Un anno di pandemia: il Covid travolge i diritti delle donne

Nel mondo il 58% delle donne ha perso il lavoro e 243 milioni hanno subito una forma di violenza maschile a casa

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice di DonnexDiritti Network e International Women



È vero, il Covid ha stravolto le nostre vite ma non in maniera equa. Senza dubbio la pandemia ha aumentato disparità già esistenti, allargando la forbice tra ricchi e poveri, ma sta mettendo a rischio anche diritti conquistati nel tempo che potrebbero sparire sotto i nostri occhi come per magia. Prima di tutto diciamo che dall’inizio della pandemia

i 10 uomini più ricchi del Pianeta hanno già  incrementato i loro patrimoni di 540 miliardi di dollari

senza alzare un dito (“Il virus della disuguaglianza”, Rapporto Oxfam), e che le 1.000 persone più ricche del mondo hanno già recuperato le loro perdite. E questo a fronte di un patatràc che potrebbe ridurre in povertà oltre mezzo miliardo di persone entro il 2030.

A oggi nel mondo si contano 115 milioni di contagiati e 2 milioni 96 mila morti: una crisi che può essere considerata la più grave degli ultimi 90 anni in termini di disoccupazione e impoverimento, anticamera all’erosione di diritti fondamentali dove i primi soggetti a essere colpiti sono proprio le donne, cioè la metà della popolazione, anzi qualcosina di più. Andiamo a vedere come. A livello globale le lavoratrici precarie sono il 58% e solo nel primo mese di emergenza virale avevano perso già il 60% del loro reddito. 11 milioni di ragazze rischiano la descolarizzazione e senza una sicurezza economica anche minima, possono essere più facilmente vittime di matrimoni imposti e di violenza domestica. Non solo, perché

in questa pandemia 243 milioni di donne e ragazze hanno subito una forma di violenza domestica

e le richieste di aiuto durante il lockdown sono aumentate ovunque: 30% in Francia, 25% in Argentina, 30% a Singapore, 18% in Inghilterra, 50% in Cina e Somalia, 79% in Colombia e il 400% in Tunisia, per dare solo qualche numero. In Italia i contagi sono arrivati a 2 milioni e 96 mila, mentre i decessi sono 98.288. Ma questi non sono i soli numeri da tener presente, perché nel giro di un anno, secondo l’Istat, sono stati fatti fuori 444 mila posti di cui 312 mila occupati da donne. Dati che diventano allarmanti se pensiamo che solo nel nostro paese 1 milione e 300 mila donne rischiano di rimanere disoccupate in breve tempo, e che solo nel mese di dicembre il 98% dei 101 mila posti spariti nel nulla, era occupazione femminile. Numeri che potrebbero far implodere il già pessimo 48,5% (la media europea è il 62%), che rappresenta il tasso di lavoro delle italiane (tra i più bassi d’Europa), rendendo le donne ancora più dipendenti dai propri partner: una dipendenza, quella economica, che rende ancora più difficile denunciare un maltrattamento in famiglia per paura di ritrovarsi in mezzo a una strada e magari anche privata dei figli.

Un impiego che di solito è part-time, precario, sottopagato e al nero, e che con lockdown è diventato smartwork a cui si aggiunge l’immancabile peso del lavoro di cura, che si aggira già sul 67% per le donne costrette a casa dove potrebbero anche ritrovarsi a essere picchiate e uccise, visto l’aumento esponenziale della violenza domestica legata all’impossibilità di uscire per cercare aiuto. Lo sorso anno il Viminale ha infatti reso noto che a fronte di un calo degli omicidi, c’è stato

un aumento di femminicidi principalmente avvenuti in relazioni intime (90% nel primo semestre 2020) e da parte di partner o ex (61%), con una donna uccisa ogni tre giorni

Mario Draghi

Ma non è finita. A fronte della caduta del governo Conte e dell’insediamento del nuovo governo Draghi, anche la rappresentanza femminile nelle istituzioni ha avuto il suo schiaffone con 8 ministre su 23 dicasteri di cui solo due con portafoglio. E questo malgrado siano proprio le donne a essere in prima linea nella lotta contro il Covid, nelle strutture ospedaliere (dove il 66,8% del personale è composto da donne anche se l’80% dei primari sono uomini), nel difficilissimo ambito scolastico, a casa con lavoro di cura per bambini e anziani, senza dimenticare le scienziate che hanno dato un enorme apporto alla ricerca sul virus. Uno scivolone che diventa affronto quando il neo presidente del Consiglio marchia come “farisaiche” – quindi false, ipocrite, formalistiche – una legittima esigenza di parità anche nell’ambito di rappresentanza istituzionale, sventolando la promessa di pari opportunità nel lavoro e nella società (ancora lontana da venire se queste sono le premesse), erigendosi a vate come uno dei tanti uomini che nella storia si sono presi la briga di dirci cosa è meglio per noi. Per usare le parole della sociologa Chiara Saraceno:

“La parità di genere non è una questione di difficoltà a conciliare famiglia e lavoro ma riguarda la sistematica marginalità delle donne nei luoghi e processi in cui si prendono decisioni che incidono sulla vita di tutti”

Chiara Saraceno

tanto che il parlare di “farisaico rispetto delle quote” come fa Draghi, non solo sottovaluta che esistono discriminazioni di genere, a parità di competenze, in ogni luogo, ma crea un grave sospetto su un fatto semplicissimo: se sono soltanto dei ruoli a cui non dare tutta questa importanza, se sono dei semplici formalismi, perché non li mollate? Eppure le Nazioni Unite ci dicono che tra i Paesi guidati dalle donne ci sono quelli che hanno risposto meglio al Covid: Finlandia, Danimarca, Germania, Etiopia, Islanda, Nuova Zelanda e Slovacchia sono stati riconosciuti per la rapidità della risposta con leader che hanno utilizzato metodi più inclusivi, preferendo una collaborazione al posto della competizione.

Ma il Covid ha messo lo zampino anche qui e a causa della sospensione delle elezioni in molti paesi, anche la rappresentanza femminile sembra in calo

Un momento però, perché se noi siamo indietro non vuol dire che il resto vada a gonfie vele. Nel mondo l’85% delle task forces nazionali contro il Covid sono composte principalmente da uomini, e se le donne a capo di governo sono 21, l’81% dei paesi ha leader maschi. Nonostante le lavoratrici sanitarie siano il 70%, i ministri della salute e i capi di organizzazioni mondiali sanitarie sono uomini al 72%, e in Gran Bretagna, durante la pandemia, il 42,5% delle conferenze stampa giornaliere sono state esclusivamente al maschile, senza politiche né esperte di sesso femminile. A causa dello spostamento delle priorità dei governi sull’emergenza sanitaria,

le politiche di genere sono sparite dall’agenda politica di molti paesi e molti hanno approfittato di questa situazione per ridurre risorse, spazi e libertà delle donne

come in Ungheria dove il 30 marzo il presidente Orban ha preso pieni poteri e il 7 maggio ha respinto la ratifica della Convenzione di Istanbul per il contrasto alla violenza di genere; o in Polonia dove dopo anni di tentativi di ridurre al luminicino la legge sull’aborto, sono riusciti a togliere la possibilità di interrompere la gravidanza in caso di malformazioni, con un evidente colpo di mano.

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