Se devo parlare di qualcosa che mi sta particolarmente a cuore in questi giorni strani, è la percezione che questa epidemia o contagio possa diventare un’uscita di sicurezza da cui iniziare e prendere sul serio altre problematiche connesse che suscitano altrettanta preoccupazione. L’emergenza climatica è un esempio: probabilmente la maggior parte di noi è riuscita a collegare lo scioglimento dei ghiacciai con l’insensato sfruttamento delle risorse del pianeta, la deforestazione, i gas serra, l’agricoltura intensiva, i trasporti.
Non sono certa che in molti abbiano collegato l’emergenza contagio a una diversa ma importante emersione: la perdita quasi cieca di un senso della collettività con la negazione del “diverso da me” e il rifiuto di assunzione di responsabilità, atteggiamenti dilaganti in modo ancor più preoccupante. Se nessuna persona è un’isola, l’affresco che ci troviamo davanti è un arcipelago di solitudine esistenziale ergo la considerazione che si ha di se stessi, a dire il vero molto parziale,
come se non esistesse alcun collegamento tra la mia vita e quella degli altri: Un muro di confine invisibile ci separa
La perdita della coscienza del proprio peso specifico e la scarsa rilevanza attribuita alla virtù dell’esempio si riflettono in comportamenti arroganti e insensati dove vince l’individualismo più sfrenato, quasi indecente. La nostra libertà individuale termina dove inizia quella dell’altro. Le norme, le restrizioni del comune senso del vivere, diventano forme necessarie per una convivenza se non pacifica almeno tollerabile.
Prendo a prestito un articolo che ho trovato molto interessante e di cui condivido l’approccio: “Le epidemie rivelano la verità sulle società che colpiscono” di Anne Applebaum e pubblicato su The Atlantic. Qui si mette in evidenza come i disastri, come una pandemia, o qualsiasi evento straordinario, mettono alle strette una calma apparente e sono portatori di un innesco rivelatore del carattere della nazione e più precisamente delle popolazioni con cui impatta. Svelare il carattere: come un’epifania che poderosa e lampante
come uno squarcio di lama brillante, separa il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto
Non ci sono incertezze: quello che emerge è ciò che era nascosto, un sentimento sopito, camuffato o solamente accantonato. Assistiamo quindi a episodi di sciacallaggio mediatico, di numeri parossistici ma anche battezziamo i nostri eroi che si trasformano in modelli di riferimento perduti, dimenticati e che hanno nomi diversi come solidarietà, generosità, semplicità, vicinanza, sacrificio, servizio, resilienza.
Sostantivi che aspettavano di emergere e di smarcarsi da falsi ideologismi e coperture inesistenti. Come quando il re è nudo. Il noto ideogramma cinese crisi/opportunità trova un senso e una forma meno banali e scontati: se non ci rifletti, per alcuni rimane sempre e solo una crisi e per altri sempre e solo un’opportunità. Siamo davanti a un principio di cambiamento, si accenna la visione di un futuro possibile, un punto zero da cui un cambiato paradigma economico. Se siamo pronti a cogliere l’opportunità. Cambiare non è facile, ma l’umanità ha tanto potenziale ancora da esprimere.