Londra, catena umana davanti al parlamento per liberare Assange

Con l'estradizione concessa dalla Corte inglese, il fondatore di Wikileaks rischia il carcere a vita negli Usa per aver detto al mondo la verità, un trattamento del tutto diverso rispetto a quello riservato al dittatore cileno Pinochet trattato in Gran Bretagna con i "guanti bianchi", che non solo non fu estradato ma gli fu concesso di tornare in patria liberamente

Nils Melzer
Nils Melzer
Titolare della Cattedra dei diritti umani dell'Accademia di diritto internazionale umanitario e diritti umani di Ginevra, è anche professore di diritto internazionale all'Università di Glasgow. Dal 2016 al 2022 ha assunto la funzione di Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti.



Oggi sabato 8 ottobre, il Parlamento inglese verrà circondato alle 13.00 da una catena umana per la liberazione del fondatore di Wikileaks, detenuto da tre anni nella prigione di Belmarsh in attesa di essere estradato negli Usa. La catena umana chiederà la liberazione per Julian Assange che ha presentato istanza di ultimo appello presso l’Alta Corte di Londra contro il decreto di estradizione negli Usa, autorizzato il 17 giugno scorso dalla ministra degli Interni inglese Priti Patel.

L’incriminazione di Assange per spionaggio e cospirazione riguarda lo svelamento dei crimini di guerra compiuti dai soldati statunitensi durante i conflitti in Iraq e in Afghanistan. A sostegno della sua liberazione definitiva, DonnexDiritti Network pubblica di seguito l’articolo di Nils Melzer, relatore speciale sulla tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti dal 2016 al 2022, pubblicato su Le Monde Diplomatique (agosto 2022).

“Coccolare Pinochet, distruggere Assange”

In qualità di relatore speciale sulla tortura, sono incaricato dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (ONU) di garantire il rispetto del divieto di tortura e maltrattamenti in tutto il mondo; esaminare le accuse di violazione di questo divieto; trasmettere domande e raccomandazioni agli Stati interessati al fine di chiarire i singoli casi. Indagando sul caso di Julian Assange, ho trovato prove inconfutabili di persecuzione politica e arbitrio giudiziario, come pure di tortura e maltrattamenti deliberati.

nonostante questo, gli Stati responsabili si sono rifiutati di cooperare per avviare le misure investigative richieste dal diritto internazionale

Julian Assange

Conseguentemente, il caso Assange non è altro che la storia di un uomo perseguitato e maltrattato per avere rivelato i sordidi segreti dei potenti, con una particolare attenzione ai crimini di guerra, alla tortura e alla corruzione. Ed è la storia di un caso di arbitrio giudiziario deliberato, compiuto da quelle stesse democrazie occidentali che, in ogni contesto, amano auto-definirsi come le sole rappresentanti esemplari in materia di diritti umani. Ed è anche la storia della collusione deliberata fra i vari servizi di intelligence dei Paesi occidentali, al fine di escludere totalmente i Parlamenti e i cittadini. Infine, è la storia di reportage manipolati e manipolatori dei fatti all’interno dei grandi media, finalizzati a isolare, demonizzare e distruggere quello specifico individuo.

Augusto Pinochet

In una democrazia fondata sullo stato di diritto, nella quale tutti sono uguali di fronte alla legge, casi giudiziari comparabili devono essere trattati allo stesso modo, secondo le stesse regole. Dal 16 ottobre 1998 al 2 marzo 2000, l’ex dittatore cileno, il generale Augusto Pinochet fu detenuto in Gran Bretagna con possibilità di essere estradato. Spagna, Svizzera, Francia e Belgio volevano perseguirlo penalmente per tortura e crimini contro l’umanità. E come l’Assange di oggi, Pinochet, allora, si descriveva come “il solo prigioniero politico della Gran Bretagna”.

Contrariamente ad Assange, però, Pinochet non era accusato di avere ottenuto e pubblicato prove relative a torture, morti e corruzione, ma al contrario di avere effettivamente commesso, ordinato e accettato esattamente quegli stessi crimini

Ma soprattutto, diversamente da Assange, il governo inglese non considerava Pinochet una minaccia per i suoi interessi nazionali. Veniva ancora considerato, piuttosto, come l’amico e l’alleato della guerra fredda e, questione cruciale, lo stesso alleato nella guerra fra la Gran Bretagna e l’Argentina del 1982 per il controllo delle isole Falkland o Malvines. Pertanto, quando un tribunale inglese osò, applicando la legge, togliere l’immunità parlamentare a Pinochet, questa decisione fu immediatamente annullata, con la motivazione che uno dei giudici avrebbe potuto essere stato pregiudizialmente ostile all’imputato. Apparentemente, la ragione fu che questo giudice era stato, in una occasione, volontario nella raccolta di fondi per i diritti umani di una sezione locale di Amnesty International e Amnesty era implicata nel caso giudiziario relativo a Pinochet.

Emma Arbuthnot

Ma se ritorniamo al caso Assange, non si può non evidenziare, invece, che la giudice Emma Arbuthnot, il cui marito era stato denunciato a più riprese da WikiLeaks, fu autorizzata non solo a pronunciarsi sul mandato di arresto di Assange nel 2018, ma – nonostante una richiesta di ricusazione molto ben documentata – ha anche seguito direttamente la procedura dell’estradizione di quest’ultimo, fino a quando non è stata sostituita dalla collega Vanessa Baraitser, nell’estate del 2019. Inoltre, va evidenziato che nessuna delle decisioni di Arbuthnot fu annullata

E ancora, come non rilevare che Pinochet – accusato di essere il responsabile diretto di decine di migliaia di violazioni gravi dei diritti umani – non fu mai insultato, umiliato o ridicolizzato dai giudici inglesi durante le udienze pubbliche e non fu mai rinchiuso in una cella di isolamento all’interno di un carcere di massima sicurezza.

Tony Blair

Al contrario, quando fu detenuto, il primo ministro Tony Blair non espresse al Parlamento la propria soddisfazione di poter verificare che “nel Regno unito, nessuno è al di sopra della legge”, né vi furono 70 parlamentari che, con fervore, in una lettera aperta al governo, perorassero di non concedere l’estradizione dell’ex dittatore ai Paesi richiedenti. Così, il generale trascorse la propria detenzione in attesa di estradizione in una residenza sorvegliata: in una villa nelle vicinanze di Londra, dove era autorizzato a ricevere visite senza limiti, da un prete cileno a Natale, alla ex-premier inglese Margaret Thatcher.

Jack Straw

Al contrario, Assange – colui che ha raccontato verità che destabilizzano il potere – accusato di giornalismo e non di torture e morti, non beneficia di arresti domiciliari, ma è rinchiuso in isolamento, nel penitenziario di massima sicurezza inglese di Belmarsh, noto anche come la “Guantanamo britannica”. Tornando a Pinochet, anche per lui – come nel caso Assange – lo stato di salute fu una questione di primaria importanza, decisiva. Tanto che, nonostante il generale stesso avesse categoricamente rifiutato anche soltanto l’idea di essere liberato per ragioni umanitarie, il Ministro britannico dell’Interno, Jack Straw, intervenne personalmente, ordinando per il generale esami medici che consentirono di diagnosticare amnesie e disordini nella concentrazione. E quando diversi governi che ne reclamavano l’estradizione chiesero una perizia medica indipendente, il ministro inglese la rifiutò categoricamente.

decise che Pinochet non era in grado di sopportare un processo: ne ordinò la liberazione e il ritorno in Cile. contrariamente agli USA nel caso Assange, agli Stati che richiedevano l’estradizione del dittatore non fu concesso di presentare richiesta di appello

Nel caso di Assange, molti rapporti medici indipendenti, come pure le mie verifiche ufficiali, in quanto relatore speciale dell’ONU sulla tortura, sono stati ignorati e anche quando Assange è stato appena in grado di pronunciare il suo nome davanti alla Corte, il processo è proseguito, senza manifestare alcun interesse né per il suo stato di salute, né per la sua incapacità a sostenere il giudizio. Come nel caso di Pinochet, anche l’estradizione di Assange fu – perlomeno in un primo tempo – rifiutata per ragioni sanitarie.

Ma, mentre Pinochet era stato immediatamente liberato, rimpatriato e gli Stati che ne reclamavano l’estradizione privati di ogni possibilità di ricorso, Assange è stato immediatamente rimesso in isolamento, la sua liberazione sotto cauzione rifiutata e gli Stati Uniti invitati a presentare appello presso l’Alta Corte, costruendo, in tal modo, la prosecuzione del suo calvario e del suo silenzio, durante il tempo che resta per concludere una procedura di estradizione che potrebbe richiedere diversi anni.

Il parallelo fra questi due casi giudiziari mostra chiaramente i “due pesi, due misure” adottati dalle autorità britanniche e come tutti non siano affatto uguali davanti alla legge

Nel caso di Pinochet, l’obiettivo era di offrire a un vecchio dittatore e a un alleato fedele l’impunità per i suoi crimini contro l’umanità. Nel caso di Assange, l’obiettivo è stato quello di ridurre al silenzio un dissidente imbarazzante la cui organizzazione, Wikileaks, ha sempre combattuto esattamente questo tipo di impunità. I due diversi approcci adottati nei due casi sono motivati, unicamente, dalla politica di potere e sono incompatibili con la giustizia e lo stato di diritto. La stampa degli Stati Uniti, del Regno Unito e dell’Australia non pare avere compreso, ancora, il pericolo esistenziale che il processo di Assange rappresenta per la libertà della stampa, il rispetto delle procedure, la democrazia e lo stato di diritto.

Ivan Golounov

La dolorosa verità è che se le più importanti organizzazioni mediatiche dell’anglosfera avessero deciso di difendere questi principi la persecuzione di Assange sarebbe finita rapidamente. E il caso di Ivan Golounov – un giornalista investigativo russo specializzato nella denuncia della corruzione pubblica – può servire da esempio. Quando Golounov fu improvvisamente arrestato per presunto traffico di droga nel corso dell’estate 2019, la stampa russa più diffusa comprese immediatamente cosa stava accadendo. “Noi siamo Ivan Golounov” scrissero le prime pagine identiche dei tre principali quotidiani russi: Vedomosti, RBK e Kommerzant.

Vladimir Putin

Questi tre giornali misero apertamente in dubbio la legalità dell’arresto di Golounov, sospettando che la causa fosse da attribuire alle sue inchieste giornalistiche e chiesero un’inchiesta approfondita. Colti in flagrante delitto e messi sotto osservazione dalla loro stessa stampa, le autorità russe finirono per fare marcia indietro qualche giorno più tardi. Il presidente Valdimir Putin ordinò la liberazione di Golounov e rimosse due alti funzionari del Ministero dell’Interno. Dimostrando così che l’arresto di Golounov non era il risultato di una superficiale indagine di qualche ufficiale incompetente di polizia, ma era stata orchestrata ai più alti livelli.

Non esiste alcun dubbio che se si verificasse un’azione di solidarietà paragonabile a quella citata, condotta da Guardian, BBC, New York Times e Washington Post, la persecuzione di Assange finirebbe subito

Perché i governi temono di essere sotto i riflettori dei media e l’esame critico della stampa. Ciò che accade attualmente nei grandi media britannici, americani e australiani sul caso Assange arriva semplicemente troppo tardi ed è troppo debole. Come sempre i loro reportage continuano a oscillare tra lo zoppicante e l’insignificante, riportando docilmente la cronaca giudiziaria senza nemmeno comprendere che quella stessa cronaca esprime una regressione monumentale della società: dalle conquiste della democrazia e dello Stato di diritto alle età oscure dell’assolutismo e degli arcana imperii, in altre parole un sistema fondato sul segreto e l’autoritarismo.

Una manciata di editoriali e di cronache poco entusiaste e poco audaci che nel Guardian e nel New York Times manifestano una qualche riprovazione per l’estradizione di Assange non sono sufficienti per convincere. Se questi due giornali hanno timidamente dichiarato che la condanna di Assange per spionaggio metterà in pericolo la libertà della stampa, nemmeno un solo mass media protesta contro le violazioni plateali della procedura corretta, della dignità umana e dello stato di diritto che hanno caratterizzato tutto il caso Assange. E nessuno interroga seriamente i governi implicati perché rendano conto dei loro crimini e della loro corruzione; nessuno ha il coraggio di porre delle domande imbarazzanti ai dirigenti politici. Questi media, oggi, sono soltanto l’ombra di quello che in altri tempi era definito il “quarto potere”.

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Traduzione dal francese a cura di Paola Pacetti 

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