In un recente webinar di DonnexDiritti Network, “La Pas non esiste”, si è accennato al tema economico e agli interessi finanziari legati a questa tragedia della PAS (Sindrome di alienazione parentale) e degli affidi. Io vado oltre e non nascondo che alcuni aspetti della mia vicenda personale (paradossale e a tratti grottesca) mi hanno fatta seriamente riflettere in merito a certi “protocolli” per me inspiegabili. E quindi per questo vorrei raccontarli.
Assistenti sociali che rispondono a un consorzio privato
Ha ragione la direttrice Luisa Betti Dakli, quando giustamente osserva che è difficile immaginarsi dei giudici-allocchi che si bevono a occhi chiusi qualsiasi castroneria scritta nelle relazioni pasiste: io per esempio sono accusata di comportamento ostativo, a discapito del fatto che sono un’educatrice professionale, pur avendo chiesto io stessa al tribunale che il padre di mia figlia la riconoscesse e si facesse vivo con lei, dopo che era scomparso al terzo mese di gravidanza. Ebbene. osservando la relazione psicodiagnostica su mia figlia fatta da uno psicologo dell’ASST (l’Asl locale) incaricato dagli assistenti sociali:
si nota che tale relazione non viene restituita al committente, ovvero i servizi sociali del mio Comune di residenza che hanno chiesto la perizia, bensì a una “referente” di una certa “Offerta Sociale”
Mia figlia è stata diagnosticata mediante test in due occasioni tra fine novembre e inizio dicembre 2020 (la relazione è appunto datata Dicembre 2020), e la cosa strana è che gli accordi tra ASST e questa “referente” di “Offerta Sociale” erano stati presi, per mia figlia, già a Settembre 2020. Accordi presi quando nessuno poteva sapere in quale situazione psichica oggettiva versasse la bimba, che per fortuna vive nel benessere psicofisico. Incuriosita da questi elementi e sollecitata dal CCDU (Comitato dei cittadini per i diritti umani) che conosce bene queste situazioni, ho fatto una breve ricerca e ho capito che questa “referente” opera per conto di un’azienda speciale consortile (“Offerta Sociale” appunto) che gestisce servizi e strutture di accoglienza per minori e per anziani.
Mia figlia affidata alla sindaca a capo di “Offerta Sociale”
Un assetto societario che consente alle amministrazioni comunali (in questo caso oltre 20 Comuni della Brianza) di lucrare sui servizi sopracitati. Approfondendo ancora, scopro che la presidente di tale consorzio è la sindaca del mio Comune: sul sito compare solo nome e cognome ma non la sua carica pubblica, però è lei, senza dubbio alcuno. La cosa più assurda però è la seguente: malgrado sia stata io stessa ad aver chiesto di far riavvicinare il padre a mia figlia, chiedo comunque una perizia su di lui in maniera preliminare, poiché per lei è uno sconosciuto, e il Tribunale di Monza cosa fa?
Mi sospende dalla responsabilità genitoriale e affida mia figlia ai servizi sociali, che a loro volta si rivolgono a “Offerta Sociale”, per cui alla fine scopro che mia figlia è affidata alla presidente del consorzio, ovvero alla sindaca del mio paese. Un bel giro d’affari, vero?
Riassumendo: nel mio caso non esiste alcuna mia denuncia nei confronti del padre per violenza domestica, ma solo una richiesta di riconoscimento e di affido esclusivo in attesa degli esiti sulla perizia del padre per legittima cautela, visto che lui stesso ha dichiarato di essere sparito al terzo mese di gravidanza. Eppure questo ha messo in moto la macchina del fango nei miei confronti così da poter lucrare su mia figlia.
Mia figlia cliente “papabile” per il business
Perché anche se la richiesta di riavvicinamento è partita da me, vengo immediatamente privata della responsabilità genitoriale senza alcuna motivazione reale, oggettiva e in assenza di qualsiasi mio comportamento pregiudizievole per mia figlia. Bimba che viene affidata ai S.S. e che quando dichiara di non sentirsi ancora pronta a incontrare questo padre sconosciuto e di avere bisogno di più tempo, diventa seduta stante una “cliente papabile” per tutto l’assetto dei servizi preposti a scopo di lucro.
Ed è qui che scatta subito il sistema: l’unico obiettivo da perseguire fin da subito è quello di proteggerla da una madre simbiotica, ostativa, da una relazione diadica perniciosa
Naturalmente non ci sono elementi effettivi per poter procedere in tal senso, e allora vengono prodotte anamnesi e relazioni fasulle che addossano a me la responsabilità delle resistenze (legittime e naturali) di mia figlia verso un padre biologico, attraverso un quadro totalmente falsato che non corrispondente al vero.
Un “sistema” ben collaudato
Nelle relazioni dei Servizi si continua a chiedere al Tribunale di mantenere mia figlia in affido all’Ente sopracitato, nonostante io abbia prodotto un’accurata perizia alla quale mi sono sottoposta privatamente e nonostante anche la psicologa dell’ASST, che mi ha psico-diagnosticata, abbia escluso qualsiasi elemento psicopatologico a me affibbiato dalla psicologa dei servizi sociali. A oggi mi sono convinta quindi che non si tratta di giudici ubriachi e creduloni ma di collegi che probabilmente non leggono le carte e si limitano ad avallare in maniera acritica tutto ciò che le relazioni commissionate (nel mio caso ai Servizi Sociali) chiedono che si avalli in un sistema già ben collaudato.
E quando ho chiesto all’assistente sociale chi fosse quella “referente” alla quale l’ASST inviava la relazione su mia figlia, mi è stato risposto con grande e visibile imbarazzo che “è la Dott.ssa xxx, una collega assistente sociale che fa capo all’azienda speciale consortile. Semplicemente un riferimento per poter attivare queste valutazioni di tipo psicodiagnostico ma che ha solo un ruolo formale. È un sistema – conclude – che ci permette di avere le valutazioni con tempi anticipati, nel senso che se io dovessi chiedere oggi una valutazione psicodiagnostica al CPS probabilmente sarei andata tra due anni”.
Ebbene sì, questo “sistema” mi è stato presentato come uno stratagemma per saltare la fila. A che pro? Chiedo io. A cosa serve l’intervento della “referente” per le case famiglia?
Bambini come merce di scambio
Una cosa l’ha detta giusta, però: è un “sistema”, anzi è “il sistema” direi io. I nostri figli non sono bambini, non sono esseri umani portatori di diritti inalienabili: sono solo clienti e merce di scambio. La PAS non è la causa bensì il mezzo: è lo strumento principe, il piede di porco che consente di aprire le porte delle costose consulenze, dei costosi (ma spesso tristi, squallidi, inadeguati come nel nostro caso) Spazi Neutri, e delle costose strutture di accoglienza, gestite da cooperative sovvenzionate dalle amministrazioni comunali.
Le amministrazioni ricevono i fondi dallo Stato e dalle Regioni, li investono in questi “bei progetti”, negli stipendi di persone totalmente impreparate e/o devote alla junk science che ben si prestano a questi “protocolli”, e poi gli stessi fondi (grazie al mercimonio dei minori) rientrano nelle casse comunali e delle cooperative con interessi stellari. La psicologa dell’ASST che mi ha psicodiagnosticata con serietà e professionalità, dopo avermi confermato che io non rientro assolutamente nel range di genitori che loro “attenzionano”:
mi ha confessato di non spiegarsi come mai dal 2019 si sia registrato un incremento così esponenziale di richieste per la valutazione delle capacità genitoriali
Le ho risposto “alla Marzullo”: se si è fatta la domanda, può forse darsi anche una risposta. Sta di fatto che questa strettissima interdipendenza tra profitto (notevole) delle amministrazioni comunali e la catena degli affidi, a me pare totalmente “anti-umana” e capace di ingenerare tutte le situazioni aberranti che ben conosciamo e nelle quali oggi ci ritroviamo, senza alcuna colpa, anch’io e mia figlia.