Il desiderio di un governo di lei

L'idea di una guida fatta di sole donne con un partito femminista votato anche dagli uomini: in Italia è fantascienza?

Monica Lanfranco
Monica Lanfranco
Giornalista e formatrice, Direttrice di "Marea", ha fondato Altradimora spazio femminista, e ha pubblicato "Crescere uomini. Le parole dei ragazzi su sessualità, pornografia, sessismo" (Erickson)



Meglio sottosegretarie piuttosto che nulla? Oppure è più efficace costituirsi in una corrente dentro ai partiti? Magari fondarne uno, di partito? Ma con chi? E poi come chiamarlo: femminista, femminile, delle donne? Che gigantesca fatica essere femmine, che immane fortuna essere maschi, in questo caso. Loro non devono farsi domande perché è ovvio, e scontato, che gli uomini in politica ci siano sempre, e da sempre, in ogni governo, ed è altresì ovvio che siano la stragrande maggioranza della rappresentanza istituzionale ad ogni latitudine, se eccettuiamo un caso eccezionale nella storia politica recente: nel New Hampshire, nel 2014, fu eletto un esecutivo composto di sole donne. Ma è, per l’appunto, un fatto fin qui ineguagliato, la solita anomalia che conferma la regola.

Sgombriamo però fin da subito il campo da un equivoco generato da uno stereotipo: nonostante le sostanziose differenze all’interno del femminismo, non conosco attiviste che vogliano soltanto le donne al governo

Charlotte Perkins Gilman

Non si tratta di questo: sarebbe troppo semplicistico pensare che sostituire in automatico corpi sessuati nei luoghi dove si decide sia sufficiente a modificare radicalmente una situazione di squilibrio e ingiustizia tra uomini e donne sul pianeta, dalla politica all’economia, dal mondo del lavoro allo sport e via dicendo. L’attivismo femminista ha sempre considerato prioritaria la visione, il cambio di passo rispetto al senso della politica, intesa come polis e quindi come luogo dove si progetta la convivenza tra gli esseri umani sul pianeta. Non a caso l’ecofemminismo considera la terra un organismo vivente: il grande e fragile corpo di Gaia, tanto cara alla giovane Greta e a parte della sua generazione. Non è un caso che tutti gli appelli pensati dalle associazioni e dai gruppi femministi in Italia tendano a sottolineare che la rappresentanza politica femminile non si può ridurre al concetto di pari opportunità.

“Le pari opportunità, misurate sul filo di risibili quote rosa, sono una piccola concessione mirata ad aggiustamenti che nulla hanno a che vedere con la dimensione tragica causata dalla volontà di mantenere in posizione di sudditanza l’intera popolazione mondiale delle donne” – sottolineava qualche anno fa una nota di Udi e di Rete per la parità , quando insieme ad altre associazioni chiedevano “che si tenga conto che l’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo sostenibile ha inserito tra i 17 obiettivi da perseguire per il futuro dell’umanità, l’obiettivo 5 parità di genere per la consapevolezza, ormai acquisita a livello mondiale, che senza parità uomo/donna non c’è rispetto per l’ambiente”.

In Europa il sogno del partito femminista, addirittura di una rete di partiti femministi, lo ha sognato e in parte realizzato la Svezia

Soraya Post

Nel 2014 Soraya Post, statuaria e socievole attivista di origine rom, fu eletta al Parlamento Europeo dal partito Feminist Initiative. La prima femminista eletta da un partito dichiaratamente femminista in Europa, che aveva come slogan “Fuori i fascisti, dentro le femministe”. Per l’Italia suona come un film di fantascienza: eppure sono stati cinque anni straordinari, quelli dal 2014 al 2019, durante i quali Soraya Post ha girato l’Europa, insieme alla ex segretaria del Partito Comunista svedese Gudrun Schyman, (che ha lasciato una considerevole carriera nel partito svedese per fare quello femminista) provando a radunare idee ed energie allo scopo di costruire una rete che, se le cose fossero andare diversamente, avrebbe potuto vedere in altri paesi europei la nascita di formazioni simili, o il loro consolidamento, come ad esempio in Spagna, Finlandia e Germania. Invece la sonora sconfitta di FI in Svezia (che attualmente non siede nel Parlamento nazionale ma è presente in alcune città importanti del paese) insieme alla non rielezione di Post a causa della drammatica svolta sovranista nell’eurozona, hanno interrotto quel sogno. In Italia, dopo gli incontri a Genova, Imola e Torino con le esponenti svedesi tra il 2015 e il 2016, due convegni a Bruxelles e un appuntamento a Milano con due attiviste del partito femminista spagnolo, (uno dei più antichi e longevi nel panorama europeo), un piccolo gruppo di attiviste ha iniziato a ragionare sull’esperienza svedese. L’associazione Iniziativa femminista ha preso spunto da un testo forse sconosciuto alle generazioni più giovani, per disegnare un progetto politico di respiro più largo: l’ipotesi di un governo di lei.

Il libro si chiama “Terra di lei”, ed è stato scritto nel 1915 dalla sociologa e utopista statunitense Charlotte Perkins Gilman

Capace di sottile umorismo nel guardare all’ottusità dei maschi del suo tempo, Perkins Gilman racconta di un paese governato dalle donne, che i viaggiatori maschi giunti in quella ‘strana’ terra non riescono proprio a concepire: uno sconcerto che, a oltre cento anni di distanza, non è mai finito, visto come vanno le cose nella politica italiana. Eppure. Eppure un governo di lei sarebbe possibile, se solo si mettessero in fila le centinaia di nomi femminili di ogni età in grado di offrire soluzioni ai problemi del paese, subito e in tutti i campi del sapere.  Sarebbe già un bel passo avanti se, come hanno fatto in Svezia, si potesse sognare di essere femministe, di avere un partito femminista, e che pure gli uomini lo votassero, perché un governo di lei potesse vedere la luce.

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