8 marzo, le donne scendono in piazza per la pace ma l’Italia è spinta alla guerra in tutti i modi

Nella Giornata internazionale della donna le manifestazioni femministe chiedono la fine del conflitto in Ucraina e nel mondo: una violenza decisa da un potere maschile che i media appoggiano mettendo alla gogna chi non è d'accordo

Eleonora Forenza
Eleonora Forenza
Politica e attivista italiana, deputata al Parlamento europeo dal 2014 al 2019, è nel gruppo GUE/NGL, fa parte del direttivo dell'International Gramsci Society. Nella sua attività di ricerca si è occupata prevalentemente di studi gramsciani, teorie femministe e storia delle donne.



La notte non potrebbe essere più buia. La guerra invade questo tempo e come sempre genera orrore: morti, persone ferite, persone in fuga, distruzione, abbrutimento. La guerra invade lo spazio della politica e dell’informazione. E questo “bombardamento metaforico” non risparmia neanche noi, che guardiamo le immagini di guerra da casa.

Informazione o propaganda?

Giampiero Massolo

L’informazione in Italia, in larghissima maggioranza, è ormai funzionale al fronte interno, schierata nella logica del suprematismo occidentale: “Noi siamo l’Occidente e dobbiamo ricordare alla Russia che ha perso la guerra fredda” (Ambasciatore Giampiero Massolo, su La 7). L’atlantismo – nello spazio politico e mediatico – erode le parole del pacifismo. Capita così di sentire parlamentari che giustificano l’invio di armi in Ucraina citando l’Articolo 11 della Costituzione, che invece recita, come è noto, che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali”. Provare invece a non militarizzare cultura e informazione oggi ha un prezzo ancora più alto.

Provare a difendere la pace espone anche all’insulto, dall’elegantissimo “figlio di Putin” in giù

Le liste di proscrizione

Gianni Riotta

Partono le liste di proscrizione: Gianni Riotta che inserisce Barbara Spinelli tra i giornalisti filo -Putin; Marc Innaro oggetto di una interrogazione parlamentare alla Commissione di Vigilanza per aver problematizzato l’espansione della Nato ad Est; fino alla russofobia emersa dalla surreale censura al corso su Dostoevskij di Paolo Nori, che si è visto costretto a rinunciare alle sue lezioni per sottrarsi al ludibrio di una par condicio con un autore ucraino. E, infine, alla scelta della Rai di ritirare i corrispondenti da Mosca.

Popolo della pace: il timore di dire no a Putin ma anche alla Nato

Marc Innaro

Eppure, il popolo della pace ha resistito. È sceso in piazza a Roma lo scorso sabato 5 marzo: oltre 50000 persone, oltre duecento organizzazioni hanno preso parte alla manifestazione “Cessate il fuoco. Per una Europa di pace”. Il corteo di “Europe for peace” si è concluso in piazza San Giovanni e, se numeri non sono quelli di fine anni Novanta e dei primi anni duemila, la nettezza nel ripudio della guerra, di ogni guerra, non è mancata sia negli striscioni, che negli interventi dal palco.

La manifestazione ha resistito nei fatti anche al tentativo di “normalizzazione” operato sulla piattaforma di convocazione iniziale, lanciata il primo marzo da parte della Rete italiana pace e disarmo, a cui sono arrivate subito tantissime adesioni, nonostante i tempi molto ristretti per l’organizzazione di una manifestazione nazionale. Su pressione di Cisl e Uil in primis, vengono cancellati alcuni punti della piattaforma. Nella versione originaria, oltre a chiedere di “fermare la guerra in Ucraina” e “tutte le guerre del mondo” e condannare fermamente l’aggressione di Putin, si scriveva: “Siamo con la società civile, con le lavoratrici e i lavoratori ucraini e russi che si oppongono alla guerra con la non violenza. No all’allargamento della Nato. Sì alla sicurezza condivisa. Vogliamo un’Europa di pace, senza armi nucleari dall’Atlantico agli Urali”.

Sì agli aiuti, no all’invio di armi

Tante associazioni e movimenti, allora, scelgono di partecipare alla manifestazione con piattaforme autonome, radicalmente pacifiste, che ribadiscono la condanna della guerra e dell’invasione dell’Ucraina, e insieme criticano l’estensione della Nato a Est, l’invio di armi all’Ucraina voluto dal governo italiano, la russofobia dilagante. La stessa Rete italiana per la pace e per il disarmo ribadisce la sua piattaforma. Insieme alle piattaforme autonome, si moltiplicano anche gli appuntamenti interni al percorso de corteo: a piazza Esedra, reti tra cui la Società della cura, Attac, Gkn, Arci e Fairwatch; a piazza dei Cinquecento le realtà e i movimenti sociali con lo striscione “Né con Putin, né con la Nato. Nessun’arma, nessun soldato”; a piazza dell’Esquilino le organizzazioni che avevano promosso una precedente manifestazione romana contro la guerra. Risultato: la Cisl scrive un comunicato in cui si sfila dalla manifestazione, Uil non partecipa.

tutti gli spezzoni della manifestazione ribadiscono con forza: contro Putin, contro la Nato, contro l’invio di armi

In ogni modo, la distanza tra le parole di questa piazza e le scelte del Governo e della maggioranza parlamentare è evidente sia sulla questione dell’invio di soldati ai confini della Nato e di armi all’Ucraina, ma anche sulle scelte di politica energetica: l’acquisto di gas scisto dagli Usa, il raddoppio dei gasdotti, il ritorno al carbone. Il tradimento definitivo di quella transizione ecologica tanto sbandierata viene infatti stigmatizzato dall’intervento di Fridays for Future. Tantissimi gli interventi che si alternano sul palco, coordinati da Mauro Biani: tra questi, oltre ad Arci, Un ponte per, Cgil, interviene la Lupa, che rilancia la necessità di uno sciopero generale e da appuntamento nelle piazze convocate per l’otto marzo. Tantissime le testimonianze dai tanti teatri di guerra, dalla Palestina all’Afganistan.

molti chiedono un’Europa che svolga un ruolo attivo per il dialogo e la pace, anziché indossare l’elmetto

Il linguaggio del conflitto

Antonio Polito

Una manifestazione diversa, quella di Roma. Non arruolabile. In cui a sventolare non sono state bandiere nazionali né i colori giallo blu, diversamente da quanto accaduto in altri capitali europee, ma le bandiere della pace, insieme a quelle di tantissime associazioni, partiti (Prc, Pap, Si) e sindacati. E proprio perché non arruolabile, oggetto degli strali degli opinionisti con l’elmetto: “Né con Putin né con la Nato ricorda né con lo Stato né con le Br (Antonio Polito sul “Corriere della Sera”), fino a Burioni che twitta “fermiamo il Covid. Né con il vaccino né con il virus”.  Evidentemente il passaggio da uno stato d’emergenza all’altro e il linguaggio di guerra usato durante la pandemia, sono stati un sostrato fertile per l’attuale militarizzazione dell’informazione e della comunicazione.

Il femminismo come antidoto contro la guerra

Lidia Menapace

Lidia Menapace, che amava definirsi “partigiana a vita”, non a caso ha lavorato incessantemente per la smilitarizzazione del linguaggio come pratica pacifista. “Fuori la guerra dalla storia”, scriveva Lidia: parole che hanno chiuso la manifestazione e che costituiscono un ponte per le oltre 30 piazze convocate l’otto marzo, giornata dello sciopero femminista contro la guerra. Il movimento pacifista ha in effetti la memoria di un corpo di donna: anche se le presenze di giovani e giovanissime sono state tante, l’esperienza degli attraversamenti e della solidarietà femminista, delle manifestazioni contro le bombe su Belgrado e le guerre in Iraq, sono iscritte in questa storia collettiva che non smette di camminare.

Forse perché, anzi proprio perché, il femminismo e la sorellanza sono l’antidoto più radicale alla guerra, perché contrastano la radice della guerra e della violenza: il patriarcato. Perché la violenza maschile contro le donne è un esercizio costante nei teatri di guerra, e insieme, è un esercizio alla guerra. Perché i nazionalismi sono la prosecuzione del patriarcato con altri mezzi. La genealogia femminista del movimento per la pace ci fa resistere, anche in questa notte buia.

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Oggi 8 marzo tra gli appuntamenti per la Giornata internazionale delle donne in Italia: cortei in 30 città italiane e manifestazione femminista a Roma (da Piazza della Repubblica a Piazza Madonna di Loreto, ore 16) “Per fermare la guerra in Ucraina ma anche l’invio di armi dall’Italia e dai paesi europei”, il convegno promosso al Senato dalla commissione d’inchiesta sul Femminicidio “Il lavoro delle donne, libertà dalla violenza e strategia di sviluppo del Paese” (ore 14.30), e al Salone dei Corazzieri del Palazzo del Quirinale, a Roma, con il tema “Giovani donne che progettano il futuro” con la testimonianza di Oksana Lyniv, direttrice d’orchestra ucraina del Teatro comunale di Bologna e il discorso conclusivo del presidente Mattarella.

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