una persona che difende un mostro come Miloševic non merita di ricevere un semplice riconoscimento letterario figuriamoci un Nobel
Handke è accusato di aver negato i crimini compiuti dai serbi e di essere un «apologeta del macellaio dei Balcani», Slobodan Milošević, che ha sostenuto fino alla fine andando ai suoi funerali nel 2006. Nel 1999 Handke aveva scritto sul «Guardian» di non credere affatto che i serbi avessero potuto uccidere migliaia di musulmani a Srebrenica, e nel suo libro A Journey to the Rivers: Justice for Serbia ha fatto di tutto per non dare credito all’omicidio di massa, offrendosi anche di testimoniare durante il processo per Milošević, morto mentre era detenuto a L’Aja in attesa di essere giudicato dal Tribunale penale internazionale per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Nel massacro del luglio 1995 furono trucidati 8372 bosniacchi dall’armata serba guidata da Ratko Mladić
Insieme al gruppo paramilitare degli Scorpioni, l’esercito della Republika Srpska (VRS) entrò nella cittadina che era sotto assedio già da tre anni ma che era stata decretata nel ’93 «area protetta» dall’Onu e per questo sotto la protezione del contingente olandese dell’UNPROFOR. Violando la risoluzione 819 delle Nazioni Unite, i serbi entrarono e cominciarono a radunare e uccidere tutti i maschi tra i 15 e i 65 anni, dividendoli da donne, bambini e anziani: corpi che furono dispersi in fosse comuni, rendendo così difficile recupero e identificazione, e a cui si è risaliti solo grazie ai superstiti e ai documenti raccolti nei processi per i crimini di guerra.
A Srebrenica e nei dintorni vennero deportati 23mila bosniaci e i caschi blu olandesi, su pressione dei soldati serbi, costrinsero i rifugiati a lasciare la base protetta fuggendo nei boschi in quella che viene ricordata come «la marcia della morte», dato che vennero presi e decimati dalle esecuzioni. Una vergogna che costrinse il primo ministro olandese Wim Kok alle dimissioni nel 2002, dopo che vennero documentate le gravi mancanze commesse dalle unità olandesi nel gestire l’emergenza.
Per questo massacro furono giudicate 70 persone accusate di crimini di guerra, di cui 20 dal Tribunale dell’Aja e 50 dal tribunale di Sarajevo, e 13 imputati furono condannati all’ergastolo, tra cui Ratko Mladić, generale della VRS, e Radovan Karadžić, presidente della Republika Srpska. Nel 2007 la Corte internazionale di giustizia stabilì che quello di Srebrenica fu un genocidio, in quanto commesso con lo scopo preciso di distruggere il gruppo etnico dei bosniaci: una decisione confermata nel 2017 dalla Corte dell’Aja che ritenne anche il governo olandese parzialmente responsabile della morte di 300 rifugiati, costretti da loro a lasciare la base, «privandoli così della possibilità di sopravvivere».