È di questi giorni la notizia sconcertante di un agente immobiliare di Milano di 48 anni, Omar Confalonieri, che ha narcotizzato una coppia che lo aveva contattato per l’acquisto di un box per poi stuprare la donna davanti alla figlioletta di pochi mesi, dopo averli riportati a casa. Grazie alle telecamere è stato possibile ricostruire la dinamica per cui l’agente, titolare della “Confalonieri real estate”, avrebbe chiesto un incontro per un aperitivo in un bar vicino la casa dei suoi clienti, dove ha manomesso i bicchieri aggiungendo una forte dose di Lormetazepam, un farmaco a base di benzodiazepine con cui i due sono stati narcotizzati, per poi accompagnarli a casa loro dato che non si reggevano in piedi.
Qui avrebbe messo a dormire l’uomo mentre avrebbe stuprato la donna, come riportato delle telecamere della casa stessa, davanti la figlioletta e per diverse ore
La coppia narcotizzata e la violenza sulle donna
Coppia che è stata trovata dai parenti a letto e in stato di forte confusione, e quindi sono stati portati all’ospedale Mangiagalli di Milano dove hanno confermato sia l’avvelenamento che la violenza sessuale sulla donna. Episodio che risale al 2 ottobre scorso ma per cui l’uomo è stato arrestato solo due giorni fa con l’accusa di violenza sessuale aggravata, sequestro di persona e lesioni personali aggravate. Un piano quindi deciso in precedenza con particolari inquietanti (l’uomo aveva portato con sé due borsoni e poi avrebbe vestito la donna incosciente prima dello stupro) che fanno pensare alla serialità. Un caso a cui si sono già aggiunti finora almeno altri tre casi (le donne che stanno segnalando di conoscere Confalonieri e di essersi sentite male dopo aver bevuto con lui, aumentano), tra cui una giovanissima ragazza, sua vicina di casa, che avrebbe accettato di aggiustargli il computer e che ha dichiarato di essersi sentita male dopo aver bevuto a casa sua una tisana dopo la quale non ricorda nulla.
Gli altri casi
Non solo, perché ancora più inquietante è il fatto che Confalonieri non era nuovo alla giustizia e che già nel 2008/2009 era stato giudicato per uno stupro, con le stesse modalità, nei confronti di una ragazza di 18 anni. L’uomo, che all’epoca aveva 34 anni, aveva violentato la giovanissima collega dopo una cena di lavoro mentre la stava riaccompagnando a casa deviando il percorso in una zona agricola a Lentate sul Seveso e stuprandola mentre era semi-cosciente sempre a causa di sonniferi che lui stesso le aveva somministrato durante la cena di nascosto. Reato che avrebbe scontato e da cui sarebbe stato poi rilasciato a piede libero dopo “un percorso di riabilitazione” su cui i magistrati che lo hanno deciso dovrebbero spiegarne oggi i termini, dato che hanno permesso a l’uomo di continuare i suoi crimini con chiara recidividità.
Confalonieri che a Bergamo si è salvato da un’altra denuncia solo perché archiviata, come succede alla maggioranza di quelle denunce di violenza contro le donne che poi invece si rivelano non prive di fondamento e spesso devastanti
Perché era a piede libero?
Infatti la domanda che oggi emerge spontanea rispetto a questo caso di chiara serialità è perché quest’uomo era a piede libero, senza alcun controllo? Come è possibile che pur avendo fatto una riabilitazione, nessuno degli psicologi e degli assistenti sociali che lo hanno seguito, si è reso conto della sua pericolosità e della sua potenziale recidività? Su quali criteri si sono basati gli “esperti” per consigliare al magistrato una sua riabilitazione che, evidentemente, non era affatto pensabile dato che l’uomo non solo non era effettivamente pentito ma anzi ha continuato a pianificare la sua violenza nei confronti di diverse donne?
Oggi il gip di Milano Stefania Pepe, davanti alla procuratrice aggiunta Letizia Mannella e alla pm Alessia Menegazzo, ha deciso che Confalonieri restarà in carcere perché potrebbe esercitare “pressione psicologica e di intimidazione” nei confronti della coppia vittima, ma anche per “l’elevata pericolosità”, la “rete di contatti con numerosi donne” e la disponibilità di “molteplici appartamenti e locali”, dato il suo lavoro, dove “poter condurre con l’inganno le proprie vittime e narcotizzarle e abusare di loro”. Mentre, stando a quanto riferito in Procura, il percorso “rieducativo” avrebbe nel 2013 “riabilitato” l’uomo con decisione del Tribunale di Milano e senza nessun tipo di verifica nel tempo.
La necessità di essere formato quando si giudica
Una circostanza che riporta al centro la necessità della formazione sulla violenza maschile sulle donne ad hoc non solo dei magistrati ma di tutti gli operatori che ruotano intorno al problema. Un nodo citato dalla ministra Cartabia nella sua Riforma della giustizia e nelle diverse proposte di legge alla camera (Boldrini, Giannone, Ascari, ecc.) e al senato (Valente) su violenza domestica e affidi. Un fattore determinante che ha però bisogno di un accurato approfondimento di criteri e modalità, che non può essere liquidato da un proclama a cui devono seguire dei fatti concreti. In questa prospettiva devono essere messi in fila tutti i casi archiviati o le denunce che non hanno messo in atto ordini di protezione per quelle donne che sono state poi vittime di violenza o addirittura uccise, solo perché lo stalking in fondo è un reato minore (anche se molti femminicidi sono pre-allertati da questo tipo di persecuzione) o perché basta che un uomo si dichiari pentito per essere riammesso nella società pronto a delinquere nuovamente, come il caso di Confalonieri.
Un fattore di rischio che non viene calcolato adeguatamente proprio per la non preparazione di chi decide e dovrebbe proteggere le donne
La protesta dei Centri antiviolenza verso la ministra Bonetti
Se lo chiede anche la Rete dei centri antiviolenza DiRe che ieri è uscita pubblicamente con una lettera nei confronti della ministra del Pari opportunità Bonetti, la quale ha reso noto il nuovo Piano antiviolenza (dopo 11 mesi dalla scadenza del precedente) descritto in un articolo apparso sul “Sole24 ore”, senza aver consultato i centri antiviolenza che sono il fulcro del contrasto alla violenza contro le donne. Nella lettera DiRe chiede alla ministra “a chi verrebbe assegnato questo oneroso compito di prevenzione, attraverso quali strumenti e con quali criteri verrà effettuata la selezione e la scelta”, proprio nei termini in cui ce lo stiamo chiedendo qui anche nei confronti della ministra Cartabia. DiRe inoltre lamenta e mette in evidenza l’ennesima presa in giro per cui ogni volta i centri e le esperte vengono consultate ma mai ascoltate, dando così al percorso istituzionale una apparenza di partecipazione della società civile che però poi si inabissa e si perde.
“Abbiamo lavorato di concerto con il DPO fornendo gli elementi necessari per costruire uno scheletro del sistema più consono ai principi della Convenzione di Istanbul, più adeguato a prevenire e a contrastare la violenza alle donne – dice DiRe – Che fine ha fatto il nostro contributo?” Un Piano che verrà presentato a novembre, con un buco di quasi un anno, che in realtà ricalca quello precedente con un modello a 3 livelli, ovvero una Cabina di regia nazionale, un Osservatorio, e una Governance territoriale con funzione di raccordo che relega i centri a puri strumenti “di servizio”, “di accompagnamento delle donne fuori dalla violenza”, come specifica DiRe.
E come quello dell’anno scorso mette sul piatto “la prevenzione, l’istruzione, la formazione, la ricerca, l’autonomia personale e abitativa, la sensibilizzazione, l’informazione, la tutela e la protezione”: principi belli da leggere che però abbiamo visto non essere stati mai attuati pienamente in quanto non solo la violenza domestica, in particolare, non è riconosciuta nei tribunali civili e spesso anche nei penali (v. Rapporto della Commissione femminicidio al senato) ma le donne continuano a essere uccise, rivittimizzate in tribunale e anche dopo morte, e addirittura vengono private dei figli nel momento in cui si vogliono separare da partner violenti.
Una grande contraddizione per un paese che ha un Pino antiviolenza che funzioni e sia applicato veramente
La novità della ministra Bosetti per questo Piano è la spinta sull’empowerment economico, finanziario, lavorativo per le donne in quanto il lavoro è sicuramente una importante chiave, anche per avere una certa autonomia per uscire da una situazione di violenza intrafamiliare, ma non l’unica e sicuramente non sufficiente, dato che le donne che hanno un lavoro e anche grandi responsabilità, non sono esenti né facilmente escono dall’incubo di una violenza in famiglia, soprattutto in presenza di figli minori.