La cronaca spesso ci consegna notizie di vittime di efferati stupri a opera di minori, spesso organizzati in gruppi, costrette a rimanere inermi prima di fronte alla violenza brutale di ragazzi che agiscono come dei veri orchi e poi di fronte alla rigidità di un ordinamento che non consente loro di avere giustizia.
Era l’estate 2016 quando Valeria (nome di fantasia), una quindicenne di Pimonte, denunciò di essere stata per mesi violentata da un gruppo di 12 ragazzini
tra i quali vi era il suo fidanzatino: l’unico del branco che verrà condannato con pena sospesa, mentre gli altri 11 avranno l’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova. Valeria non si costituirà, non è consentita la costituzione di parte civile nel processo penale minorile, non avrà un risarcimento, non vedrà in galera nessuno dei 12 aguzzini, non avrà neanche la soddisfazione della condanna per ben 11 dei suoi stupratori. Valeria si trasferirà in Germania, solo così potrà trovare un po’ di ristoro. Giugno 2016, Veronica (nome di fantasia), una quindicenne di Sarno, viene attirata in un garage da 5 ragazzi tutti minorenni e violentata a turno. Poco più di 2 anni dopo il Gup del Tribunale per i minorenni di Salerno dichiarerà per tutti il reato estinto per esito positivo della messa alla prova. Ancora, Giugno 2017,
sugli scogli di Marechiaro, Vittoria (nome di fantasia) minorenne, viene violentata da 3 17enni: 18 mesi dopo il Gup per i minori, per Legge, dichiara estinta la pena per 2 di loro
per esito positivo della messa alla prova. Basteranno alcune ore di impegno come aiuto chef o come scaffalista in un supermercato e qualche ora di impegno sociale per cancellare l’atroce reato. Anche Vittoria non si costituirà in giudizio, non vedrà la condanna per 2 dei suoi violentatori e sequestratori e sarà costretta a trasferirsi altrove. Valeria, Vittoria, Veronica sono protagoniste di vicende tutt’altro che isolate, storie di vittimizzazione secondaria che si ripetono, racconti di vite distrutte che restano segnate per sempre da violenze e abusi, senza risarcimento, senza giustizia perché agli aggressori è consentito di cancellare il delitto con un colpo di spugna. L’intero sistema penale minorile riflette la tendenza a centrare l’attenzione non tanto sul reato commesso, ma sul minore e si sviluppa in tale direzione. Al magistrato minorile è stata imposta una visione strettamente rieducativa, che deve creare un percorso specifico finalizzato al recupero del minore.
Il D.P.R. n. 48/1988, che disciplina il processo minorile, nel perseguire l’obiettivo di coniugare l’esigenza di dare una risposta al reato con quella di proteggere il percorso evolutivo di crescita del minore, ha finito per perdere di vista la tutela della vittima del reato (che può essere a sua volta persona minore d’età), ed essere interessato alla sola figura dell’imputato. Di questa “imputato-centricità” e della conseguenziale marginalità della figura della vittima del reato ne sono evidente espressione gli artt. 10 e 28. Il primo recita “Nel procedimento penale davanti al tribunale per i minorenni non è ammesso l’esercizio dell’azione civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno cagionato dal reato”. La crescente sensibilità per le ragioni delle vittime, a livello normativo oltre che di coscienza collettiva, rende sempre più acuta la criticità del tema. Il giudizio penale rappresenta per l’adolescente un’occasione di confronto con la comunità e le sue norme, per percepire la dimensione sociale delle proprie azioni (i cui profili di dannosità non sono inferiori a quelli delle analoghe condotte poste in essere dagli adulti),
da questo punto di vista, la riparazione del danno, favorendo nel minore la consapevolezza della lesione arrecata, può avere una sua utilità rieducativa
La marginalizzazione della vittima nel processo penale minorile si accresce ulteriormente se si considera l’istituto di cui all’art. 28 DPR 488/1988 “sospensione del processo e messa alla prova”, destinata a promuovere la riabilitazione dell’adolescente autore di reato, con conseguenze sull’esito del processo perché il percorso, se portato a termine, si conclude con la dichiarazione di estinzione del reato.
Anche in questa prospettiva il processo penale minorile appare totalmente dimentico delle esigenze di tutela della vittima (la messa alla prova può essere disposta anche quando il reato commesso sia tra i più gravi in assoluto). E’ chiaro, dunque, che oltre ad essere privato della possibilità di richiedere al giudice penale il ristoro del danno patito, la vittima è tenuta ai margini di un processo che appartiene esclusivamente al minore autore del reato. In questa situazione per il tribunale per i minorenni la Convenzione di Istanbul va in soffitta e tutti i suoi articoli che riguardano la tutela della vittima e la censura della vittimizzazione secondaria sono privati di senso.
E’ possibile che accada che un’istituzione come il Tribunale per i Minorenni si sottragga ai vincoli di una statuizione sovranazionale, quando è la nostra Costituzione all’art. 117 che la dichiara sovraordinata alla nostra legislazione? L’impressione è che per insipienza i nostri legislatori non si siano accorti di questa falla del sistema, ma questa cosa purtroppo la dice lunga sulla scarsa applicazione della Convenzione e sulla sua ancora scarsa credibilità istituzionale. Tanti i segnali di questa sottovalutazione e non solo nel campo del diritto minorile, basti pensare alla piaga sociale delle tante donne madri perseguitate nei tribunali civili sulle questioni degli affidi dei minori, in barba agli articoli 26 e 31 della Convenzione di Istanbul.
Basti pensare al negazionismo della violenza contro le donne che attraversa tutte le nostre istituzioni come pesante pregiudizio contro le donne
facendo passare la violenza domestica, del partner intimo, come un fenomeno distribuito in modo equivalente tra uomini e donne; dimenticando però che la violenza contro le donne comprende i femminicidi che sono una vera pandemia, come dichiarato quest’anno all’ONU. Insomma il tema del tribunale dei minori è uno dei tanti aspetti della sottovalutazione della violenza contro le donne, ma forse ha una sua specificità, nessuno finora lo aveva sollevato anche proponendo correttivi, e soprattutto nessun magistrato minorile finora, di fronte alle situazioni concrete che abbiamo descritto, si è indignato per questa disparità di trattamento a favore del reo.
Nessun magistrato abbiamo visto utilizzare una diversa giurisprudenza, anticipando le modifiche legislative e cioè: ascoltare le esigenze della vittima anticipando nelle sue prerogative la richiesta di abrogazione dell’art. 10 che prevede la inammissibilità dell’azione civile da parte della vittima; negare l’istituto della messa alla prova al minore autore del reato, anticipando in questo una modifica dell’art. 28, per determinati reati specificamente individuati tra i quali la violenza sessuale; infine valutare tra le pene da comminare, anche alternative al carcere minorile, il divieto di dimora nel luogo dove risiede la vittima. No, finora nessun magistrato ha osato far sentire la sua voce a fianco delle giovani vittime, proponendo modifiche all’attuale legislazione e soprattutto sentenziando in proprio e in modo equo rispetto ai diritti della vittima, in ossequio a una normativa sovraordinata.