Se fosse possibile riassumere in una frase il senso della visione politica di una pensatrice laica e attivista femminista in un paese dilaniato dalla ferocia del fondamentalismo islamico, sarebbe quella di Nawal Al Saadawi, morta il 20 marzo scorso, in cui dice: “È il femminismo il vero umanesimo, il pensiero politico che unifica tutte le grandi utopie: quella socialista, quella pacifista, quella non violenta, quella anti-capitalista”.
Chi era Nawal Al Saadawi
In Italia l’abbiamo conosciuta trentacinque anni fa, quando uno dei primi titoli della collana Astrea della casa editrice Giunti fu il suo “Firdaus. Storia di una donna egiziana”. Un libro che racconta la violenza patriarcale dell’islamismo, che ha lasciato anche sul suo corpo le cicatrici della mutilazione genitale subita da bambina. Laureata in medicina con specializzazione in psichiatria, Nawal Al Sadaawi ha sfidato più volte il potere politico e religioso egiziano, pagando con il carcere, le innumerevoli minacce di morte e l’esilio, durato alcuni anni.
La sessualità delle donne negata dal patriarcato, rafforzato in Egitto dalla legge islamica, è stato un tema centrale nella sua produzione: il suo primo libro, “Donne e sesso” del 1972 le costò l’espulsione dal Ministero della Sanità e la persecuzione continua delle autorità religiose
Gli scopi del movimento femminista
Seguito dal celebre “Firdaus” e poi da “Dio muore sulle rive del Nilo” del 1989. È stato un grande privilegio incontrarla di persona e intervistarla nel 2010 nella sua città natale, Il Cairo, durante i tre giorni del convegno internazionale A global conference-women and 21 century – feminist alternatives, organizzato da quattro reti di donne arabe e 3 europee (Antico, Ife, Heya, Owsa, Owfi, Act e Wilpf). In quella occasione la sua presenza venne celebrata con una lectio magistralis che tenne in lingua araba. Le parole più usate durante il suo discorso sono state: democrazia, patriarcato, potere, speranza, dominazione, scelta, dolore, libertà.
La schiavitù della religione
Ricordo Nawal Al Saadawi in abito nero e una sgargiante giacca rossa, capelli bianchissimi in uno chignon, sorridente con chiunque. “Questo – disse Al Saadawi – è il primo evento che si fa nel mio paese al quale mi invitano. In Egitto nessuno pronuncia il mio nome, è come se non esistessi, e quando mi hanno nominata è stato per cercare di distruggermi. Io piango spesso, perché nella mia vita ho sofferto molto, ma oggi ho pianto di gioia pensando che sarei stata con voi”.
“Ogni religione è un luogo di schiavitù per le donne – continua Al Saadawi – nella storia antica come nell’oggi. Non esistono femministe islamiche, la divisione tra le femministe declinate come occidentali, o musulmane, o cristiane o altro è un’offerta di strumenti delegittimanti al movimento delle donne, che è invece il motore principale del cambiamento universale per tutta l’umanità”
“Quando ero molto piccola mi fu insegnato che le donne, per volere di Dio, si dovevano considerare diverse e ineguali rispetto agli uomini. Così scrissi una lettera a Dio, nella quale gli chiesi perché, a causa del mio corpo, dovessi avere meno diritti dei maschi. Non rispose, quindi diventai femminista, convinta che i diritti universali sono la base della democrazia, e i diritti delle donne ne sono il fondamento”.