Poco prima dell’entrata in vigore del Codice Rosso (L. 19 luglio 2019, n. 69), alcune pronunce giurisprudenziali, intervenute in Italia nell’anno precedente, hanno prodotto una crescente mobilitazione. Tra tutti sono interessanti ancora oggi i contenuti emersi in due incontri pubblici: “Le parole giuste. Violenza di genere e linguaggi giuridici”, organizzati da Magistratura Democratica, la rivista “Questione di Giustizia” e D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza). Chi scrive è intervenuta a Firenze come avvocata della rete D.i.Re, mentre a Cosenza è stata Elena Biaggioni, attuale referente del gruppo delle penaliste della rete nazionale.
Il linguaggio giuridico
Sono convinta che per scongiurare il rischio di affrontare il tema in chiave emergenziale il fenomeno della violenza maschile sulle donne, occorra esaminare la tutela della donna nelle aule di giustizia in una prospettiva storica.
Anche per comprendere le ricadute del linguaggio, in particolare del linguaggio giuridico, sulle politiche del diritto e sulla cultura di un Paese, in un certo momento storico
A questo proposito mi vorrei soffermare sul libro “Parole, discorsi, scenari” nel libro “La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI) a cura di Simona Feci e Laura Schettini (Viella): punto di partenza per la definizione e la concettualizzazione della violenza, a partire da quella sessuale, nel corso del tempo in Italia. Parole contenute anche in sentenze come: “La soverchiante tempesta emotiva e passionale” (Ass. App. Bologna, 14.11.2018); “La vittima mascolina e scaltra” (App. Ancona, 23.11.2017, in materia di violenza sessuale, annullata dalla Corte di Cassazione); “Il comportamento della donna che l’ha illuso e disilluso nello stesso tempo il sentimento forte improvviso” (GUP Genova, 5.12.2018), riaccendono il dibattito pubblico.
Decisivo è interrogarsi sulle “parole per dirla”
Nel nominare la violenza è importante tenere conto su come sia avvenuto il passaggio da “stupro” a “violenza carnale e atti di libidine violenta”, “violenza sessuale” (L. ‘96/66), e “violenza maschile contro le donne”: costruzioni che evidenziano l’attenzione rivolta agli autori e non alle vittime, sottolineando che la violenza di genere è agita prevalentemente da uomini nei confronti di donne. Fino a “femminicidio” (le donne colpite in quanto donne), e “violenza di genere”, che evidenziano le diseguaglianze uomo-donna: cosa che la Convenzione di Istanbul definisce come “qualunque violenza contro una donna in quanto tale e che colpisce le donne in modo sproporzionato”.
Una qualificazione di genere che chiama in causa la dimensione politica della violenza maschile
La prospettiva storica ci consente di approfondire l’analisi. Ieri come oggi costa dolore e fatica alle donne, anche nei Paesi in cui esistono leggi per tutelarle, denunciare le violenze che subiscono.
Il processo si configura come fatto politico
Esaminando gli atti processuali si nota come, con la denuncia, la violenza coniugale entra nello spazio pubblico e diventi cioè fatto politico. Indicativo appare, esaminando atti processuali a sostegno dello sviluppo di ragionamento intrapreso, quanto si rintraccia per esempio al tribunale criminale di Bologna nel 1606, per il caso di Antonia Sanvitale contro Aurelio Dall’Armi (si pensi allo ius corrigendi che rendeva la violenza maritale legittima e legittimata nel nostro codice Rocco). Per cui “Dimostrando l’inadeguatezza di Antonia nella sfera privata, si distrugge la sua credibilità nella sfera pubblica e si struttura una narrazione della vicenda secondo un modello di rovesciamento della responsabilità che avrà grandissimo successo nei secoli a venire” (estratto da “La violenza contro le donne nella storia”, Ferrante L., pag. 55 ). Che è in fondo quello che accadeva e che accade ancora oggi: quello che si tenta di continuo di far accadere nelle nostre aule di giustizia
Nella società ottocentesca la violenza non è ripudiata, ma è affidata ai mariti per riaffermare la propria mascolinità. Diviene oggetto di riprovazione solo se pubblica, ma lecita se è solo privata
Le donne possono resistere alla violenza, solo se possiedono un proprio patrimonio, hanno cioè una forza economica autonoma. Procedendo nell’analisi, si giunge alle battaglie del movimento femminista e, dunque, alla mia/alla nostra storia.+
Come il femminismo ha cambiato il diritto
Il femminismo pone la libertà al centro della sua riflessione e dal progetto delle donne di sessuare il diritto giunge a quello di essere libere di produrre diritto. Alla proposta di legge di iniziativa popolare per modificare la disciplina della violenza segue l’iter parlamentare, durato vent’anni, per approvare la legge contro la violenza sessuale come delitto contro la persona e non contro la morale (L. 15 febbraio 1996, n. 66). Importantissimo l’apporto del femminismo radicale e separatista.
Conoscere la storia dello stupro come strumento per perpetrare la condizione di subalternità delle donne rispetto agli uomini, consente di prendere coscienza dei processi che lo rendono possibile per destrutturarli
È nella cultura dello stupro che troviamo, nella sua più alta espressione simbolica, il tentativo di delegittimare la vittima nel processo, le radici profonde dell’ostilità nei confronti delle donne che denunciano la violenza sessuale subita. Nel libro “L’avvocato delle donne. Dodici storie di ordinaria violenza”, a cura di Emanuela Moroli, in cui Tina Lagostena Bassi ricostruiva dodici storie con parole tratte dagli atti processuali, si legge: “Pensiamo a volte: il mondo sta cambiando, i rapporti tra uomini e donne stanno diventando più liberi e civili, poi apriamo i giornali e ci sembra che niente sia cambiato, che tutto continui a ripetersi, instancabilmente. È soprattutto l’antica cronaca degli stupri a non conoscere declino. Gli uomini continuano a violentare, le donne a essere violentate, e i processi contro gli stupratori si risolvono molto spesso per la vittima, in un’altra forma di violenza”.
L’impassibilità burocratica dei verbali e dei rapporti, le testimonianze colme di angoscia e d’emozione delle donne che hanno subito violenza
Le dichiarazioni insolenti degli imputati, le arringhe troppo spesso capziose e arroganti dei difensori, le colte circonvoluzioni delle sentenze, permettono di confrontare le differenti versioni dei fatti e mostrano come la società elabori e digerisca lo stupro. Le conquiste: la L. 96/66, il rispetto nell’escussione della persona offesa, la giurisprudenza che dà credito alle donne, lo sviluppo della legislazione nazionale e internazionale con le importanti novità introdotte dalla L. 2009/38, dalla L. 2013/119 e dalla Convenzione di Istanbul con i suoi ambiti di azione ovvero prevenzione, protezione, punizione dei responsabili e sostegno alle vittime, sino alla L.2019/69.
A che punto siamo dopo due anni dal Codice Rosso?
C’è ancora un forte contrasto tra un sistema di tutela delle vittime di violenza astrattamente di grande spessore e i problemi applicativi della legislazione vigente, soprattutto in relazione alla Convenzione di Istanbul.
Sopravvivono e si rafforzano, pregiudizi e stereotipi che rendono ancora faticoso denunciare, stare nel processo, e che influenzano, o possono influenzare, le pronunce
In tema di violenza di genere manca un adeguato coordinamento tra le disposizioni di diritto penale, diritto civile e procedura penale. Esiste una sottovalutazione della pericolosità delle condotte violente. Vi è mancanza di adeguata specializzazione e formazione in una prospettiva di genere. Nelle novità legislative introdotte nel nostro Ordinamento, oltre a una evidente primazia del diritto penale, si osserva un rafforzamento del potere pubblico a scapito dell’autodeterminazione delle donne, rafforzamento di potere posto in essere attraverso inasprimenti sanzionatori e aumenti di procedibilità d’ufficio.
L’apporto dei centri antiviolenza
Interessa sottolineare il rapporto tra prospettiva femminista e discorso giuridico che ne scaturisce, elaborata nei centri antiviolenza, grazie alla quale la violenza maschile contro le donne, nelle relazioni intime, è riconosciuta come problema di forte rilievo sociale, per cui la produzione giuridica, in particolare quella giurisprudenziale, è strumento indispensabile per affermare la libertà della singola oppressa dalla violenza.
A tal proposito, bisogna menzionare l’importanza della costituzione di parte civile dei centri antiviolenza a fianco delle donne: la lesione del diritto di quella donna è lesione del diritto di tutte le donne
Credo che obiettivo del discorso pubblico e del pubblico agire, sempre più debba essere andare verso una visione che abbia, fra i suoi strumenti, politiche del diritto scevre di pregiudizi e che valorizzino maggiormente il rapporto tra femminismo e discorso giuridico, sulle orme di quel “diritto sessuato”, di cui in Italia si è parlato con grande interesse dagli inizi degli anni ‘90 e il cui sviluppo ha subito rallentamenti da parte di posizioni diffidenti o dichiaratamente ostili. Solo cosi, potranno consolidarsi le conquiste raggiunte, superarsi i problemi applicativi e contrastarsi gli arretramenti culturali che traspaiono da pronunce recenti e dalle prassi giudiziarie.