Questa è una tristissima storia fatta di crudeltà, dolore e violenza. Siamo nel novembre del 2013, una donna, madre di un figlio di un anno e mezzo, decide di denunciare l’ex compagno per maltrattamenti, violenza fisica e psicologica fatta di denigrazioni, botte, spinte, e tanto dolore. Lo fa con la presidente del Centro antiviolenza dove era andata per cercare aiuto, che l’accompagna in questura perché lei ha paura e non ha tutti i torti. Decide di andarsene da quella casa perché sa di essere in pericolo di vita e perché rimanere in quella situazione potrebbe significare per lei morire insieme al figlio.
“Ci rifuggiamo prima a casa dei miei genitori e poi andiamo in un altro appartamento, dove vivo ancora oggi”, racconta
“Qui riusciamo a trovare un po’ di serenità, troviamo un senso nuovo per la nostra vita ormai lontana dalla violenza, e mio figlio cresce forte, sereno, spensierato, curioso, libero. È ben integrato a scuola, un alunno con il massimo dei voti, e fa il chierichetto in chiesa. Mi prendo cura di lui e lavoro come educatrice scolastica e domiciliare”.
La fuga dura poco
Un idillio che non dura molto perché il padre del bambino, dopo due anni di totale sparizione, torna e lo fa in maniera devastante. È con una telefonata dei servizi sociali che inizia il lungo e tortuoso calvario che porta al tragico epilogo di oggi. Il bambino, vittima di violenza subita e assistita, viene costretto a incontrare quel padre all’interno di spazi neutri in cui piange e si dispera. Una tortura che a un certo punto lo porta al collasso: il bambino non respira, ansima davanti agli sguardi glaciali degli operatori sociali che non muovono un dito per soccorrerlo e che ribadiscono: “Signora, suo figlio deve vedere il padre, a tutti i costi”.
La vendetta
Ma non basta, perché il padre non si accontenta, si deve vendicare e chiede al Tribunale dei minori l’affido esclusivo denunciando “atteggiamenti alienanti ed escamotages attuati dalla signora”: fatti senza reale riscontro, per cui il bambino viene affidato ai Servizi Sociali con collocamento dalla madre.
Ma è il Tribunale ordinario a stabilire l’affido condiviso con diritti di visita
Padre che poi propone anche un reclamo in Corte d’appello che amplia i suoi diritti di visita. Segue nuovo ricorso de potestate sempre al Tribunale dei Minorenni, rigettata l’istanza nel luglio del 2016, e il Giudice del tribunale Ordinario stabilisce il divieto dell’uso della forza per avvicinare il bambino al padre: “Nega che io sia una madre ostativa e stabilisce che incontri tra padre e figlio siano in uno spazio neutro, lasciando al bambino tutto il tempo necessario”, dice la signora. “Ma a questo punto il padre mi denuncia per omissione del diritto di visita, nonostante io portassi mio figlio nello spazio neutro come stabilito”.
Nel frattempo, lui viene assolto per la violenza ai danni del figlio al quale aveva rotto il naso, nonostante il referto del pronto soccorso dell’ospedale
Alienazione parentale e Ctu
“Nel giro di tre anni vengono fatte due Consulenze tecniche d’ufficio in cui vengo refertata come una mamma pregiudizievole per mio figlio – racconta lei – in base alla teoria mai dimostrata dell’alienazione parentale. Il presidente del tribunale dei minorenni dispone con provvedimento il collocamento di mio figlio in una comunità con il padre per dar avvio a un progetto avente come unico scopo la riconnessione emotiva con l figura paterna e cancellando completamente la figura della madre”.
“Così mio figlio andrà incontro a un destino senza scampo voluto dal padre e dal tribunale dei Minorenni – continua la signora – e verrà strappato con ferocia inaudita dalle braccia della nonna in ospedale mentre urla straziato, dopo essere stato ricoverato per fortissimi mal di testa e perché urinava continuamente da giorni per la paura di essere prelevato da casa per andare a stare con un padre che non voleva vedere in quanto terrorizzato dalla violenza subita e assistita”.
La deportazione in casa famiglia contro la sua volontà
Un bambino preso in ospedale con la forza in pigiama e senza scarpe da un agente in borghese, come dimostra il video divulgato per disperazione sui social, senza che nessuno abbia obiettato nulla malgrado le modalità e malgrado sia entrato in comunità svenuto. Un bambino che ha fatto lo sciopero della fame piangendo senza poter essere consolato in alcun modo, baciando la foto della mamma fino a consumarla.
“Dov’è l’umanità in tutto questo? E dove sarebbe l’interesse di un minore? dove sta la tutela dei diritti?”
“Mio figlio è diventato un fantasma – racconta la mamma – sta trascorrendo anni da incubo, prima in comunità e ora dal padre lontano da tutto il suo mondo, dalla sua famiglia, vedendo me una volta a settimana, e i nonni che ogni mattina si sono recati vicino a scuola pur di vederlo pochi secondi in attesa di un calendario di visita”.
Diritti del bambino negati
Ascoltato mentre era in comunità alla presenza del Giudice, il bambino ha ribadito la sua ferma volontà di stare con la mamma e di tornare a casa sua dove ha sempre vissuto: diritto che gli è stato negato dal giudice stesso e senza un valido e accertato motivo concreto. Tanto che poco prima dello scadere dei due anni, il Tribunale dei minorenni ha anche emesso un provvedimento di collocamento del bambino presso il padre e la decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre che vede il figlio in spazio neutro.
A nulla è valso il ricorso in appello che ha confermato il crudele provvedimento né il ricorso in Cassazione che è stata una mannaia su questa madre e su suo figlio
Una sentenza, quella in Cassazione, che non ha assolutamente tenuto conto che nel frattempo la stessa Corte Cassazione aveva emesso due sentenze importanti che rigettavano categoricamente l’alienazione parentale, considerata alla stregua di una teoria nazista, dimostrando una insolita “schizofrenia” all’interno della stessa istituzione, con un bambino completamente privato della madre in barba a ogni concetto di bigenitorialità sbandierato nei tribunali per sottrarre questi minori alla loro casa e ai loro affetti.
“Di fatto mio figlio non ha più una madre – conclude la mamma – non ha più amici, non frequenta più la sua scuola, non si allena con il suo mister, non fa più il chierichetto nella sua Chiesa, non ha una vita libera: la sua vita“. Un incubo ad occhi aperti dal quale non c’è scampo.