Due ragazzi si baciano nella notte di Teheran. Liberi, lei senza velo e intorno le macchine sfrecciano in una notte di proteste e rivolte. Nei vagoni della metro nelle carrozze con le scritte “women only” ragazzi e ragazze insieme, e la polizia irrompe per ripristinare “l’ordine”.
Intanto continuano a morire i più giovani come Saaeed Moradi, ucciso nel Kurdistan iraniano il 15 novembre. Ma il regime trema, dopo 43 anni, sotto la pressione di una rivolta non armata fatta da donne e uomini che chiedono “freedom”, la libertà. La libertà di vivere senza le rigide regole della Repubblica islamica. La libertà di ragazzi e ragazze di stare insieme, di condividere un pranzo, un cinema.
L’Iran è una enorme riserva di gas e petrolio
Dopo 43 anni di regime, di sanzioni, di privazioni è in atto qualcosa di speciale nel paese medio orientale. Qualcosa che può cambiare gli equilibri stabiliti con la caduta dello Scià di Persia nel 1979. Il leader della rivoluzione di allora, l’Ayatollah, sciita, Ruhollah Khomeyni, trasformò l’Iran in una Repubblica Islamica, un paese molto diverso da quello che era esistito fino a quel momento, e ne cambiò radicalmente le alleanze internazionali, con enormi conseguenze su tutto il Medio Oriente. E adesso, grazie alla rivolta nata dalle donne, tutto il sistema geopolitico di quell’area potrebbe essere sconvolto e riguarda l’assetto politico ma anche quello economico: pensiamo solo al fatto che l’Iran è secondo solo alla Russia come riserve di gas (si ipotizzano 34 trilioni di metri cubi).
Senza contare le riserve accertate di petrolio che, secondo il governo, circa 200 miliardi di barili nel 2020 rappresentando quindi circa il 13% delle riserve mondiali
Insomma il Medio Oriente torna ad essere centrale molto più di quello che si poteva pensare e soprattutto in un momento in cui anche tra Occidente e Russia gli equilibri sono notevolmente cambiati, con Cina e India in pool position per il bilanciamento dei poteri. Un nuovo Medio Oriente e nuovi equilibri dovrà anche valutare il ruolo di Israele nello scacchiere.
La morte di Mahsa Amini
Una rivolta che sembrava nata come altre negli ultimi anni e destinata a “morire” sotto i colpi della repressione in poco tempo. E invece sono passati ben due mesi da quel 13 settembre 2022 quando una giovane kurda iraniana, Mahsa Amini, ventiduenne residente di Saqqez (Iran occidentale) che si era recata in vacanza a Teheran con la sua famiglia, viene arrestata, mentre era in compagnia di suo fratello Kiaresh, all’ingresso dell’autostrada Haqqani dalle “Pattuglie dell’Orientamento” (in persiano گشت ارشاد, “gašt-e eršād”), la polizia per la morale iraniana. Poi, durante il tragitto alla stazione di polizia, viene comunicato ai familiari che la giovane sarebbe stata condotta in un centro di detenzione per essere sottoposta a un “breve corso sullo hijab” e sarebbe stata rilasciata entro un’ora
E invece dopo due giorni di coma all’ospedale Kasra di Tehran, la ragazza è deceduta in seguito alle ferite riportate
Il giorno del decesso la clinica dove era stata ricoverata Amini, diffuse un post sulla sua pagina Instagram dove si affermava che la giovane era già cerebralmente morta quando è stata ricoverata: un post di Instagram in seguito cancellato. Il fratello Kiaresh, durante il ricovero, aveva notato dei lividi sulla testa e le gambe della sorella. Un certo numero di medici ha ritenuto che Mahsa avesse subito una lesione cerebrale, per il sanguinamento dalle orecchie e i lividi sotto gli occhi, con fratture ossee, emorragia ed edema cerebrale.
Donne e giovani in prima linea
Da allora al grido “Donne, vita, libertà” è iniziata la rivolta che neanche la ferocia dei Psdaran o della Basijl riesce a placare. Dal Paese gli attivisti lanciano l’allarme su cosa sta succedendo. Ho ricevuto ieri questo messaggio: “Here our access to global internet is too limited, even I cant login to my university email and office. It is the reason that I havent send you Email. Just with lots of difficulties I can work with my cellphone doesnt work with available Vpns and totally I cant communicate safely here. The reason that I am writing is that I want to say that people that are arrested these days are in danger in prisons. Also they are going to held courts and it is anticipated that they issue unfair sentences for arrested In the name of humanity and freedom please please cover news of courts and prisons. Mainly they have taken the control of cities and they want to make fear among people to prevent further protests” –
“Qui l’accesso globale a internet è troppo limitato, io non posso usare la mail dell’università e del lavoro. Posso usare il mio smartphone con grande difficoltà e non lavora con il Vpns disponibile e quindi non posso comunicare in modo sicuro (intendendo la propria sicurezza ndr). La ragione per cui ti scrivo è perché ci sono persone arrestate in questi giorni e che sono in pericolo in carcere. Verranno portati nelle corti penali ed è stato anticipato che ci saranno condanne. In nome dell’umanità e della libertà per favore per favore diffondi questa notizia delle corti e delle prigioni. Loro hanno il controllo di alcune città e vogliono creare il terrore tra le persone per prevenire altre proteste”.
Attivisti e attiviste in pericolo di vita
Nelle prigioni iraniane come quella di Evin a Teheran la situazione è gravissima e pericolosissima per gli attivisti e i giovani che hanno partecipato alle proteste. Intanto arriva la notizia, su Twitter da Mariano Giustino di Radio Radicale che “È in pericolo di vita di #HosseinRonaghi giornalista e attivista per i diritti umani, in prigione a Evin dal 24 settembre. In sciopero della fame, ridotto in fin di vita è ora all’ospedale di Tehran. La popolazione per le strade grida: Morte al dittatore!“. Una morte che non farebbe altro che aumentare le proteste.
Proteste che sono frutto del coraggio delle donne. Sono loro che hanno iniziato. Sono loro che per prime hanno messo a rischio la vita
Giovani e anziane, istruite e non. Nelle città e nelle campagne. Nelle università e al bazaar. Dovunque e comunque per giorni si sono viste solo loro a manifestare, ad essere picchiate, ad essere molestate sessualmente (e nelle prigioni anche stuprate senza ritegno come forma di “avvertimento”). Nelle ultime due settimane il regime iraniano ha ucciso 300 manifestanti, imprigionato oltre 15mila di loro o vicini alle proteste, e ha minacciato di giustiziarne un centinaio. Ma le donne, le ragazze senza lo hijab continuano a gridare il loro inno di battaglia “Io sono una donna libera”.
Gli uomini non sono rimasti a guardare
Piano piano anche gli uomini hanno iniziato ad affiancarle nelle manifestazioni. I ragazzi, nelle Università, hanno abbattuto nelle mense i divisori di “genere” e hanno iniziato a mangiare insieme, a tavola, per terra, sotto i porticati con le proprie colleghe. Gli uomini, ed è epocale dopo 43 anni di Repubblica islamica e di indottrinamento, non sono rimasti a guardare. Lo si è visto al funerale di Mahsa: erano lì a centinaia, lo si vede nelle strade di Teheran e Tabriz. Lo si vede alle Università.
E il regime ha capito che questa non è una rivolta come le altre. Ha bloccato ogni possibilità di accesso all’esterno (internet)
Telegram regge all’assalto governativo di vietare di far sapere, al mondo intero, cosa succede . E la paura per i religiosi al governo è tanta questa volta. Perché sono le donne a rivoltarsi, sono la maggioranza nel paese (come un po’ in tutto il mondo), sono quelle già private di tutto e quindi più “disponibili” a battersi. Sono le giovani che grazie ai social o a scambi universitari hanno conosciuto un altro mondo. Che lo hanno raccontato alle loro mamme e nonne che hanno deciso che il “tempo è ora” per dare alle proprie figlie e nipoti un futuro diverso. E il governo ha paura per questo: è una rivolta transgenerazionale.
Una rivolta Transgenerazionale
Non si tratta delle giovani. Fosse solo loro la rivolta sarebbe già cessata! Ma è la rivolta di tutte le donne: piccole, grandi, anziane, della città e delle aree rurali. Curde, persiane. Sciite e sunnite. E che non si mettono paura dei pasdran e del loro braccio armato, la basij (una forza paramilitare voluta da Khomeyni nel 1979 ed usata per “ostacolare” i dissidenti). Una giovane attivista a Roma per studiare ha deciso di tornare a casa: ”Non posso stare qui a guardare devo tornare adesso il mio posto è lì. Devo vivere lì questo momento con tutti i rischi che ci sono”. Adesso è a Teheran, dove la rivolta è arrivata anche nel conservatore e maschilista Bazaar, centro degli affari del paese, e scrive “date voce a chi è stato arrestato. Date voce a chi si ribella. Aiutateci!”.