Amnesty compie 50 anni e i suoi rapporti sulle donne peggiorano

Per la quasi totalità dei paesi citati nelle 800 pagine è presente la voce che fa riferimento a diritti negati delle donne

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice di DonnexDiritti Network e International Women



Per i suoi 50 anni Amnesty International brinda alla libertà in tutta Italia: sabato 28 e domenica 29 maggio in molte città italiane concerti, spettacoli, reading, daranno vita allo Human Rights Tour 50° per la quinta edizione delle Giornate dell’attivismo di una delle più grandi organizzazioni in difesa dei diritti umani. Le giornate arrivano a ridosso del rapporto annuale che Amnesty ha presentato due settimane fa a Roma su quali siano le condizioni globali riguardo le violazioni di diritti civili, politici, sociali, culturali ed economici:

98 paesi coinvolti in forme di torture e maltrattamento, 54 in processi iniqui, prigionieri di coscienza in 48, limitazioni della libertà in 89, e 67 paesi in cui sono state emesse condanne a morte

Ma scorrendo il pesante volume del 2011 c’è un primato che spetta inequivocabilmente alle donne: per la quasi totalità dei paesi citati nelle 800 pagine è presente la voce che fa riferimento a diritti riproduttivi negati, lesione dei diritti sessuali ma soprattutto a discriminazioni, più o meno gravi, maltrattamenti e violenza contro donne e ragazze.

“Con le conferenze internazionali della metà degli anni ’90 la comunità internazionale ha cominciato a valutare lo stupro come crimine contro l’umanità e la violenza sessuale sulle donne è stata riconosciuta come una grave lesione dei diritti umani a livello internazionale, un fatto molto importante che però non ha cancellato i problemi di genere”, dice Christine Weise, presidente della sezione italiana di Amnesty International che si sofferma con noi a parlare di donne, ragazze, bambine, vittime di crimini e abusi gravissimi che non sempre trovano voce sui media e che l’informazione spesso tende a trascurare.

“Malgrado la situazione legislativa generale sia migliorata – continua Weise – ci sono ancora tantissime donne che vivono in assenza totale di diritti fondamentali e paesi in cui non solo non viene punita la violenza e l’abuso nei confronti delle donne ma dove, in materia di diritto di famiglia, divorzio, istruzione, eredità, salute, le donne sono ancora tagliate fuori. Tutt’oggi in Iran, per esempio, permangono regole rigidissime sull’abbigliamento femminile, in Medio Oriente e in altre parti del mondo rimane il delitto d’onore e il matrimonio forzato, in Indonesia la maggior parte delle donne non accede ai servizi sanitari, in America Centrale e Messico i dati riferiti al femminicidio, molti in seguito a stupri, sono allarmanti, in altri paesi dell’America Latina c’è un’assenza totale della parità riproduttiva: in Nicaragua è stato reintrodotto il divieto di interrompere la gravidanza anche in caso di pericolo di vita della madre o di stupro anche se minorenne”.

Per completare questo agghiacciante elenco ecco alcuni dati del volume: nella Repubblica del Ciad le violenze sessuali continuano a essere perpetrate con larga impunità da membri delle comunità, gruppi armati, forze di sicurezza e nella maggior parte dei casi documentati si tratta di bambine; nella Repubblica Democratica del Congo le donne e le ragazze continuano a essere stuprate in massa da gruppi armati ma anche da forze di sicurezza e polizia nazionale con copertura da parte di ufficiali superiori, e spesso i responsabili individuati sono lasciati fuggire dal personale carcerario; in Guinea Bissau, in aprile, una ragazza di 15 anni è stata picchiata a morte dalle donne del suo villaggio, nella regione meridionale di Tombali, per essersi rifiutata di sposare un uomo molto più vecchio di lei mentre due ragazze nigeriane, che in febbraio erano state fermate e messe in carcere in custodia per un anno, sono state ripetutamente stuprate e sono rimaste incinte durante la detenzione. E se infine ad Haiti continuano gli stupri all’interno e nei dintorni degli accampamenti, ufficiali e non, senza nessuna protezione sulle donne e senza adeguate indagini sui colpevoli, la situazione che più di tutte fa un salto nell’oscurità è quella

in Papua Nuova Guinea dove le donne possono essere accusate di stregoneria e per questo maltrattate, violentate e uccise

ad aprile un ambulatorio di Lae ha riferito della presenza di 200/300 pazienti vittime di stupri, percosse e aggressioni con coltelli, mentre a settembre, negli Altopiani Occidentali, una madre di 4 figli è stata legata, interrogata, torturata e bruciata viva dopo essere accusata di stregoneria. Ma i diritti negati nei confronti delle donne non sono una realtà che riguarda solo l’Africa o le sperdute aree asiatiche o l’America Latina, perché anche nella civilissima Europa le donne non sono tutelate: leggendo il rapporto si apprende con sgomento dell’esistenza di una legge che in Danimarca prevede che “se lo stupratore sposa o prosegue la relazione matrimoniale o l’unione viene registrata con la vittima dopo lo stupro, la pena viene ridotta o condonata”; e non è finita perché in questo Paese del Nord Europa solo il “20% degli stupri denunciati arrivano a una condanna mentre la maggioranza dei casi viene chiusa dalla polizia o dal pubblico ministero e non arriva mai a processo”.

Mentre per esempio in Spagna, secondo il Ministero della Salute, delle Politiche sociali e delle Pari opportunità, si registra un aumento delle donne uccise per mano dei loro partner, in un quadro complessivo europeo (che nel rapporto comprende anche parte dell’Asia centrale) di continuo dilagare della violenza contro donne e ragazze tra le mura di casa “indipendentemente dall’età e dal gruppo sociale d’appartenenza. “Il problema delle violenze sulle donne – spiega Weise – è che in molti casi vengono consumate in un ambito nascosto, dove le stesse vittime fanno fatica a denunciare. Anche in Occidente la donna ha paura e stenta a segnalare un marito o un partner violento, e questo succede perché in molti casi si rischia che la vittima diventi a sua volta imputata e quindi emarginata e incompresa.

spesso i casi vengono archiviati e la maggioranza delle donne non riceve giustizia anche in Europa

una prassi che avviene anche dove apparentemente vi è una parità tra i sessi in ambito politico, sociale e anche economico. In questo senso la violenza domestica è un problema in molte parti del mondo, e anche se è vero che la povertà ostacola e rende difficoltoso l’accesso al denaro da parte delle donne, e quindi all’autonomia che evita una dipendenza totale dall’uomo, quello della violenza sulle donne è un fenomeno globale e succede anche nelle famiglie senza problemi economici. L’unico modo di agire, secondo me, è creare un numero sufficiente di centri per le donne, anche straniere, ma soprattutto un accesso facilitato alla protezione e al rispetto dei diritti di genere”.

Qualcosa di nuovo però si è respirato ed è stato durante le rivolte in Medio Oriente, un vento impetuoso dove le donne hanno preso la parola e sono scese in piazza senza paura dimostrando una forza dirompente che ha dato vita a movimenti di massa contro regimi e contro la povertà, e coprendo ruoli decisivi all’interno di dibattiti e riunioni di protesta, tanto che il rapporto di Amnesty dedica un parte esclusiva alla trasformazione in corso in quest’area e soprattutto in Egitto, dove le donne che avevano partecipato attivamente allerivolte siano state, in un secondo momento, emarginate ed escluse dai processi decisionali: “Nella primavera mediorientale – conclude Christine Weise – le donne che sono scese in piazza dicevano di sentirsi finalmente libere, di essere protagoniste, anche se quello che poi è successo dopo, per esempio in Egitto, sono stati episodi terribili come test di controllo della verginità, con abusi sulla dignità e delle donne. Malgrado questo, credo che queste donne abbiano dimostrato di avere la forza di lottare e di cambiare le cose”.

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