“Only Fans”: i pericoli della nuova frontiera dell’industria del porno

Inventato da Tim Stokely, il sito ha spopolato durante la pandemia con 90 milioni di utenti e più di un milione di autrici

Ilaria Baldini
Ilaria Baldini
Operatrice volontaria alla Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano (Cadmi)



La pandemia ha impoverito le donne in tutto il mondo, aumentando la loro vulnerabilità. I dati sui posti di lavoro persi principalmente dalle donne in Italia trovano eco anche altrove. Parallelamente il virus è diventato l’alleato perfetto di qualunque maltrattante e di tutto il sistema di oppressione collettiva delle donne. Gli strumenti che permettono e favoriscono la violenza ci sono tutti: l’isolamento, il controllo, il confinamento in ruoli di cura, la perdita di lavoro retribuito e dunque d’indipendenza economica.

La perdita del lavoro per le donne

Ma per superare la crisi e la perdita di lavoro per le donne, che in Italia hanno perso 312mila posti su un totale di 440mila, un modo esiste, ed è quello di mettersi a fare “il mestiere più antico del mondo”: prostituirsi. Una occasione da non perdere, narrata e proposta anche dal mainstreaming come un “nuovo” lavoro, una manna dal cielo in un momento di crisi come questo. Una cosa tipo: lo faccio ora ma “smetto quanto voglio”. Il problema non riguarda solo l’Italia, sia chiaro.

In questa direzione una delle novità più recenti in fatto di opportunità lavorative per le donne ulteriormente impoverite, si chiama “Only Fans”: un termine che potremmo tradurre “Soltanto ammiratori”. Ma quali ammiratori, mi chiedo?

“Only Fans”: come funziona davvero

Bella Thorne

A proposito di “Only Fans” si legge, cercando in rete, che è un “sito hard che fa guadagnare migliaia di euro agli iscritti”, e che funziona più o meno così: si apre una pagina e si stabilisce quanto far pagare mensilmente ai propri “ammiratori” per accedere e poter vedere materiali che in moltissimi casi sono porno soft o variazioni sul tema. In molti casi, influencer, modelle e persone variamente famose, utilizzano Instagram per fare pubblicità e fare conseguentemente arrivare “fan” alle pagine a pagamento su un sito senza censura. Stando a Fanpage, questo sito sarebbe nato come “piattaforma neutrale” ma grazie alla mancanza di censura sarebbe in pochi anni diventato “una destinazione particolarmente gettonata dai professionisti del mondo dell’hard, fino ad arrivare a semplici utenti di altri social che desiderano mostrarsi in modo più audace ai loro seguaci”. Ecco subito apparire il termine “sex worker”: chiave dell’operazione di “ritocco e imbellettamento dello sfruttamento commerciale del sesso”, per usare le parole del libro inchiesta di Julie Bindel, “Il mito Pretty Woman” (VandA editrice).

E come al solito troviamo anche chi subito ne approfitta, dato che il sito si prende il 20% delle entrate di chi pubblica materiali. Per avere qualche notizia più dettagliata conviene però rivolgersi al “New York Times” dove  in un articolo del 2019 intitolato “Only Fans, il sito che ha cambiato per sempre il sex work”, si legge che

il sito è nato dall’idea di Tim Stokely, un uomo che gestiva un sito porno soft e che voleva offrire ai propri clienti la possibilità di diventare registi del proprio porno, fatto su misura per loro dalle loro attrici preferite. “Il porno ormai lo puoi avere gratis”, dice una delle sue più strette collaboratrici

Chi ci guadagna

In effetti la storia raccontata dall’articolo è quella di un progressivo impoverimento delle persone sfruttate nel mondo del porno, pagate sempre meno nel mercato dei film, migrate su “YouPorn” e spinte alla prostituzione, di persona o in webcam, dalla mancanza di entrate a causa dell’aumento d’immagini e filmati in rete. E così si arriva all’ultima novità, quella che nel sottotitolo è presentata come l’occasione di empowerment e controllo sulla propria produzione e le proprie entrate da parte delle protagoniste.

Danii Harwood

Ovviamente la maggioranza sono donne che pubblicano immagini, mentre gli “ammiratori” paganti, quelli che continuano ad avere i soldi che mancano alle donne, sono principalmente uomini. Danii Harwood dice di aver fatto lauti guadagni con “Only Fans” e come lei qualcun’altra. Quale sia la situazione per le donne che su quel sito hanno cercato il modo di tirare avanti durante la pandemia, lo si legge in un altro articolo più recente sempre del New York Times nel quale si parla di cosa è successo a chi si è ritrovata senza lavoro e ha provato a sopravvivere aprendo una pagina su quel sito. Già dal sottotitolo si capisce che la storia non fa che ripetersi: il sito ha spopolato durante la pandemia con 90 milioni di utilizzatori e più di un milione di autrici e autori di contenuti, rispetto ai 120.000 del 2019. Ma la vendita di immagini porno più o meno soft è talmente inflazionata che le donne hanno finito spesso per ricavarne pochissimo.

Le donne intervistate sono arrivate al sito dopo aver perso il lavoro ma a fronte di qualcuna che ha guadagnato, l’esperienza di altre non è stata affatto positiva. Approdate a “Only Fans” per disperazione (“sono persone che si preoccupano di come mangiare, di come non farsi staccare la luce, di non farsi sfrattare”), alcune hanno scoperto che si tratta di un vero e proprio lavoro a tempo pieno che può far guadagnare al massimo 250 dollari al mese, con in più il rischio che le immagini finiscano per far perdere altri lavori o vengano usate per altre forme di ricatto.

A testimoniare i rischi di questo tipo è una web cam girl statunitense, che spiega: “chi entra in questo campo deve aspettarsi violazioni della privacy, interazioni potenzialmente pericolose con i clienti, e nessuna legge che può proteggerti”

Rischi e pericoli

Senza dimenticare i pregiudizi per cui chi ha un lavoro rischia di perderlo o rischia, come per le donne prostituite prima della legge Merlin in Italia, l’esclusione da taluni diritti. I gestori di “Only Fans” hanno rifiutato di commentare l’articolo più recente del NYTimes. In quello del 2019 si legge che al contrario della visibilità ricercata da chi pubblica materiali, chi gestisce il sito non ha piacere di farsi trovare e conoscere.

Julie Bindel nel suo articolo per l’Evening Standard, Only Fans is sex work and pornography: stop calling it empowering, è molto chiara nel definire che cosa è in realtà “Only Fans” e lo fa con l’esperienza di chi ha studiato e documentato il mercato internazionale dello sfruttamento sessuale.

Julie Bindel

“La pornografia è semplicemente prostituzione filmata, e Only Fans è sia prostituzione che pornografia. È parte di una nuova ondata di piattaforme e di modelli di business volti ad estendere la portata dell’industria del porno”. Bindel chiarisce con un esempio in che cosa consistono i rischi concretamente: “Alcune delle donne che producono contenuti per il sito finiscono per ritrovarsi terrorizzate e traumatizzate. Una donna mi ha riferito di non riuscire a dormire dopo avere subito stalking due anni fa”.

“Il mio più grande fan – ha confessato la donna con un ghigno ironico – ha rintracciato il mio luogo di lavoro e me lo sono trovato davanti lì sotto. Ero sconvolta e terrorizzata

L’empowering non c’entra

Jem Wolfie

Gli uomini pagano per controllare, per dire a una donna cosa deve fare e come si deve comportare per risollevare la loro autostima e confermare i loro stereotipi di virilità. La violenza è controllo, ed esercitarla pagando, aggiunge piacere anzi, il piacere sta proprio nel pagare, nell’umiliazione della donna. Per molti versi la prostituzione filmata è più pericolosa della prostituzione fine a se stessa, perché le immagini possono essere rubate per perseguitare una donna per sempre. Essere stata pagata aumenta il senso di collusione nell’abuso, rendendo più difficile superare la violenza.

Cosa ci sia di “empowering” in tutto questo? ll mainstreaming si ostina a chiamare lavoro quello che non è “Né sesso né lavoro” (Silvia Niccolai, Tavernini Luciana, Daniela Danna, Grazia Villa, VandA editrice), ma il miglior strumento di marketing e di conferma dello status quo patriarcale. Affrontare la prostituzione è un modo necessario per spezzare il meccanismo di produzione di quella che Judith Herman definisce una “socializzazione nelle pratiche del controllo coercitivo”.

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