Dal 1977 la mia vita è stata punteggiata dalle manifestazioni, dai pugni alzati e da una vertigine di libertà e di euforia irripetibile. Con una moltitudine di ragazze ho alzato le mani in alto sulla testa con i pollici e gli indici uniti in un gesto fortemente simbolico e ormai scomparso. Sono passati molti anni e il mio attivismo si è rarefatto ma per fortuna il popolo, questa entità costituita dalle linee di demarcazione che implicitamente, o esplicitamente stabiliamo, continua a scendere in piazza.
Fra la fine del 2010 e il 2011 comincia la primavera araba, i giovani protestano contro l’assenza di libertà individuali, la violazione dei diritti umani e la mancanza di interesse delle classi dirigenti per le condizioni di vita che in molti casi rasentano la povertà estrema. Nello stesso periodo, dall’altra parte del mondo, nella ricca e libera America nasce il movimento pacifico di Occupy Wall Street, di nuovo giovani in piazza per denunciare gli abusi del capitalismo finanziario. Il nome del movimento assume Wall Street come obiettivo simbolico, in quanto sede della borsa di New York ed epicentro della finanza mondiale,
i dimostranti manifestano contro l’iniquità economica e sociale che si è sviluppata a causa della crisi economica globale e, nonostante la protesta sia non violenta, vengono spiati e schedati
Con un salto temporale di circa un decennio arriviamo all’oggi, secondo l’autorevole Time il personaggio del 2019 è la giovane studentessa svedese Greta Thumberg che con i suoi scioperi, i Fridays for Future, ha mobilitato un’intera generazione per sensibilizzare i vari governi sull’importanza di promuovere politiche e comportamenti sostenibili. Nell’Ottobre del 2019 a Bologna quattro ragazzi scendono in piazza dopo aver espresso tramite i social network il loro dissenso nei confronti della politica verbalmente violenta di Matteo Salvini e delle destre. Piazza Maggiore si riempie di corpi che si stringono uno contro l’altro, nasce il movimento pacifico e apolitico delle Sardine, un baluardo per la difesa della democrazia e un muro umano contro l’odio e il razzismo. Manifestare, opporsi, sollevarsi sono diritti garantiti dalla democrazia e sono azioni connaturate agli esseri umani e mai come oggi, in un mondo di rapporti virtuali, è importante che i corpi scendano in piazza.
Usare i corpi e la loro unione è un’azione politica per abbattere la precarietà, per dare voce a chi non ce l’ha, per rivendicare il potere e dare la possibilità ai senza voce di esprimere le proprie rivendicazioni
Scendere in piazza per essere vivi, per non subire passivamente, per agire politicamente così da garantire a tutti le condizioni per poter esistere. Essere donne, queer, transgender, poveri, disabili, apolidi, migranti in fuga da guerre e carestie, appartenere ad una minoranza religiosa o razziale vuol dire vivere in una condizione di precarietà e di costante incertezza, quindi per garantire pari diritti per tutti bisogna diventare attori e non spettatori nel teatro della vita. L’arte contemporanea è un dispositivo di senso che riverbera la weltanshauung in cui prende forma e, mai come adesso, gli artisti si interrogano sul loro ruolo sociale mettendo al centro delle loro ricerche l’importanza di esplorare in maniera critica i modelli governativi e le pratiche del potere che, inevitabilmente condizionano gran parte delle esperienze del mondo in cui viviamo.
Marinella Senatore è anche un’attivista che dal 2006 realizza progetti di arte partecipata coinvolgendo intere comunità nella realizzazione di opere collettive. I suoi lavori sono manifesti di militanza e di resistenza in cui fa convivere la protesta politica con il teatro, la musica e il cinema. Le sue performance, i dipinti, i collages, le installazioni realizzate con le luminarie, i video e le fotografie si concentrano su tematiche sociali e questioni urbane come l’emancipazione e l’uguaglianza, i sistemi di aggregazione e le condizioni lavorative.
Per realizzare le parate e le opere audiovisive, questa artista globe-trotter, lavora a contatto con centinaia di persone protagoniste del processo creativo
Il suo lavoro è una precisa operazione politica e femminista di destrutturazione del rapporto piramidale creatore-fruitore. Uso il termine femminista a ragione in quanto su questa questione si era espressa più volte Carla Lonzi (1931- 1982) nei suoi scritti editati da “Rivolta Femminile”, primo gruppo femminista romano da lei fondato nel luglio del 1970. Lonzi, critica d’arte innovatrice e figura imprescindibile del femminismo italiano, nel 1970 abbandona la sua professione per la militanza definendo una nuova soggettività femminista, la sua distanza dalla cultura ortodossa è stata totale tanto che nei suoi scritti il fruitore veniva paragonato ad una mera vittima passiva.
Questa teoria rivoluzionaria metteva sullo stesso piano la figura dello spettatore e quella della donna, entrambi inerti recettori della creatività dell’uomo. Azzerare il rapporto di potere fra creatore e fruitore è quindi una delle pietre angolari su cui si basa la School of Narrative Dance che Marinella Senatore fonda nel 2013 focalizzandosi sull’idea che lo storytelling sia un’esperienza da poter indagare coreograficamente, attraverso un insegnamento privo di gerarchie, con l’intento di creare vere e proprie comunità utilizzando un metodo didattico totalmente libero e non schematizzato.
La Scuola, che è nomade e gratuita, si trasforma a seconda degli spazi che temporaneamente occupa proponendo un sistema educativo alternativo, basato sull’emancipazione, sull’inclusione e sull’auto-formazione
Essa offre una vasta gamma di discipline come letteratura, storia, storia dell’arte, falegnameria, artigianato, matematica, teatro e coreografia, incoraggiando così ogni partecipante ad acquisire nuove competenze o a condividere le proprie con gli altri in modo da costruire non solamente gruppi di lavoro, ma anche un’idea di comunità allargata.
Questa iniziativa ha già riunito migliaia di persone provenienti da diversi paesi del mondo, tra cui attivisti, politici, artigiani, analfabeti, studenti, società operaie, pensionati, insegnanti, casalinghe e disabili. Marinella Senatore, operando in quel campo che prende le mosse dalla cosiddetta “Arte Partecipata”, “[…] ridefinisce il proprio ruolo d’artista come attivatrice di processi pensando quindi al pubblico non come ad una platea di spettatori ma come a una molteplicità di soggetti attivi e creativi, ciascuno con la propria storia, specifiche capacità ed interessi” (Marinella Senatore, Costruire comunità, Catalogo curato da Marcella Beccaria, Mousse Publishing, pubblicato in occasione della mostra al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino, Ottobre 2013-Febbraio 2014).
“Quando si attiva un processo di condivisione, partecipazione e assunzione di responsabilità collettiva, ciò che ne deriva è una posizione politica rispetto all’argomento, alla sua rappresentazione e comprensione
Chi lo promuove intreccia e accosta politica, relazioni di genere e differenza di classe […] al fine di creare una sorta di archivio comune di intensità plurali” (Alfredo Cramerotti, MacGuffin, soggetti e politica: dentro il lavoro di un’artista, in Marinella Senatore, Op. Cit.). Questo lavoro che parte dal centro, cioè dall’artista-creatore e che orizzontalmente coinvolge gli spettatori fino a farli diventare non solo parte dell’opera stessa ma essi stessi creatori, non ha come unico fine la rappresentazione bensì, soprattutto, la trasformazione dei soggetti che vi hanno preso parte.
Questa prassi di messa in atto di narrazioni condivise da parte di un gruppo eterogeneo che mira a un risultato comune è quindi una metodologia di lavoro non solo politica ma anche femminista, dato che da sempre questo movimento ha fatto dell’aggregazione e dell’orizzontalità la sua cifra distintiva, assieme all’emancipazione dei soggetti stessi attraverso le pratiche della militanza e dell’autocoscienza. “[…] Quando mi chiedono se la cosa più importante sia il processo, rispondo negativamente, perché per me è più importante il tutto. Come ogni direttore d’orchestra c’è molto di mio in questo: io suggerisco una visione.
L’idea è quella di lavorare con le persone, capire se le cose che a me interessano possono interessare anche agli altri
voglio far emergere l’emancipazione della singola persona, attivarla e anche celebrarla in una maniera forte. L’emancipazione della persona e i meccanismi di auto-apprendimento mi coinvolgono molto. Per questo mi interessano linguaggi come danza, musica e cinematografia; mi appartengono sia perché sono parte della mia formazione sia come interessi personali: spesso sono delle sfide. Molte delle persone che coinvolgo non conoscono questi linguaggi. Quando l’essere umano vuole fare qualcosa che esula dalle sue abitudini diventa un po’ come una molla, si carica, fa uno stretching forte dei propri limiti. Questa è la base di tipo concettuale su cui si fonda la School of narrative dance, mio unico progetto che ha sempre un esito performativo. Ci sono poi altre mie linee di lavoro che si basano sempre sulla partecipazione collettiva, ma che non necessariamente hanno come sbocco finale una performance” (Intervista a Marinella Senatore a cura di Irene Angenica, 2 aprile 2019 su FORMEUNICHE).
Marinella Senatore nelle sue produzioni di parate, video e performance difficilmente quindi veste i panni dell’artista preferendo quelli dell’organizzatrice, diventando “la facilitatrice” invece che l’artefice dell’opera, lasciando così che il processo creativo si sviluppi spontaneamente e intervenendo solo se è necessario.
Le installazioni e le mostre di Marinella Senatore sono delle esperienze non solo artistiche ma anche politiche, un’immersione in un caos esteticamente organizzato fra stendardi da processione rivisitati in chiave militante, slogan di resistenza e lotta, poster e collages con riflessioni filosofiche e poetiche sul concetto di rivolta e di partecipazione. Con un’estetica ludica, festosa e pop il lavoro di Marinella Senatore è la rappresentazione plastica della lotta, della presa di coscienza di massa e della resistenza ai soprusi, nella convinzione che l’Arte possa essere lo strumento con cui generare una maggiore consapevolezza per poter superare le differenze di genere, di classe, di razza, di religione e per una maggiore giustizia sociale.