Forze armate: l’omertà su violenza e abusi sessuali contro le donne

Le denunce sono minimizzate e chi parla viene rivittimizzata: il tribunale militare è fermo al 1941 con misure inadeguate

Giulia Bosetti
Giulia Bosetti
Giornalista d’inchiesta, inviata e autrice di Presadiretta, Rai Tre. Video Reporter per Rai e La7. Ha pubblicato, tra gli altri, "Me too. Il tabù del sesso" (Fandango)



A metterci la faccia sono state soltanto in due, due donne che non potrebbero essere più diverse. Angela Rizzo, trentotto anni, carabiniera italo-brasiliana in forza al Nucleo investigativo di Livorno. Un nonno generale, l’altro Maresciallo della Polizia, Angela viene cresciuta con l’idea che la propria vita deve essere messa al servizio degli altri e fin da bambina sogna di diventare militare. Giulia Schiff di anni ne ha ventidue e fino a gennaio è allieva ufficiale pilota dell’Aeronautica militare italiana. Anche lei “figlia d’arte”: il padre è un ex pilota e ufficiale dell’Aeronautica e il sogno di Giulia è da sempre quello di volare con gli F35, i famosissimi caccia bombardieri made in USA.

Angela e Giulia: due donne che volevano a indossare la divisa, due donne che hanno sfidato pregiudizi e messo in discussione un sistema. Pagando il prezzo del loro coraggio

Molestie nell’arma dei carabinieri

Angela comincia la sua battaglia nel 2017: il suo superiore, il maresciallo Luigi Ruggiero che lavora insieme a lei nel laboratorio di analisi di sostanze stupefacenti del Comando provinciale di Firenze, comincia a metterle le mani addosso. Diventa morboso, non le dà tregua.

Offese a sfondo sessuale, pressioni psicologiche, pizzicotti sul sedere. Lei lo respinge, lui la mortifica: “Sei frigida, nessuno ti prende”

Angela Rizzo

Andare al lavoro nel luogo che più di ogni altro dovrebbe rappresentare la tutela dei diritti e della sicurezza di ogni cittadino e cittadina diventa una tortura quotidiana. La carabiniera si rivolge ai suoi superiori e denuncia l’accaduto, ma la strada non è in discesa: “Sono arrivata al punto di pensare di andarmene, perché avevo paura che succedesse qualcosa di ancora più grave. In un contesto come il nostro dovremmo tutelare, non crede? Con grande amarezza, trovo invece che, come nel mio caso, si venga abbandonati”.  Comincia un’altra battaglia, lunga e durissima, ma Angela è una che non molla. Insiste, risale la scala gerarchica, trova un superiore che le dia finalmente ascolto, riesce a portare il caso al Tribunale militare di Roma.

Tre gradi di giudizio e la condanna definitiva del maresciallo Ruggiero per il reato di minacce aggravate, perché l’ordinamento militare non prevede il reato di violenza sessuale, in cui vengono inquadrate le molestie sessuali nei tribunali ordinari

Il codice penale militare è del 1941

Maurizio Block

E questa è solo una delle cose che non vanno. Le donne sono entrate nelle Forze Armate nel 2000 a seguito della legge 380 del 1999: sono passati più di vent’anni, eppure l’attuale codice penale militare risale al 1941. Praticamente, un altro mondo. Un ritardo che viene denunciato anche dal procuratore generale militare presso la Suprema Corte di Cassazione, Maurizio Block, che chiede con urgenza un intervento normativo del Parlamento: “Ritengo particolarmente importante che venga data immediata tutela alla posizione della donna nell’ambito della caserma e in genere a soggetti deboli che possono in tale contesto subire reati attinenti alla sfera sessuale”.

E aggiunge: “Appare perciò auspicabile che vengano approntati gli strumenti per rendere effettiva e incisiva la tutela penale anche nei confronti della donna che svolge servizio in armi, all’interno di un contesto sottoposto alla soggezione gerarchica qual è quello militare”. Anche perché il codice penale militare di pace non prevede la querela.

È il comandante di corpo a valutare se perseguire o meno un reato per le vie penali, è lui a detenere il potere di presentare la richiesta di procedimento: per ottenere giustizia in ambito militare, le vittime dipendono dai loro superiori

Il “battesimo del volo”

Giulia Schiff

Ma questi sono alcuni dei problemi da affrontare e qui arriviamo alla storia di Giulia Schiff. Un’allieva modello. Anni di studio, di duro addestramento, per realizzare il suo sogno di diventare pilota. Vince brillantemente il concorso per entrare nell’Accademia dell’Aeronautica di Pozzuoli e nel 2018 ottiene il brevetto. Il 4 aprile di quell’anno è il momento del cosiddetto “battesimo del volo”, quello che segna l’inizio della carriera di un pilota. Una sorta di rito iniziatico. Accade tutto all’Accademia di volo di Latina, con tanto di video a documentarlo.

Giulia viene caricata in spalla dai colleghi, trascinata di peso, presa a pugni e frustate sulle cosce, sulle natiche, sulla schiena. Lei urla, disperata: “No! No! Basta!”. E i colleghi: “Più forte, più forte!”. I minuti passano, loro non si fermano. Nel video, vengono inquadrati anche i superiori: “La stanno massacrando”, ridacchiano. Giulia viene sbattuta con la testa per tre volte contro l’ala di un aeroplano conficcata nel terreno e alla fine la buttano nella fascia della fontana, la “piscina del pinguino”. Neanche lì si colpi si fermano.

Il battesimo del volo è così duro e violento per tutti? “Da quando le donne sono entrate nelle Forze Armate, il rito del tuffo nella piscina è diventato sempre peggio – spiega l’avvocato di Giulia, Massimiliano Strampelli – Il messaggio è che nel rito le donne devono mostrare di essere un vero maschio”

E se non lo fanno, ci sono delle conseguenze. Giulia racconta che dopo il battesimo del volo fa fatica persino a camminare: le natiche e le cosce sono piene di segni, i segni di una violenza. Lei racconta tutto al padre, che manda un messaggio a un collega denunciando l’accaduto. Da quel momento in poi, i ruoli si ribaltano. È lei, la vittima delle violenze, a essersi macchiata di una colpa. Ad aver detto l’indicibile. La giovane pilota riceve una serie infinita di sanzioni, fino al punto di perdere il proprio grado militare ed essere espulsa dall’Accademia.

La sfida al sistema

Oggi ci sono diversi procedimenti aperti sul suo caso, sia al tribunale militare, sia a quello ordinario. Lesioni, mobbing, violenza privata. È stato archiviata, invece, la denuncia di Giulia nei confronti di superiori e colleghi per diffamazione militare aggravata, minaccia, insubordinazione con ingiuria. Ma lei non si pente di aver sfidato il sistema: “Ci sono seri pregiudizi sulle capacità fisiche e al pilotaggio delle donne, quello di cui mi pento è di non essermi accorta subito di essere una vittima: mi sono lasciata calpestare”. Tra i colleghi, si è sentita isolata, emarginata, esclusa.

“Ero come Mosè con le acque, quando passavo si spostavano. I superiori negavano e minimizzavano, mi ridicolizzavano per non essere capace di farmi accettare dal gruppo, mi rimproveravano per le lamentele”

La sua esperienza la porta a concludere: “Le Forze Armate sono pronte ad accogliere le donne al loro interno, ma non sono affatto pronte a tutelarne i diritti. Avere uno scandalo o un contenzioso riguardante una donna significa predicare bene ma razzolare male. L’effetto di ciò è che l’istituzione prenderà le distanze dalla vittima e riverserà su di lei tutte le colpe, riducendola a capro espiatorio”.

Il caso della caserma di Parolisi emerso dopo il femminicidio 

Marco De Paolis

Sono parole forti, ma che ci sia da preoccuparsi lo sostengono le più autorevoli figure dell’ordinamento militare. Il primo marzo 2019, all’Assemblea generale della Corte militare di appello, il procuratore generale militare Marco De Paolis è intervenuto con decisione: “Poiché oggi è presente nelle Forze Armate anche la componente femminile, gli atti di prevaricazione e di violenza che costituiscono il cosiddetto nonnismo spesso si connettono e si associano con finalità di carattere sessuale”. E poi cita la vicenda della caserma Clementi di Ascoli Piceno, un’indagine della Procura militare di Roma che ebbe origine dal femminicidio di Melania Rea, nel 2011, ad opera del marito: l’ex militare Salvatore Parolisi.

Le indagini misero in luce “sconcertanti episodi di nonnismo collegati alla sfera sessuale, di cui erano vittime numerose allieve del Reggimento volontari”

Perché dietro Angela e Giulia c’è un esercito di donne. Secondo gli ultimi dati ufficiali, sono diciassettemila e settecentosette. Allieve di accademie e scuole militari, graduate e militari di truppa, ufficiali e sottufficiali. Sono le donne italiane arruolate nelle Forze Armate e nell’Arma dei carabinieri. Il 7,7% del personale militare dell’Esercito italiano, percentuale che scende rapidamente se si va a guardare l’Aeronautica Militare: 4,7%.

Il tasso delle denunce è basso perché regna l’omertà

Anita Mangialetto

Secondo l’ultima “Relazione sullo stato della disciplina militare e dell’organizzazione delle Forze Armate”, pubblicata a dicembre del 2020, non esistono discriminazioni di genere né preclusioni al personale di sesso femminile per quanto riguarda la progressione di carriera ed è stato raggiunto un buon grado di integrazione nell’organizzazione militare. La reazione cita anche i dati sulle violenze, apparentemente bassi: nel 2019 sono stati denunciati nove casi di casi di molestie sessuali e quattro di stalking. L’anno prima erano ancora meno. Ma se ormai è appurato quanto sia difficile per le donne denunciare la violenza sessuale in ambito civile e quanto siano basse le percentuali di denuncia in Italia, immaginiamoci che cosa significhi in ambito militare. Al convegno sul nonnismo tenutosi a Roma a giugno del 2019, l’avvocata Anita Mangialetto ha sottolineato uno dei problemi cruciali:

chi denuncia “si trova poi a rimanere nello stesso ambito lavorativo del superiore che ha posto in essere le condotte illecite denunciate”

Andando a spulciare le sentenze, risulta peraltro evidente che quando i casi a sfondo sessuale finiscono al Tribunale Militare vengono, per forza di cose, derubricati. Corte militare di appello, sentenza del 2018 a conferma di quella del Tribunale militare di Verona: davanti ai colleghi in mensa, un ufficiale dell’Esercito intima a una caporal maggiore di avere un rapporto sessuale orale. Reato: ingiuria pluriaggravata. E ancora: stessi tribunali, stavolta i protagonisti sono una marescialla e il suo superiore alla stazione dei carabinieri di Bra. Questa volta si tratta di palpeggiamenti, nella sentenza, il reato è ingiuria ad inferiore.

I progetti di legge

Alessandra Maiorino

Gli esempi potrebbero continuare. Oggi in Parlamento sono in discussione dei progetti di legge che intendono mettere ordine in ambito militare: si va da quella più complessa dell’onorevole Giovanni Luca Aresta del Movimento Cinque Stelle, che chiede di riformare il codice militare, alla proposta della senatrice Alessandra Maiorino, sempre Cinque Stelle, che chiede l’introduzione dei reati di violenza sessuale nel codice penale militare.

Nei tribunali ordinari, invece, le cose vengono chiamate con il loro nome, come dimostra il caso della Brigata Alpina Turinense, giudicato a Torino. Durante gli allenamenti per i campionati sciistici delle truppe alpine tra il 2017 ed il 2018, il maresciallo capo plotone ed istruttore costringe le soldatesse a subire atti sessuali, le palpeggia, le tocca, le lecca. Condannato in appello a due anni di reclusione. Un altro processo, nei confronti del comandante, è ancora in piedi per il reato di omessa denuncia. Le soldatesse si erano rivolte a lui in quanto superiore, avevano denunciato le molestie, ma il comandante non aveva fatto nulla. Per ottenere giustizia, per arrivare a un processo, le donne sono state costrette a rivolgersi all’esterno, alla caserma dei carabinieri.

C’è ancora molto lavoro da fare: “L’ambiente delle Forze Armate non è ancora pronto a lavorare con le donne – dice Luca Marco Comellini, del Sindacato dei militari – È ancora un ambiente retrogrado e sessista, oltre che anche omofobo”

Ma ci sono donne che lottano per un cambiamento. Come Angela Rizzo. Come Giulia Schiff. “Le donne sono ancora escluse da determinati servizi – racconta Angela – A noi fanno i briefing su come vestirci, ma se agli uomini escono le mutande dai pantaloni nessuno dice nulla. Ti dicono di rivolgerti al tuo comandante diretto, ma tutto viene sminuito, la colpa è sempre la tua. Sono passati anni da quando ho denunciato, ma resto sempre una sorvegliata speciale. Sono io quella che viene giudicata. Ci vorranno altri vent’anni perché le cose cambino, ma bisogna avere la forza di contrastare certi meccanismi”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

News

Facebook

Twitter

On screen