La salute delle donne è un argomento che non passa mai di moda soprattutto perché costantemente messa in discussione anche in quei paesi che dovrebbero attuare politiche che facilitino l’accesso delle donne al controllo riproduttivo.
Il 28 settembre sarà la Giornata mondiale per la depenalizzazione dell’aborto e contro le morti per aborto clandestino, e alcune associazioni in Italia (tra cui l’Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto, l’Associazione Luca Coscioni, l’AIED, ecc.) hanno presentato una petizione alla ministra della salute, Beatrice Lorenzin, per velocizzare l’IGV farmacologico estendendolo in regime ambulatoriale dato che oggi in Italia, a differenza di altri Paesi come la Francia, per interrompere una gravidanza con procedura farmacologica è previsto il ricovero ordinario di 3 giorni, e dove solo in Toscana, Emilia Romagna e nel Lazio si può praticare con un day hospital (ma solo perché regioni “disobbedienti”). In realtà, tra i tagli alla sanità e l’incombente presenza dei medici obiettori negli ospedali – la cui percentuale italiana (70%) è seconda solo al Portogallo (80%) – interrompere una gravidanza è diventato difficile soprattutto nel centro-sud, e
alcune donne sono costrette a fare code interminabili che possono cominciare alle 5
del mattino con esito incerto. Circostanze che mettono in grave pericolo l’attuazione della stessa legge che invece dovrebbe essere invece garantita. Il grosso ostacolo a facilitare l’Igv è spesso legato all’idea che una donna possa “prenderla alla leggera” e usare l’aborto come se fosse un metodo contraccettivo, mentre invece quella dell’interruzione di gravidanza è un’esperienza che le donne vivono spesso in maniera traumatica e anche con grandi sensi di colpa proprio per il contesto culturale che le fa sentire responsabili di una vita che vanno a interrompere, dissociando così loro stesse dal proprio corpo, e come se fossero donne “sbagliate” a prescindere.
Ma quello che è doveroso sottolineare è anche la premura che le istituzioni dimostrano rispetto al controllo su quello che una donna decide di fare della propria vita (non tutte le donne desiderano diventare mamma ad esempio) che nel caso dell’aborto farmacologico ambulatoriale diventerebbe quasi “sfacciato” perché praticato con troppa autonomia.
Quest’estate è scomparsa Simone Veil che da ministra della salute nel 1974 riuscì a far passare la legge che depenalizzava l’aborto in Francia dopo un’estenuante battaglia parlamentare che le costò insulti e aggressioni pubbliche. I tempi sono cambiati ma solo in apparenza, e anzi per certi versi sono anche peggiorati.
In Europa coesistono ancora oggi Paesi come Malta, in cui l’aborto è vietato in ogni caso, e la Svezia in cui l’obiezioni di coscienza dei medici non esiste neanche
e non mancano aggressioni delle istituzioni alla legge, come anni fa in Spagna e l’anno scorso in Polonia (dove la legge è già restrittiva), o i tentativi di boicottare l’Igv attraverso l’obiezione di coscienza come in Italia o il Portogallo.