Questa storia ha dell’incredibile. Non solo per ciò che vi racconterò e che forse già sapete, ma per quello che la solita armata invisibile che nega i diritti delle donne finora non ha ritenuto di fare. Ricapitoliamo la storia. Lara Lugli è una atleta di ottimo livello, classe ‘80 e dopo vari anni in serie A approda nella stagione sportiva 2018/19 in serie B in Friuli, dove viene ingaggiata dalla società sportiva ADS Volley Pordenone.
Lara lugli si trova a dover firmare una scrittura privata che contiene una ignobile clausola anti-maternità
La storia di Lara Lugli e la clausola anti-maternità
Come Assist (Associazione Nazionale Atlete) denuncia da 20 anni, questa pratica di inserire un articolo che consenta al club di risolvere ad nutum il contratto tra atleta e club, è ancora diffusissima. E non solo nel volley. Pur se nell’apparenza di un accordo tra le parti, questa clausola viene di fatto imposta alle atlete che non oppongono resistenza (e con loro gli agenti che spesso le assistono), consapevoli che rifiutare vorrebbe dire perdere l’ingaggio. Parliamo infatti di scritture private che nella giungla del falso dilettantismo contengono vincoli in totale anarchia e come in questo caso anticostituzionali e evidentemente illegittimi. Nel marzo del 2019, Lara scopre di essere incinta. Comunica il suo stato alla Società e consapevole del fatto che l’accordo verrà risolto. E così è. Lara rientra nella sua residenza a Carpi e purtroppo, ai primi di aprile, perde il bambino a causa di un aborto spontaneo. Lara sa che la stagione è finita e chiede alla società almeno di corrisponderle l’ultima mensilità nelle quale è stata attiva. Non vedendosi corrispondere l’importo a lei dovuto Lara agisce con il suo avvocato per avere quanto le spettava.
In risposta riceve la citazione della società (forse per non riconoscere il dovuto?) dichiara di essere stata danneggiata dalla sua gravidanza
La (non) risposta delle Istituzioni
A quel punto l’atleta pubblica su Facebook, proprio l’8 marzo, la citazione che le era arrivata, denunciando tutto. Assist offre a Lara di sostenerla: scrive al Premier Draghi, alla Ministra Elena Bonetti e al Presidente del CONI Giovanni Malagò. Proprio Malagò risponde subito ad Assist, ma con una lettera di pura circostanza. La ministra Bonetti invece accoglie l’invito aduna video call con Assist e AIP (Associazione Pallavolisti), ma non arrivano poi azioni concrete. Assist sollecita anche la sottosegretaria Valentina Vezzali, ma non nessun contatto e tantomeno cose concrete. Il clamore suscitato dalla vicenda è enorme sia a livello nazionale che a livello internazionale. Ne scrivono addirittura The New York Times, The Guardian e il Tg1 in prima serata. Scrivono tutte le testate della carta stampata e si interessano al caso anche note trasmissioni televisive. Si schierano con Lara anche moltissime associazioni e la candidata alla presidenza del CONI, Antonella Bellutti (prima donna a candidarsi in 107 anni di storia dello sport italiano), denuncia la gravità della situazione.
L’unico passo è una convocazione dei legali delle parti da parte de presidente della FederVolley, Manfredi, che incredibilmente invita le parti a trovare un accordo
Ma per Lara, coraggiosa e divenuta pienamente consapevole del torto subito, l’unico accordo possibile è quello di ricevere quanto dovuto e ricevere le scuse della Società sportiva. Dopo quell’incontro piomba un silenzio inquietante. Confidando, evidentemente, nel fatto che il clamore si sarebbe placato, né il CONI né la Federazione pallavolo muovono un passo, non viene nemmeno aperta una indagine per valutare provvedimenti disciplinari nei confronti della associazione sportiva.
Fine del clamore, fine della storia?
A quel punto Assist scrive di nuovo al presidente federale del volley, al presidente Malagò, alla Ministra Bonetti e alla Presidente del Senato, Elisabetta Casellati. La voce dell’indignazione si alza anche grazie ad un intervento durissimo della deputata Laura Boldrini che alla Gazzetta dello Sport dichiara che “Lara non può sedere sul banco degli imputati!”. Alla ex presidente della Camera si unisce la voce di Susanna Camusso e la sua reazione potente mobilita l’attenzione di tutto il sindacato che con l’hashtag #LaraNonSeiSola. Non è da meno la UIL che rinnova il sostegno e così fanno le “indomabili” di Differenza Donna con le parole durissime di Elisa Ercoli. La presidente della ong dice: “Siamo pronte ad adire ogni Corte nazionale e Internazionale per affermare quanto questa situazione sia una grave e piena violazione dei diritti umani delle donne e, non ultimo, per ottenere un pronunciamento che non renda possibile che questo possa avvenire di nuovo. Siamo tutte Lara Lugli”.
Ma il 18 maggio si avvicina e il rischio che Lara debba presentarsi in tribunale per difendersi dal fatto di aver voluto un figlio, diventa sempre più vicino e inaccettabile
Assist chiama a raccolta tutta la società civile, le Istituzioni, il mondo dello sport, le associazioni femministe e in difesa dei diritti umani. La prestigiosa European Womens for Human Rights che scrive ai vertici del Parlamento europeo e a tutto il Parlamento italiano, ma anche molte atlete iniziano a ritenere inaccettabile quanto potrebbe accadere. Alla EWFHR si stanno unendo in queste ore tantissime realtà, pronte a sostenere Lara in ogni modo.
La solidarietà a Lara non smuove lo sport
A lasciare sbigottite è proprio l’inedia dei vertici dello sport italiano: se pensate che per un insulto a un arbitro si possono prendere (giustamente) anche vari giorni di squalifica, nel caso di Lara, incredibilmente, alla società sportiva non solo non viene suggerito – con una azione di moral suasion – di ritirare la citazione, ma non viene nemmeno presupposto alcun provvedimento disciplinare o di lesa “lealtà sportiva”. Ed è chiaro ormai che il coraggio di Lara non è più solo il coraggio per risolvere la propria vicenda, ma simbolicamente di difendere il diritto alla maternità di tutte noi. Ecco perché l’invito della Associazione Atlete Assist è sempre più forte e accorato: non possiamo lasciare che accada quello che, se non protestassimo, lo sport evidentemente consentirebbe e cioè che una atleta, una donna, una lavoratrice dello sport, debba subire non solo l’offesa di vedersi risolvere il contratto, ma anche di essere citata per danni e di doversi difendere in Tribunale. No, non dobbiamo permetterlo e potete aderire anche voi alla campagna #lamaternitànonèundanno pubblicando sui vostri profili social la vostra indignazione e taggando @coninews e @assistitaly.