L’attacco è cominciato da un po’ ma quello che ci aspetta è una lotta contro il ritorno a un Medioevo Moderno. Servono armi, corazze, e un esercito pronto a rimandare al mittente la teoria serpeggiante che negare l’interruzione volontaria di gravidanza a una donna sia lecito perché così si sostiene la vita, perché così non vengono violati i diritti umani, perché così si evita di “uccidere bambini”.
A 34 anni dall’approvazione della legge 194 il sindaco di Roma Alemanno ha sfilato alla “Marcia per la vita” e negato il patrocinio del Comune al Convegno “Obiezione di coscienza in Italia”
organizzata dall’Associazione Italiana per l’Educazione Demografica (AIED) e dall’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, in occasione del 34° anniversario dell’entrata in vigore della legge 194/78. Monica Cirinnà, presidente della Commissione delle Elette, ha fatto sapere che “gli organizzatori hanno ripetutamente chiesto al Sindaco il Patrocinio all’evento di Roma Capitale con la campagna di diffusione nelle modalità previste, ma ogni sollecitazione è stata ignorata”, un convegno che per altro si pone l’obiettivo di “determinare, tramite proposte concrete, la corretta applicazione di una norma che legalizzando l’aborto ha prodotto una diminuzione delle interruzioni di gravidanza”.
I dati Ministeriali oggi parlano di una diminuzione degli aborti pari al 2,7% rispetto al 2009, e un decremento che raggiunge il 50,9% se confrontato il 1982. Ma allora la domanda è: perché sfilare con la fascia tricolore che ha una valenza istituzionale e non personale, contro l’aborto e non dare il patrocinio a un’iniziativa che mira a informare sull’applicazione di una legge – la 194 – che in Italia è passata con un referendum popolare con l’88% di pareri favorevoli e che è, a tutt’oggi, una legge di Stato?
Ieri alla Camera si è discusso sulla tutela dell’obiezione di coscienza nei casi di interruzione volontaria di gravidanza, di fine vita e di procreazione assistita, e un fronte bipartisan – Eugenia Roccella del Pdl, Luca Volonté e Paola Binetti dell’Udc, Massimo Polledri della della Lega, e Beppe Fioroni del Pd – ha sostenuto la mozione presentata al Governo da Volonté in cui si chiede di “dare piena attuazione al diritto all’obiezione di coscienza in campo medico e paramedico e a garantire la sua completa fruizione senza alcuna discriminazione o penalizzazione, in linea con l’invito del Consiglio d’Europa”, a cui si è contrapposta la mozione promossa da Maria Antonietta Farina Coscioni del Partito radicale, appoggiata da diversi deputati del Pd, che ha ricordato come il Consiglio d’Europa tuteli anche “l’inalienabile diritto di ogni individuo alla salute e la responsabilità dello Stato di garantire che ogni paziente riceva le cure mediche e i trattamenti sanitari legali entro i termini appropriati”.
La realtà infatti è che in Italia l’80% dei medici è obiettore di coscienza e tra un po’ non ci sarà più nessuno in grado di effettuare interruzioni di gravidanza
Mesi fa, all’Ospedale San Camillo di Roma, la dottoressa Giovanna Scassellati – ginecologa a capo del Day Hospital nel reparto maternità e ginecologia dell’ospedale romano – raccontava che malgrado loro facciano aborto terapeutico, ricerca, informazione sulla contraccezione, inserimento della spirale, somministrazione della pillola Ru-486 (nel Lazio sono pochissimi i centri che la trattano), e siano quindi un centro d’eccellenza con colloqui preliminari e anamenesi prima della somministrazione della pillola abortiva, “su 21 colleghi – dice Scassellati – solo 7 di noi non sono obiettori di coscienza e naturalmente il lavoro è più difficile”.
Molti medici scelgono di fare gli obiettori perché così hanno più tempo libero anche per le loro attività private, ma per Antonio Panti – presidente dell’Ordine dei medici di Firenze – anche se il medico fosse obiettore non può rifiutarsi di offrire consulenza informativa alla donna che vuole accedere alla 194, perché se l’obiezione non deve discriminare il medico, quest’ultimo deve comunque garantite il funzionamento del servizio sanitario pubblico in cui lavora. Di fatto se in Italia gli aborti sono diminuiti drasticamente è grazie a questa legge perché nel mondo – secondo un autorevole studio presentato a Londra e pubblicato sulla rivista Lancet
dal 2003 l’aborti è calato di 600.000 nei paesi sviluppati ma aumentato di 2,8 milioni nei paesi emergenti
nel 2008 ci sono stati 6 milioni di aborti nei paesi ricchi ma nei paesi emergenti ce ne sono stati 38 milioni, e mentre la metà degli aborti globali sono clandestini di questi il 98% avviene in paesi dove le leggi sull’aborto sono restrittive. Quindi per far diminuire gli aborti occorre esportare la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza e non toglierla dove già c’è. L’attacco alla salute della donna – che si ritroverebbe costretta all’aborto clandestino a rischio della sua stessa vita – non solo è lesivo per il suo diritto a effettuare un intervento in condizioni di sicurezza ma lede il principio fondamentale all’autodeterminazione perché è un diritto umano che concerne la donna – e solo la donna – in quanto non si può considerare quello che è nella sua pancia come un corpo estraneo da lei.
In Italia nel 1981 gli italiani votarono NO all’abrogazione della legge 194 approvata nel ’78, malgrado ciò il comitato “No194” vuole un nuovo referendum
della legge adducendo l’argomento, non nuovo, che il diritto alla vita di chi è un nucleo di cellule è un diritto più importante di chi è già nata, cresciuta e paffuta, cioè della donna che di quella pancia è proprietaria assoluta. L’attacco avviene in maniera capillare sia attraverso le amministrazioni di destra regionali che rendono sempre più difficile l’accesso alla legge e cercano di modificare territorialmente questo diritto, sia a livello nazionale con la proposta di abrogazione della legge, ma anche a livello europeo.
Sulle Regioni, oltre alla Lombardia che ha istituito il Fondo Nasko che dà alle donne che decidono di non abortire un contributo di 250 euro mensili per un anno e mezzo (una cifrona per crescere un figlio) e che è un modello che anche altre Regioni cercano di esportare, l’esempio del Lazio rimane uno dei più scandalosi. La legge proposta dalla consigliera regionale Olimpia Tarzia – Presidente Nazionale del Movimento per Politica Etica Responsabilità – ha tentato di spazzare via i consultori del Lazio per il loro ruolo centrale nell’ambito dell’interruzione volontaria della gravidanza per donne e ragazze a spese del Sistema sanitario nazionale, ma è stata bloccata in Commissione grazie alla sommossa dell’Assemblea Permanente delle donne che ha raccolto 1.200 firme contro la legge Tarzia.
Ovviamente però in Italia quello che esce dalla porta cerca sempre di rientrare dalla finestra e la consigliera ha trovato lo stratagemma di inserire due emendamenti (visibili nelle quattro pagine qui sotto) alla legge presentata dall’assessore Aldo Forte sul “Sistema integrato degli interventi, dei servizi e delle prestazioni sociali per la persona e la famiglia nella Regione Lazio”, la cui discussione, che doveva svolgersi domani, è stata rimandata a giugno per le forti pressioni contro.
Il nuovo modello che vi si propone parte dallo smantellamento del consultorio pubblico a vantaggio di quello privato, e mette al centro la famiglia, mettendo in secondo piano sia la decisionalità della donna che vuole abortire, sia la sua autonomia, come se fosse persona non in grado di intendere e di volere in quanto portatrice di qualcosa di cui lei non sa e non può avere consapevolezza (nella miglior tradizione cattolica della madonna portatrice-incubatrice del figlio di dio). Luigi Nieri, Capogruppo di Sinistra Ecologia Libertà nel Consiglio regionale del Lazio, ha sottolineato che “L’emendamento ripropone fedelmente le questioni centrali contenute nella legge Tarzia, come le tematiche antiabortiste e la formazione, su queste, del personale dei consultori, il riconoscimento delle sole coppie fondate sul matrimonio, il sostegno e l’accreditamento di consultori privati ispirati a questi principi, lo smantellamento dell’attuale rete dei consultori pubblici”.
Olimpia Tarzia, dal suo punto di vista, ha parlato dell’opposizione alle sue proposte come “luoghi comuni, linguaggio stereotipato, fermo agli anni ’70”, senza prendere in considerazione che quello che lei propone alle donne è invece un ritorno al Medioevo, o al massimo alla Controriforma, dato che alcune clausole, come il verbale (anche se in forma anonima) redatto e mandato all’assessorato regionale dopo che si è deciso se abortire o meno, ha proprio un vago sapore inquisitorio. Domenica scorsa è stato celebrato, al sicuro dell’aula Paolo VI in Vaticano, il “Life Day 2012” in cui si è ricordato come la legge 194 abbia finora causato “l’uccisione di 5 milioni e mezzo di bambini” e in questa occasione è stata varata l’iniziativa europea “Uno di noi” con cui
il Vaticano chiede il riconoscimento dei diritti al feto con un comitato di 21 movimenti per la vita di 20 nazioni europee
La parvenza di modernità che le destre e la chiesa cattolica danno a questa privazione di diritto che colpisce le donne, è il richiamo ai diritti umani in cui però si considera la donna come se fosse un fantasma, o meglio come se non fosse, lei stessa, un essere umano. La Santa Romana Chiesa ha coinvolto tutti gli episcopati per chiedere all’Unione Europea che “il riconoscimento della dignità umana e il diritto alla vita di ogni essere umano fin dal concepimento sia trattato in un adeguato dibattito presso le istituzioni europee” richiesta raccolta da l’11 maggio scorso a Bruxelles dove sarà possibile aderire fino al 2013 con l’obiettivo di coinvolgere tutti gli Stati europei.
Mentre a Strasburgo pochi giorni fa, in occasione della presentazione del rapporto annuale sui diritti umani, l’eurodeputato del Pdl, Sergio Silvestris, è rimasto turbato dal fatto che “quando si è discusso il rapporto annuale sui diritti umani nel mondo presentato dall’inglese Richard Howitt, il capitolo sui diritti della donna, ricco e articolato, ometteva di considerare le difficoltà di natura socio-economica che in molti casi sono alla base della scelta di interrompere una gravidanza”, un fatto che ha disturbato l’eurodeputato perché nei rapporti presso le istituzioni europee sulla condizione femminile si richiama spesso “il diritto della donna di accedere liberamente e gratuitamente a ogni tipo di sistema contraccettivo o abortivo”.