L’Italia punisce le donne e i bambini

Si contano circa 40 mila minori che transitano nelle case famiglia e che valgono dai 3.000 ai 6.000 euro al mese

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice di DonnexDiritti Network e International Women



Un velo pietoso, anzi un velo nero pieno di vergogna è quello che si è posato sul nostro Paese, e non da ieri. Un’Italia che non ascolta la voce donne e bambini disperati, istituzioni con uomini troppo occupati a spartirsi porzioni di potere e ancora troppe donne riverse e appiattite su politiche che non sono certo a vantaggio del loro genere. Napolitano ha giurato per la seconda volta e mentre si appresta a riunire il peggio degli ultimi due governi italiani, in Italia si continuano a infrangere gravemente i diritti fondamentali della persona. In un clima di decadenza culturale e politica, l’Italia continua a non ascoltare le donne e a non proteggere i minori, con conseguenze che saranno devastanti per il futuro.

Parlo di violenza, violenza domestica ma anche istituzionale, parlo di un’indignazione contro questa violenza trasformata nel giro di pochi mesi in una propaganda contro il femminicidio che consentirà anche a questo governo di non fare nulla di immediato e concreto. Una tragedia che mette l’Italia ai primi posti per lesioni gravi ai diritti di donne e minori, con il concorso delle stesse istituzioni. Cosa succede? allora, mettiamo che oggi una donna italiana si separi da un marito violento con figli minori presenti in famiglia, mettiamo che parli e denunci, e che ci siano anche ricorsi in penale per violenze subite da lei e assistite e/o subite dai figli, mettiamo che il giudice dia l’affido esclusivo a questa madre allontanando il coniuge violento, e poi mettiamo che questo ex coniuge, per vendicarsi della moglie e per ripristinare il suo controllo sui figli, faccia un ricorso per l’affido e che per fare ciò si avvalga di un avvocato che invece di placare gli animi, alimenti lo scontro, lucrandoci. Poi a questo aggiungiamo anche una perizia, fatta da uno psichiatra o da uno psicologo di fiducia, che diagnostichi una malattia inesistente, la Pas (sindrome di alienazione parentale), a questo punto cosa può succedere?

Che il giudice accolga la diagnosi della fantomatica Pas, che rende tutto più veloce, e che i bambini siano affidati a una struttura in cui il minore sarà “resettato”

e quindi costretto a frequentare il genitore rifiutato attraverso l’allontanamento progressivo del genitore accudente, perché la Pas colpisce i bambini che non vogliono vedere uno dei due genitori, “alienazione” di cui sarebbe responsabile l’altro. E questo succede, malgrado la Pas non sia mai stata riconosciuta ufficialmente e non sia presente neanche nell’ultimo Dsm, malgrado sia stata “inventata” da uno psichiatra americano che giustificava la pedofilia, e malgrado ci sia una recente sentenza di Cassazione (quella sul caso del minore di Padova, il cui video è stato visto nel mondo), che ha messo in guardia gli stessi giudici dall’utilizzare nei tribunali questa pseudo sindrome. Una doppia violenza, di tipo privato ma anche istituzionale, con bambini dichiarati “malati” attraverso discutibili diagnosi in Ctu (consulenza tecnica d’ufficio) e in base a questo prelevati anche con la forza a scuola o sotto casa, da operatori dei servizi sociali accompagnati dalle forze dell’ordine, e messi in strutture “neutre”.

Il caso dei due bimbi di 7 e 8 anni prelevati dai servizi sociali per essere collocati in una casa famiglia di Salerno in quanto appunto “affetti da Pas” (e non, come molti giornali hanno scritto con evidente ignoranza, con la mamma malata di Pas o accusata di Pas, come se fosse un reato), è però ancora più grave. Qui il curatore dei minori aveva richiesto la sospensione della potestà del padre per molestie sessuali che sarebbero emerse dalla testimonianza dei piccoli durante un colloquio con lo psicologo, e su cui il tribunale si è espresso con la decadenza della potestà del genitore abusante, potestà tolta anche a quello accudente,  cioè la madre, che avrebbe manipolato i bambini per allontanarli dal padre facendo “ammalare” i figli di Pas, tanto che ora i piccoli rischiano l’adozione a terzi. Un fatto su cui anche il semplice buon senso percepisce che c’è qualcosa che non quadra:

che voglia può avere un bambino di vedere un genitore abusante?

Ma soprattutto, come accusare l’altro genitore di manipolare i ragazzini se il fatto di non difendere i figli da un membro della famiglia abusante e/o violento, può delinearsi come un reato? Il caso è rimbalzato sui media perché la madre, che non ha più rivisto i figli da quel 15 marzo, ha reso pubblico il video con cui ha registrato il prelevamento dei piccoli mentre tornavano a casa da scuola con lei in macchina. Un video il cui sonoro testimonia la disperazione dei bambini al pensiero di non rivedere la mamma, alla quale uno dei due chiede: “Ci uccideranno?” (cliccare per vedere il video in forma protetta dal sito di “Leggo”).

C’è da dire che in Italia questo non è un caso isolato e che tutto ciò succede più spesso di quanto si pensi, perché nella maggior parte dei casi in cui viene utilizzata la Pas, si prevede quasi sempre una madre “malevola” responsabile della interruzione dei rapporti con un genitore che il minore non vuole vedere perché magari violento e/o abusante. Un caso, quello di Salerno, che riaccende i riflettori su una tragedia in cui i bambini sottratti con modalità del tutto opinabili, sono tantissimi (come testimoniato anche dal video girato sul caso di Padova). Ieri lo stesso presidente dell’Osservatorio dei diritti dei minori, Antonio Marziale, si è espresso su questi casi con toni durissimi, affermando che “Lo Stato non può assumersi la responsabilità di un danno irreversibile nei confronti di creature inermi e indifese, tanto più grave perché provocato a scuola, luogo di protezione per eccellenza. Le riprese effettuate con l’ausilio del telefonino e penetrate nelle case di tutti gli italiani, a testimonianza della sofferenza dei bambini, rendono intelligibile una modalità di esecuzione del provvedimento degna di essere paragonata ai tempi della Gestapo”. Modalità di cui l’esempio limite è quello di un bambino che per essere prelevato ha avuto 14 poliziotti schierati sotto casa perché si rifiutava categoricamente di seguire gli operatori dei servizi sociali i quali, per fortuna, alla fine non hanno avuto cuore di portarlo via perché irremovibile nel rimanere a casa con la madre. Cose di cui i media non parlano a meno di uno scoop provocato dalla disperazione di queste madri.

Oggi in Italia ci sono circa 40 mila bambini che transitano in strutture come casa famiglia o comunità, e tralasciando gli orfani o i minori con genitori impossibilitati all’accudimento, una parte di questi bambini sono rinchiusi in strutture perché tolti ai genitori non solo a causa della fatomatica Pas, ma anche per semplice conflittualità dei coniugi in via di separazione (anche in assenza di violenza e/o abuso), o perché i servizi sociali ritengono inadeguato il nucleo familiare:

un vero business se si pensa che a queste strutture tenere i piccoli significa ricevere dai 3.000 ai 6.000 euro al mese a bambino

cifre che sfamerebbero 3 di queste famiglie catalogate come indigenti. Bambini con genitori viventi, che vengono affidati a terzi e che rischiano l’adozione, prelevati con modalità discutibili da scuole o da casa, e messi a regime con psicofarmaci nelle case di accoglienza dove possono subire anche violenze, come dimostra il caso di Forteto a Firenze: un caso su cui pochi giornali hanno scritto, ma dove Rodolfo Fiesoli, e altre 22 persone, sono stati rinviati a giudizio “nell’inchiesta sulle violenze sessuali e maltrattamenti che sarebbero stati inflitti agli ospiti della comunità, tra cui minori in affidamento con il consenso dei tribunali e il sostegno di enti pubblici”.

Una comunità dove, come ha detto alla “Nazione” Paolo Bambagioni, vicepresidente della Commissione regionale d’inchiesta sul caso-Forteto, vi era “una precisa responsabilità del Tribunale con i nomi delle persone che hanno svolto la funzione negli anni, che hanno preso minori in difficoltà per assegnarli a famiglie affidatarie di una comunità ai cui vertici c’erano persone condannate nell’85 per reati sui minori. All’epoca ci fu chi, tra i giudici, sostenne che la sentenza contro Fiesoli e Goffredi era sbagliata”. La prassi, per Bambagioni, è che

“Il servizio sociale segnala il bambino che sta male nella famiglia d’origine. Il giudice valuta e glielo toglie”

ma con quali criteri di assegnazione? L’anno scorso a Napoli non ha fatto notizia, l’inchiesta su una casa famiglia in cui vi erano “ragazzini usati come merce di scambio per lucrare sui fondi del Comune destinati all’accoglienza residenziale dei minori provenienti da famiglie disagiate” e dove “un’assistente sociale che aveva chiesto ai responsabili di una struttura una tangente per l’affido di due minori”, è stata “fermata in flagranza di reato con una mazzetta da 800 euro in tasca”. Un business “con una movimentazione di 30-32 milioni di euro”, a favore di chi gestiva le politiche del welfare per conto del Comune e dove i bambini “erano usati come merce di scambio per lucrare sui fondi che il Comune destina all’accoglienza residenziale dei minori”.

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