Nadia Murad e Denis Mukwege: il Nobel contro gli stupri di guerra

Donne come bottini di guerra da parte del nemico dal Congo alla ex Juguslavia fino alle ragazze yazidi

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice di DonnexDiritti Network e International Women



«Nell’era della globalizzazione e dei diritti umani più di 6.500 bambini e donne yazidi sono stati fatti prigionieri, venduti e abusati. Nonostante i nostri appelli, il destino di oltre 3.000 donne comprate e stuprate ogni giorno dall’Isis, è ancora sconosciuto. È inconcepibile che i leader di 195 paesi in tutto il mondo non si siano mobilitati per liberare queste ragazze, che se fossero un accordo commerciale, un giacimento petrolifero, o un carico di armi, sicuramente non sarebbe stato risparmiato nessuno sforzo pur di liberarle».

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Denis Mukwege e Nadia Murad durante la premiazione per il Nobel a Oslo EPA/HAAKON MOSVOLD LARSEN / POOL NORWAY OUT

È con queste parole che Nadia Murad, la ragazza yazida rapita, venduta, stuprata e torturata dall’Isis 4 anni fa, ha ringraziato per aver ricevuto il Nobel per la pace in ex-equo con il ginecologo Denis Mukwege, che nel suo ospedale a Bukavu ha curato più di 50mila pazienti devastate dagli stupri di guerra nella Repubblica Democratica del Congo in cui milioni di donne hanno subito inaudite violenze e sevizie da parte di tutte le forze combattenti. Un premio per due attivisti che, secondo il comitato norvegese,

«hanno contribuito a dare visibilità alla violenza sessuale in tempo di guerra»

Nadia aveva vent’anni quando il Daesh prese Kocho, piccolo centro del Sinjar nel nord dell’Iraq, e ha visto sterminare la sua famiglia in una mattinata: «Guardavamo fuori – racconta – sparavano agli uomini e li decapitavano, e altri li portavano via in autobus. Sei dei miei fratelli sono morti così». Ed è da quel 3 agosto 2014 che la sua vita è cambiata per sempre: «Mi sento vecchia – dice – è come se nelle loro mani ogni parte di me fosse cambiata, ogni millimetro del mio corpo è diventato vecchio».

Nominata nel 2016 ambasciatrice Onu per i sopravvissuti al traffico di esseri umani, Murad ha fondato la Nadia’s initiative, una ong per le vittime di violenza e per il popolo yazida, e ha pubblicato un libro dal titolo “L’ultima ragazza”, con l’auspicio che sia lei l’ultima ragazza al mondo con una storia del genere. Un libro in cui racconta tutto: «Il mercato degli schiavi apriva di notte – si legge – e potevamo sentire il trambusto al piano di sotto dove i militanti dell’Isis si organizzavano. Quando il primo uomo entrò nella stanza, tutte le ragazze iniziarono a urlare. Camminavano fissandoci mentre noi gridavamo. Per prima cosa andavano verso le ragazze più belle, chiedendo l’età ed esaminando capelli e bocche.

“Sono vergini, giusto?” Chiedevano alla guardia. Poi ci toccavano passando le mani sui seni e sulle gambe, come se fossimo animali

Ho urlato e urlato, scacciando via le mani che si allungavano per toccarmi. Altre ragazze arrotolavano i loro corpi in palle sul pavimento o si gettavano verso le loro sorelle per cercare di proteggerle. Mentre ero distesa lì, uno di loro si fermò davanti a me. “Tu! La ragazza con la giacca rosa! Alzati!” I suoi occhi sembravano infossati nella carne del suo grosso viso che era quasi interamente coperto di peli.

Non sembrava un uomo ma un mostro, e puzzava di uova marce e acqua di colonia

Donne yazide

Ma rapire, stuprare e ridurre a schiave sessuali queste ragazze per il Daesh non è un’idea improvvisata e non è solo un bottino, perché lo stupro di guerra, che colpisce tutte le donne nei conflitti, non è sempre lo stesso. Così come è stato in Congo e nella ex Jugoslavia, questo tipo di stupro organizzato e sistematico è un’arma di distruzione di massa, che si infrange sulle donne ma colpisce tutta la comunità prima e dopo la guerra, distruggendo il tessuto sociale e provocando crimini contro l’umanità, consumati sulla pelle della popolazione femminile. «Lo Stato islamico – dice Murad – ha pianificato tutto questo: come entrare nelle nostre case, cosa rende una ragazza più o meno preziosa, perché i militanti dell’Isis meritano una sabaya (schiava del sesso, ndr) come incentivo». Nadia è stata comprata e rivenduta molte volte, su di lei ci sono le cicatrici delle torture e le bruciature delle sigarette spente sulla sua carne nuda, e

quando ha tentato di scappare lanciandosi dal secondo piano, è stata ripresa e sottoposta a stupro di gruppo

Un giorno però uno dei suoi «proprietari» si è dimenticato di chiudere a chiave la casa dove era segregata ed è riuscita a scappare bussando a tutte le porte di Mosul finché una famiglia l’ha accolta e l’ha aiutata a fuggire con i documenti della figlia, per raggiungere i campi profughi del Kurdistan, e poi la Germania, dove vive tutt’ora. Oggi, anche se l’Iraq è stato liberato, il Daesh non è stato annientato e Murad vorrebbe vedere a processo i suoi aguzzini. «La situazione degli yazidi nelle prigioni dell’Isis non è cambiata – ha detto a Oslo durante la cerimonia per il Nobel – e gli autori dei crimini del genocidio non sono stati consegnati alla giustizia»: un impegno che rappresenterebbe invece «l’unico premio al mondo in grado di restituirci dignità», in quanto «se non verrà fatta giustizia questo genocidio contro di noi e contro altre comunità, si ripeterà».

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