Morte cerebrale per il piccolo gettato dalle scale dalla madre detenuta nel carcere di Rebibbia

Perché i bambini sono ancora in carcere? L'inchiesta sui minori in prigione con le mamme detenute

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice DonnexDiritti International Women



La piccola Faith di 6 mesi è morta sul colpo, mentre per il fratellino di 2 anni, portato di corsa al Bambin Gesù lunedì scorso, è stata decretata ieri la morte cerebrale. Si tratta dei due piccoli gettati dalle scale e uccisi dalla madre, una tedesca di 34 anni detenuta per spaccio di stupefacenti, all’interno del nido del carcere femminile di Rebibbia a Roma. Un episodio tragico per cui il ministro della Giustizia, Bonafede, ha sospeso i vertici della sezione femminile del carcere di Rebibbia: la direttrice Ida Del Grosso, la vicedirettrice Gabriella Pedote e la vicecomandante del reparto di Polizia penitenziaria Antonella Proietti.

La donna era stata fermata dai carabinieri mentre era in macchina con due nigeriani e 10 kg di marijuana. Ma mentre i due uomini erano stati rilasciati, lei era finita in carcere con i due figli piccoli di sei mesi e due anni. Depressa e sotto stress, per lei era stata richiesta, come prevede la legge, la detenzione domiciliare ma proprio quando sembrava averla ottenuta, il magistrato è stato sostituito e il nuovo aveva respinto la domanda.

Ora Alice continua a ripetere: “I miei bimbi sono volati in cielo”, dice di averli “liberati”: ma perché ucciderli? Perché un gesto così terribile e ingiustificabile?

Non so chi di voi è mai stato in un carcere, io ci sono stata e sono andata per 6 mesi proprio nel nido della sezione femminile del carcere di Rebibbia quasi tutti i giorni. Dieci anni fa feci la prima video inchiesta in Italia sui bambini in carcere con le mamme dal titolo “Il carcere sotto i tre anni di vita”, e quegli sguardi sfuggenti, la continua richiesta di attenzione, l’incapacità di restare concentrati su un solo gioco per più di cinque minuti in una continua frenesia di uscire da quelle quattro mura, non me la scorderò mai.

Quando l’inchiesta fu terminata, per essere poi trasmessa su Rainews24, fu presentata dal Professor Bollea, il padre della moderna neuropsichiatria infantile, che si commosse davanti a quelle immagini e che stringendomi una mano disse: “Hai fatto emergere una realtà straziante, questa è una tortura per i bambini”. Bollea, che conosceva bene l’infanzia, disse anche, davanti alle istituzioni presenti, che lui era in grado di leggere quegli sguardi prevedendo quali sarebbero stati i danni terribili che la reclusione forzata avrebbe provocato sui piccoli, e che quella realtà nascosta in un Paese come l’Italia, era qualcosa di disumano, inaccettabile.

Allora la legge prevedeva che i bambini fino a tre anni potessero stare con le mamme in carcere e all’epoca incontrai anche donne che in carcere avevano partorito e che descrissero minuziosamente i dolori e le sofferenze inutili che avevano patito. In una popolazione di detenute che allora, come ancora oggi, si aggira sul 4% dell’intera popolazione carceraria (cioè una percentuale bassissima), di cui la maggior parte è in carcere per reati minori come furto, quella delle mamme in carcere con bambini dovrebbe essere uno dei problemi più facile del mondo da risolvere.

Oggi, come all’epoca, i bambini in carcere con le mamme sono circa sessanta in tutt’Italia (27 italiane con 33 figli e 25 straniere con 29 figli), eppure ci chiediamo ancora adesso: perché questi bambini che sono nati liberi devono essere costretti a stare in un carcere? Le modifiche legislative nel corso degli anni hanno previsto, con la legge n. 62 del 2011, la costruzione degli Icam (Istituti a custodia attenuata) che al loro interno dovrebbero somigliare più a una casa famiglia che a un carcere, con il personale senza divise e uno spazio esterno, ed era prevista anche la possibilità di scontare la pena in una Casa famiglia protetta con i piccoli, riconfermando anche la detenzione domiciliare nel caso fosse possibile, salvo i casi di esigenze cautelari per gravi reati.

Oggi sezioni femminili nei carceri sono 5 (Empoli, Pozzuoli, Roma “Rebibbia”, Trani e Venezia “Giudecca”) e anche gli Icam sono 5 (Milano, Venezia, Torino e nella provincia di Cagliari e Avellino) ma essendo sempre dei luoghi detentivi le soluzioni migliori, sempre per reati non gravi, sembrano le casa famiglia protette (che potrebbero ospitare molte più mamme con bambini di quelle che ospitano) e sicuramente i domiciliari (dove la madre ne abbia la possibilità). Eppure ancora adesso vediamo bambini in strutture carcerarie dove dormono in 15 in una stanza, dove la notte i bambini stressati si alzano e vanno a mordere gli altri bambini, dove le madri disperate cercano di calmarli per l’altissima soglia di aggressività che sviluppano.

Verrebbe da pensare, come succede spesso in Italia, che le leggi ci sono ma non si applicano: per ignoranza? superficialità?

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Le immagini dei minori sono coperte da liberatoria dei genitori e della Direttrice del Carcere Casa circondariale femminile di Rebibbia per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni

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