In quello che è più un saggio che un libro di storia, Sabine Melchior-Bonnet, già ingegnera ricercatrice al Collège de France, tenta di identificare le caratteristiche della risata femminile dall’antichità ai giorni nostri. In venti capitoli allegramente salta da Christine de Pisan a Florence Foresti attraverso il XVII secolo, rivelando alcune costanti sulla risata femminile.
Una delle costanti della risata femminile è essere percepita come minacciosa. Ridendo, le donne si sottraggono al loro ruolo e mettono in pericolo la virilità
“Non si tratta di affermare che le donne del passato non ridevano, ma che il discorso morale e gli standard di educazione ritenevano che le risate potessero compromettere la femminilità”. Dalle commedie di Aristofane nell’antica Grecia, la risata delle donne è “sovversione”. È quando guidano la protesta e fanno uno sciopero del sesso che le donne di Aristofane ridono tra di loro e senza gli uomini. La loro risata mette in discussione l’ordine sociale e diventano bellicose.
Una risata pericolosa
Insorgono critiche quando le donne ridono. Le donne devono nascondere la loro allegria anche nell’intimità: così, per Rousseau, il matrimonio è una cosa troppo seria perché le donne sposate si permettano di ridere. Nel 1787, la pittrice Élisabeth Vigée-Lebrun fece scandalo quando nel suo autoritratto con la figlia, osò scoprire i denti.
Il dipinto è considerato eccessivo dai contemporanei: una donna, che peraltro è madre, può permettersi solo un sorriso a bocca chiusa
Solo i bambini possono apparire esilaranti nelle rappresentazioni del tempo. La decenza suppone quindi che le donne non cerchino di provocare il riso: Talleyrand (1734-1838) loda sua madre per non aver mai cercato né di far ridere né di scherzare. La risata delle donne può invece servire come espediente letterario. In commedie del XVII e XVIII secolo che si distinguono per la loro giocosità, la risata serve a opporsi alla complessità con il compito di mettere in discussione l’ordine sociale. Una risata femminile denuncia i difetti della buona società anche se non è mai una messa in discussione radicale. Tutt’al più permette una pausa negli equilibri di potere, che finiscono sempre per riaffermarsi.
Risate troppo sessuali
Ma se la risata delle donne è pericolosa, è anche perché è associata alla sessualità. Aristofane descrive nelle sue commedie il riso delle donne con inclinazioni lussuriose. Nella mitologia greca, quando sua figlia Persefone viene rapita dal dio degli Inferi, Demetra perde ogni gioia: è solo la sua cameriera Baubo, una donna che gli mostra il suo sesso che lo fa sorridere. Nel XII secolo, Ildegarda di Bingen unisce risate con il peccato originale e la parte inferiore del corpo, le parti vergognose. I fabliaux, quelle piccole storie divertenti della fine del Medioevo, implicano che alle donne piace solo ridere del sesso. Non possono, ridendo, superare i limiti della decenza senza essere condannati. Gli uomini, al contrario, si permettono facilmente di essere impertinenti senza perdere il loro onore. La risata delle donne è associata al loro corpo e alla sua natura incontrollabile.
Questa tendenza continua per secoli, se si deve credere a Sabine Melchior-Bonnet. Il discorso di pudore si rafforza nel XVII secolo, costringendo le donne a ridere in segreto. “L’intero insegnamento del XIX secolo, è quello di incanalare le pulsioni delle adolescenti, conservare la loro mente, e cancellare i loro volti”. Nei giornali delle giovani donne dell’epoca, la risata appare come una trasgressione. I romanzi di questo secolo usano gli stessi cliché. La risata delle donne deve essere discreta, innocente, quasi infantile. La donna che ride troppo è sospettata di essere una cortigiana, una mangiatrice di uomini. La risata delle donne è ambigua negli autori del XIX secolo: è sia “La fresca risata della grisette e la struggente risata della lussuriosa”. Ma la risata, pericolosa quando è esagerata, può essere anche una risata di complicità che permette seduzione e promette piacere: questa contraddizione come si risolve?
Il trionfo della risata femminile?
Sabine Melchior-Bonnet cerca infine di capire la lenta conquista del riso da parte delle donne. Afferma che l’ironia, gestita brillantemente da Christine de Pisan e dai Precieuse, è un modo per le donne di fare propria la risata. È un peccato, tuttavia, che le definizioni esatte di risata e ironia non compaiano mai: l’ironia è la stessa cosa rispetto al riso? Una risata stridula forse, ma che non è nello stesso registro della franca risata comica. Eppure, quella risata era fino a poco tempo una prerogativa maschile: le donne sono diventate attrici professionisti e risate nei concerti caffè della fine del XIX secolo. Tuttavia, queste donne che fanno ridere sono costrette a ridere di se stesse, a caricarsi, a riconoscere l’incompatibilità della loro professione con i canoni di bellezza in voga. La donna che fa ridere è per forza brutta.
Nel XVII secolo appaiono come precursore, le antenate della comicità femminile. Per scherno, più che per vere risate, aprono un “percorso satirico alla scrittura femminile”. Ma le donne che scrivono devono adottare i codici misogini della società: il riso apre una breccia ma non è emancipazione totale. Queste pietre preziose creano anche società giocose, con regole che uniscono risate e decoro.
Madame de la Ferté-Imbault è quindi all’origine del Sublime Ordre des Lanturelus, “una sorta di ordine medievale circondato dal mistero in cui i riti della cavalleria sono ripresi e adattati in modo burlesco”. Queste donne si appropriano così dei giochi più pericolosi: lo scherzo, un termine che sarebbe apparso nel 1730, e che era di gran moda nella seconda metà del XVIII secolo.
Ma anche le femministe sanno ridere. Virginia Woolf, pur senza adottare questo titolo, nel 1905 in “The Value of Laughter” conferma il ruolo emancipatore della risata per le donne. Il riso, descritto come segno caratteristico della scrittura femminile, permette di svelare gli artifici della società e di liberarsi dalle convenzioni borghesi. Le autrici e attrici del XX secolo stanno andando nella stessa direzione con una risata, descrivono il mondo dal punto di vista dei deboli e ridono delle proprie contraddizioni. Nonostante la sua lunghezza e i suoi numerosi esempi, il libro di Sabine Melchior-Bonnet alla fine si occupa più di letteratura che di storia, nonostante il titolo. Manca però di una conclusione solida che permetta di dare più coerenza all’insieme e di comprendere meglio la posta in gioco di un argomento ancora controverso.
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