Nell’esperienza di accoglienza e supporto legale delle donne in uscita da situazioni di violenza domestica e di genere la prima paura che da sempre le donne manifestano è quella di perdere i propri figli. Una paura che ha le sue radici nella struttura storica delle relazioni familiari che per legge è stata a lungo diseguale a svantaggio delle donne.
La paura di perdere i figli
L’immagine che torna alla mente è quella della scrittrice Sibilla Aleramo, per tutte, che ha seguito il suo desiderio di libertà dalla violenza perdendo per sempre suo figlio. Nella pratica politica e in quella legale, ci muoviamo rafforzate dalle conquiste delle riforme legislative che sono frattanto intervenute.
Sibilla Aleramo, come tante altre, pagava il prezzo di una legge scritta da uomini per uomini
Un’altra immagine che ritorna davanti agli occhi è quella della protagonista di “Suffragette. Mothers, Daughters, Rebels”, del 2015 che ricostruisce la battaglia delle donne per il diritto al voto nell’Inghilterra del XIX secolo: Maud decide di impegnarsi politicamente, ma il marito la costringerà a scegliere tra il suo ruolo di madre e moglie e il sogno di un futuro basato sull’eguaglianza e ciò perché sostenuto dall’impianto patriarcale delle leggi, non votate, appunto dalle donne.
Il sistema normativo è radicalmente mutato, e anche la giurisprudenza, a partire dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 ha costruito parametri funzionali a rimediare anche alle disuguaglianze sostanziali tra uomini e donne nelle relazioni familiari, sociali, lavorative. Si sono aggiunte le progressive riforme in tema di misure di protezione dalla violenza domestica, ma la reazione contro l’avanzamento dei diritti delle donne è feroce e colpisce, ancora una volta, la donna in quanto donna e nel suo ruolo di madre.
Una delle forme più dolorose è l’allontanamento coattivo dei figli
Cosa prevede la legge?
L’articolo 3 della Convenzione Internazionale dei diritti dell’infanzia (“International Convention on the right of the child”, sottoscritta a New York il 20.11.1989 e ratificata con Legge n. 176 del 27 maggio 1991), stabilisce che “in tutte le decisione relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei Tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo”.
L’interesse preminente del minore richiede che soltanto circostanze eccezionali possano condurre ad una rottura del legame familiare e che tutto deve essere fatto con l’obiettivo di mantenere le relazioni personali e ricostituire in seguito la famiglia e infatti l’articolo 9 della medesima Convenzione stabilisce un obbligo di vigilanza in capo allo Stato “affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell’interesse preminente del fanciullo”.
La disposizione in questione chiarisce ancora che una decisione simile può essere necessaria “in taluni casi particolari, ad esempio quando i genitori maltrattino o trascurino il fanciullo, oppure se vivano separati e una decisione debba essere presa riguardo al luogo di residenza del fanciullo”. L’articolo 31 Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (di seguito Convenzione di Istanbul) in tema di custodia dei figli, diritti di visita e sicurezza codifica il principio di safety first quale riferimento per gli ordinamenti che sono obbligati ad adottare le disposizioni legislative o di altro tipo necessarie nei casi di regolamentazione dell’affidamento dei figli minori: “per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza” ricompresi nell’ambito di attuazione della Convenzione di Istanbul in modo da assicurare che “l’esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini”.
Allontanamento del minore solo se necessario
La misura dell’allontanamento dei figli dai genitori e/o dalla casa familiare costituisce, di conseguenza, una deroga eccezionale al diritto di crescere e di essere educato all’interno della propria famiglia prevista dall’ordinamento a esclusiva salvaguardia e tutela di diritti fondamentali dei minorenni allorché siano a rischio di grave pregiudizio alla loro incolumità psicofisica.
In ragione dell’incidenza su diritti e libertà fondamentali queste misure possono essere adottate solo nei casi e nei modi previsti dalla legge e da parte dell’autorità giudiziaria, come stabilito anche dall’articolo 9 Convenzione ONU. Secondo l’impostazione processualistica tradizionale, i diritti parentali si affievoliscono in “ufficio di diritto civile” nell’interesse del figlio, e sono per questo sottoposti al controllo pubblico e quindi aggredibili dai provvedimenti ablativi, sospensivi e limitativi del giudice, con lo scopo di tutelare il solo interesse tutelato dall’ufficio, cioè quello del minore.
L’interesse superiore del minore non può tradursi però di volta in volta nella giurisprudenza minorile in vuota formula utile a veicolare la tutela di fatto di interessi “altri”
E per lo più proprio di quegli adulti cui l’ordinamento impone di fare un passo indietro, omettendo quel corretto e dovuto bilanciamento dei diritti in gioco che si impone all’autorità giudiziaria. Quale misura eccezionale, l’allontanamento del figlio dalla casa familiare è previsto nel nostro ordinamento dagli articoli 330 comma 2 c.c. nei casi di violazione o trascuratezza dei doveri inerenti alla responsabilità genitoriale o abuso dei relativi poteri, con grave pregiudizio del figlio e in presenza di “gravi motivi” che il legislatore riconduce espressamente alla condotta maltrattante o abusante del genitore nei confronti del minore (articolo 330 comma 2 Codice civile).
L’allontanamento del figlio dalla casa familiare rientra inoltre tra quei provvedimenti “convenienti” da adottare ai sensi dell’articolo 333 c.c. dinanzi a condotte di un genitore “che maltratta o abusa del minore. I “gravi motivi” che legittimano l’allontanamento del figlio dalla sua casa sono da interpretarsi come una specificazione del grave pregiudizio di cui al primo comma dell’articolo 330 Codice civile e quindi l’allontanamento può essere pronunciato solo quando non possa essere garantita nel nucleo familiare la convivenza con altri soggetti per il pericolo di perpetuarsi di maltrattamenti, violenze rischio di traumi conseguenti alla condotta dei genitori.
cioè in situazioni di concreto e attuale pericolo per l’equilibrio psicofisico del minore
L’allontanamento del minore rientra altresì tra i provvedimenti convenienti di cui all’articolo 333 c.c. con una valutazione esclusivamente in rapporto all’interesse del minore e in modo proporzionale alla gravità del pregiudizio al quale il minore viene esposto dalla condotta dei genitori. La mancata subordinazione della possibilità di disporre l’allontanamento del minore alla sussistenza di gravi motivi nell’articolo 333 c.c. è stata criticata dalla dottrina che ha ritenuto ingiustificata la differenza così introdotta tra il regime delineato dalla norma in commento e quello contemplato dall’articolo 330 comma 2 c.c., una differenza che però si ritiene da escludersi alla luce della specificazione letterale della disposizione che affianca la misura a quella dell’allontanamento del genitore che ha tenuto un comportamento maltrattante e/o abusante.
Collocamento del minore in casa famiglia
Nel disporre l’allontanamento del figlio dalla casa familiare l’autorità giudiziaria ai sensi del combinato disposto degli articoli 25 e 26 del r.d. 10 luglio 1934, n. 1404 convertito in legge 27 maggio 1935, n. 835 può altresì decidere il collocamento presso una struttura extra-familiare. Invocando le disposizioni sopra menzionate, la giurisprudenza minorile dovrebbe assumere i provvedimenti previsti nei casi di maltrattamenti diretti o indiretti, di violenza assistita, di violenza sessuale ossia in tutti i casi in cui si ravvisano in concreto fattispecie che configurano i reati previsti dall’articolo 2 legge 19 luglio 2019, n. 69, e ciò a prescindere dall’iniziativa autonoma dell’autorità giudiziaria penale.
Nel nostro ordinamento però questi tipi di comportamenti pregiudizievoli rimangono invisibili all’autorità giudiziaria civile e minorile
Mentre si registra un preoccupante ricorso alla misura della decadenza della responsabilità genitoriale o sospensione e all’allontanamento coatto dei figli dal genitore di riferimento, individuando il pregiudizio da cui difendere i figli minorenni in presunte condotte “manipolative” attribuite a un genitore a danno dei figli che manifestano difficoltà nella relazione con l’altro genitore e che sono state, ancora una volta, stigmatizzate dalla Corte di cassazione, in quanto prodotto di schemi valutativi privi di fondamento scientifico che puniscono non comportamenti determinati (e sanzionati dalla legge), ma il modo d’essere delle persone secondo il modello della “colpa d’autore” (dal tedesco Tätertyp).
Attacco alle madri
Ciò accade, peraltro, in modo selettivo e non neutro sotto il profilo del sesso del genitore censurato dall’autorità giudiziaria, dal momento che tali provvedimenti limitativi della responsabilità e che includono l’allontanamento del figlio dalla casa familiare di convivenza con il genitore di riferimento sono adottati in modo sproporzionato nei confronti delle madri, come rilevato dagli organismi internazionali di monitoraggio dell’attuazione delle convenzioni internazionali sin dal 2011.
Nello specifico, i figli sono allontanati con la motivazione di “grave rischio psicopatologico” derivante dal legame materno e per il ripristino della relazione con la figura genitoriale paterna in quanto “figura di riferimento importantissima per la costruzione della propria identità”
Si ritiene così di tutelare astrattamente la bigenitorialità, intesa quale componente imprescindibile del superiore interesse dei minori e condizione dell’equilibrio psicofisico dei minori, che però di fatto sono sistematicamente allontanati dalla madre in un contesto nel quale il modello bigenitoriale, da “legittima aspettativa dei figli” desunta dall’art. 337 ter c.c., si rinforza in sede giurisprudenziale di merito in dogma e unico parametro di misurazione del benessere psicologico dei minori, anche in termini prognostici del loro sano sviluppo per tradursi, in concreto, nella sola verifica del materiale “accesso” di un genitore ai figli (per lo più il padre), in un contesto nel quale l’altro genitore (di solito la madre) ha chiesto protezione per sé e/o i figli da condotte di violenza psicologica e/o fisica del padre ovvero nel caso in cui i figli manifestino disagio, fino al totale rifiuto di incontrare l’altro genitore.
La Risoluzione del Parlamento europeo del 6 ottobre 2021 sull’impatto della violenza da parte del partner e dei diritti di affidamento su donne e bambini (2019/2166(INI)) sottolinea che la cosiddetta “sindrome da alienazione parentale” e concetti e termini analoghi costituiscono un mero espediente giudiziario per discriminare le donne nei giudizi relativi all’affidamento dei figli, inibendo loro in concreto l’accesso alla giustizia e ciò soprattutto quando sono vittime di violenza nelle relazioni di intimità.
L’azione di Differenza Donna
Su questo tema l’associazione “Differenza Donna” sta conducendo un’azione di denuncia, proponendo modifiche normative, ma soprattutto di prospettiva culturale: il problema primario non sono le norme, infatti, bensì arginare quella che a tutti gli effetti costituisce una reazione “di sistema” alle riforme derivanti dagli obblighi internazionali in tema di protezione dalla violenza di genere e istituzionale e che colpisce le donne nella loro genitorialità.
Nel corso della seduta di discussione della risoluzione del 6 ottobre scorso l’On. Pina Picierno cita proprio il lavoro dell’associazione “Differenza Donna” e richiama la denuncia della prassi illegittima degli allontanamenti coattivi dei figli e delle figlie dalle madri che abbiamo ribadito nel corso della conferenza stampa del 19 luglio 2021 indetta, per richiamare l’attenzione sulle gravi violazioni dei diritti fondamentali in atto nei confronti della signora L. M. e suo figlio minorenne.
Sul punto corre l’obbligo di precisare che nel corso della conferenza stampa del 19 luglio sono stati illustrati 10 casi di allontanamento coattivo dei figli dalle madri fondati sull’alienazione genitoriale disposti da uffici giudiziari diversi sul territorio nazionale
È stato evidenziato, inoltre, alla luce di un campione di 100 casi di donne sostenute dall’associazione “Differenza Donna”, che nell’ambito dei procedimenti in materia di affidamento e verifica della genitorialità nei provvedimenti dei giudici civili e minorili ricorre l’intreccio di più traiettorie discorsive giuridiche, psicologiche e socio-politiche che denigrano le donne e si concretizzano in minacce di limitazioni progressivamente più gravi della genitorialità materna.