Il destino dell’Ucraina è contenuto già nel suo nome: in slavo l’espressione «u-craina» significa «al confine» e, nel linguaggio geopolitico, è lo spazio-cuscinetto fra due superpotenze che non deve appartenere a nessuno per garantire gli equilibri strategici. Quando l’Urss collassò, nel 1991, l’Ucraina fu la prima delle repubbliche sovietiche ad andarsene da Mosca.
E fu profetico Zbigniew Brzezinski, il consigliere per la sicurezza della Casa Bianca ai tempi di Carter, che avvertì come la nascita dell’Ucraina si sarebbe rivelata «una delle tre grandi svolte del ‘900, dopo la dissoluzione dell’Impero austroungarico e la Cortina di ferro». La tensione di queste settimane tra Russia e Occidente viene da quegli avvenimenti lontani. Ma perché questo Paese — il più grande d’Europa dopo la Russia, esteso quanto Germania e Gran Bretagna messe insieme, con 44 milioni di abitanti (gli stessi della Spagna) – è conteso al punto da riportarci a scenari da Guerra fredda?
«La vera linea Est-Ovest passa per l’Ucraina e per le riserve energetiche del Caspio — scrisse qualche anno fa il New York Times — A Putin interessa possederla, agli Usa controllarla»
Il patto non scritto Bush-Gorbacëv
Torniamo al 1989. I russi sostengono che dopo la caduta del muro di Berlino ci fu un accordo non scritto fra il leader sovietico, Michail Gorbačëv, e l’allora presidente americano George H. W. Bush: in cambio della riunificazione della Germania e del ritiro delle forze armate di Mosca, la Nato non si sarebbe mai allargata sui Paesi del patto di Varsavia (in quel momento ne facevano parte la Polonia, Ungheria, Bulgaria, Cecoslovacchia e Romania), e men che meno alle repubbliche ex sovietiche. È un accordo che gli americani ufficialmente hanno sempre negato. E che durò comunque poco. L’indipendenza dell’Ucraina venne sancita da un referendum il primo dicembre del 1991: esattamente cinque mesi dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia.
Nel 1993, con la nascita dell’Unione Europea e le prime richieste d’adesione dai Paesi dell’Est, gli Stati Uniti s’inventano il «Partenariato per la Pace», un programma che aggiri i veti russi e avvicini alla Nato non solo i Paesi dell’ex Patto di Varsavia, ma anche pezzi della vecchia Urss come l’Estonia, la Lettonia e la Lituania. Di più: il presidente americano Bill Clinton chiede a tutti gli europei di fare «una scelta di campo» e che tutti i negoziati per l’ingresso nella Ue, da quel momento, siano preceduti anche da una sostanziale adesione ai princìpi della Nato. La regola non è codificata, ma diventa una prassi, anche perché sono i Paesi stessi a chiedere di far parte dell’Alleanza. È andata così per Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca, le tre le repubbliche baltiche, e sta andando allo stesso modo nei Balcani: dall’Albania al Montenegro alla Macedonia.
Putin: l’Ucraina no!
La Russia post-sovietica e indebolita di Boris Eltsin, subisce negli anni ’90 questo allargamento occidentale. Si negozia su tutto. Si cominciano a progettare le due linee del gasdotto Nord Stream, che dovranno trasportare direttamente il gas russo in Europa, «bypassando» gli ex alleati della Polonia, dei Paesi baltici e dell’Ucraina, ma pure i fedelissimi bielorussi. Perché a Mosca, in quel momento, è più urgente incassare dollari che credito politico. Con l’arrivo di Vladimir Putin cambia tutto. E il primo, deciso «niet» è proprio sull’Ucraina.
La linea rossa invalicabile. Kiev era la capitale della terza più grande repubblica dell’Unione sovietica. Il granaio e l’arsenale dell’impero: dava a Mosca un quarto dei cereali, del latte, un terzo del ferro, del carbone e del manganese, il 60% del bitume e dell’antracite, ospitava le centrali e le testate nucleari. La popolazione dell’Ucraina orientale e della Crimea è sempre rimasta in gran parte russa per lingua, mentalità e cultura. Lo scorso luglio Putin ha detto chiaro come la pensa: ucraini, russi e bielorussi nascono dalla stessa radice e devono restare insieme. L’Ucraina, dunque, no. Un suo ingresso nella Nato, al pari di quello della Georgia, diminuirebbe la credibilità strategica e politica della Russia.
Lo scorso luglio Putin ha detto chiaro come la pensa: ucraini, russi e bielorussi nascono dalla stessa radice e devono restare insieme
2008: il rifiuto di Italia Francia Germania
Nel 2004 a Kiev scoppia la Rivoluzione arancione, una rivolta anti-russa e sostenuta dall’Occidente, ed è lì che il Cremlino riesce a far eleggere un suo uomo, Viktor Janukovyč, con un voto che verrà dichiarato truccato: il suo avversario, Viktor Juščenko, viene misteriosamente avvelenato con una dose di diossina. E alla fine d’una disputa sul gas, con Mosca che accusa Kiev di fare la cresta sulle forniture all’Europa che passano per i gasdotti ucraini, è sempre Janukovyč a farsi rieleggere e a spostare il Paese sulle posizioni di Mosca.
Il 4 aprile 2008 durante il vertice Nato, convocato a Bucarest, gli Usa fanno pressioni per l’ingresso di Ucraina e Georgia nell’Alleanza, ma non se ne fa nulla a causa dell’opposizione di Italia, Francia e Germania. Romano Prodi, che era presente a quel vertice, ricorda «il vertice fu convocato solo per quello, ma abbiamo detto no, “per ora”, perché avrebbe creato tensioni».
E infatti la Georgia, per aver provato ad uscire dall’influenza di Mosca, nell’agosto del 2008 assaggia la prima guerra europea del XXI secolo
La Moldova si trova bloccate le esportazioni in Russia, non appena firma un accordo d’avvicinamento all’Europa. Nel 2014 in Ucraina sarà una nuova sanguinosa sollevazione della capitale a cacciare Janukovyč definitivamente, svelare i piani americani e spingere Putin a una duplice risposta: l’invasione della Crimea e l’annessione della penisola attraverso un referendum presidiato dalle forze d’occupazione; la secessione della regione del Donbass filorusso, sul confine dell’Est, che porterà all’autoproclamazione delle repubbliche di Donetsk e di Lugansk e farà cominciare otto anni d’una lunga guerra civile ancora in corso, con 14 mila morti.
Chi sta inviando armi
Per bloccare le aspirazioni dell’Ucraina a mettersi sotto la protezione Nato, la Russia ha intensificato l’ammassamento di truppe e mezzi corazzati: 130.000 uomini ai confini del Donbass, più 40 mila dislocati in Bielorussia, oltre che in Moldova e in Transnistria. L’Ucraina chiede aiuto e la risposta arriva con una massiccia fornitura di armi. Una norma Nato vieta l’esportazione in Paesi terzi senza il via libera del produttore: prima di vendere armi tedesche agli ucraini, per dire, l’Estonia deve avere il permesso della Germania (che ha deciso di non darlo).
In questo caso la regola non vale più e gli Usa hanno autorizzato Paesi Nato a esportare armi d’ogni tipo. Dagli Usa sono arrivati missili anticarro portatili Javelin a guida infrarossi autonoma e i potenti missili antiaerei (Manpads). Dalla Gran Bretagna armi leggere, anti-armatura, anticarro e personale militare di addestramento. Gli Stati baltici mandano missili anticarro e antiaerei.
La Repubblica Ceca armi leggere. Il Canada un contingente di forze speciali. La Danimarca una fregata nel Baltico, più 4 caccia F-16 in Lituania. L’Olanda invierà 2 caccia F-35. La Spagna si è dichiarata pronta a fare la sua parte. La Turchia ha inviato i droni Bayraktar, in grado di combattere e acquisire informazioni. Il rifiuto della Germania è il primo in 70 anni, e ha incrinato il fronte Nato, con Francia e Italia che allo stesso modo non vogliono immischiarsi in una crisi dov’è in ballo la sicurezza energetica europea e importanti rapporti commerciali con la Russia: 25 miliardi di euro di fatturato l’anno per la Germania, 9 per l’Italia.
Nato: obiettivi da rivedere
Per fermare l’escalation Putin chiede a Washington un impegno scritto: l’Ucraina non entrerà mai nella Nato, nessuna esercitazione Nato lungo i confini russi, niente truppe americane nei paesi Baltici. La risposta di Biden: discutiamo, ma è l’Ucraina a decidere di quale sistema di sicurezza far parte. E in caso d’invasione, ci saranno pesanti sanzioni e le banche russe fuori dal circuito bancario internazionale.
L’Ucraina è spaccata in due: l’ovest che guarda e tende all’Europa mentre l’est rimane filorusso
Non può reggere a lungo con una guerra civile che sta coinvolgendo tre regioni del Paese, le miniere di carbone in mano a Mosca e gli investitori che fuggono. Una crisi che mostra l’interesse americano di arrivare sul confine russo, e quello di Putin a preservare la sua autorità politica. Ma rivela anche come la Nato sia un’alleanza da ridefinire, nella natura e negli obiettivi, perché la Guerra fredda è finita e, dall’altra parte, non c’è più un nemico, ma un competitor. Nella stessa visione del presidente americano Biden che conosce molto bene il dossier ucraino – suo figlio Hunter sedeva nel cda del colosso ucraino dell’energia Burisma – sarebbe la Cina il vero nemico. Quella Cina che Putin teme anche più degli europei e degli americani.
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Questo articolo è stato scritto da Francesco Battistini e Milena Gabanelli il 31 gennaio 2022 e pubblicato nella rubrica DATAROOM di Milena Gabbanelli sul Corriere della sera.