tolti e affidati a un curatore. E neanche quando “ci scappa il morte” si rendono conto che forse stanno sbagliando e giocano col fuoco, in quanto non si prendono questa responsabilità quando per colpa delle loro forzature e mancata valutazione della situazione, sono i figli a essere uccisi come rappresaglia, come successe nel caso per piccolo Federico Barakat ucciso dal padre “separato” che voleva a tutti i costi frequentarlo con l’aiuto delle istituzioni, malgrado i pericoli ampiamente esposti dalla mamme Antonella Penati.

“Crimini invisibili” per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

Ieri DonnexDiritti.com ha lanciato la sua campagna per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, con il trailer dell’inchiesta “Crimini invisibili” dove siamo andati a indagare proprio l’esposizione e la mancata protezione delle mamme che vogliono separarsi da partner violenti e abusanti, che rimangono inascoltate e dove il maltrattamento viene occultato e scambiato per conflitto di coppia: esattamente come succede sui giornali quando raccontano fatti come quello di ieri nel viterbese. Ma occorre per cambiare questo stato di cose? Cos’è che manca, dato che le leggi ci sono ma non vengono applicate? Vi aspettiamo il 23 novembre su questo web journal e sulle pagine facebook instagram e youtube per capirlo insieme con 11 puntate di “Crimini invisibili”.

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