Madre in quarantena non consegna il figlio al Tribunale e la giudice si accanisce: “È malattia da udienza”

Il decreto di allontanamento del bambino sarà al vaglio della Corte d'appello tra pochi giorni ma il Tribunale ordinario vorrebbe applicarlo prima e senza tener conto della Cassazione che ha di recente condannato l'alienazione parentale

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice di DonnexDiritti Network e International Women



Ieri una mamma avrebbe dovuto presentarsi in Tribunale di Pisa consegnando il figlio di 8 anni a seguito di un decreto in cui si è disposto l’allontanamento del bambino dalla madre e il collocamento dal padre che vive in Sicilia dove il ragazzino non ha mai abitato, lontano quindi dalla casa materna dove è cresciuto. E questo senza aspettare il parere della Corte d’appello che il 3 di giugno si dovrebbe pronunciare rispetto alla sospensione del decreto.

La reazione della giudice

La mamma non è andata perché in quarantena con il bambino dopo essere a contatto con un malato di Covid e quindi in attesa di tampone, ma al suo posto c’era l’avvocata che ha presentato il certificato della Asl che attestava la situazione.

la giudice ha reagito dicendo indispettita che non solo indagherà in maniera approfondita sulle circostanze ma anche che questa madre ha “la malattia da udienza”

Giudice che ha promesso di portare in Corte d’appello una relazione dettagliata sul comportamento della madre sul caso, convinta che la Corte non sospenderà affatto il suo decreto di allontanamento del bambino: esprimendo anche una certa insofferenza sul fatto che questa mamma, presa dalla disperazione, si sia rivolta ad associazioni (tra cui anche un centro antiviolenza) e ai media, perché questo le avrebbe creato una forte pressione.

Nessuna considerazione per l’Ordinanza della Cassazione

Ferma quindi sulla sua decisione di prelevare questo bambino, la giudice ha riconfermato la sua intenzione di andare avanti anche con l’intervento delle forze dell’ordine, e senza neanche prendere in considerazione la recente Ordinanza della Cassazione che ha bollato l’Alienazione parentale, usata anche in questo caso come concetto fondante dell’allontanamento del bambino dalla madre manipolante, come un costrutto “Tätertyp” o “Taterschuld” ovvero la “colpa d’autore” sviluppato dal diritto penale nazista, questo Tribunale non si è fermato e ha disposto un repentino cambio di collocamento a causa di un rifiuto del bambino nei confronti del padre iniziato qualche mese fa e mai realmente indagato.

Una donna che aveva dichiarato che il bambino aveva “paura del padre” e che non aveva “mai vissuto con lui”

“Abbiamo fatto 32 incontri protetti – dice la donna all’agenzia Dire – e lui non voleva, si chiudeva in macchina, piangeva disperato. Io non sono mai stata inadempiente, ma mi accusavano che non convincevo abbastanza mio figlio a scendere dalla macchina. Il nostro è stato considerato un caso di alta conflittualità e con questo decreto la giudice ha stabilito che i servizi sociali prendessero in carico il minore per ricostruire il rapporto con il padre. Ma nessuno ha indagato sul perché mio figlio ha paura”.

Il ripristino della Patria Podestà

Senza una inchiesta e senza neanche uno straccio di Ctu (ormai procedono anche senza quella), il tribunale ha disposto che il bambino “venga prelevato anche a scuola con la forza pubblica”, ed è per questo che il piccolo a oggi, si barrica in casa terrorizzato. Una decisione che addossa alla madre la responsabilità del rifiuto in maniera soggettiva e arbitraria, basata appunto su costrutti mai dimostrati scientificamente e oggi rigettati dalla stessa Cassazione che fa giurisprudenza e che deve essere presa in considerazione, da oggi in poi, da tutti i Tribunali italiani, nessuno escluso. Un automatismo ornai così radicato nei tribunali da far applicare la dinamica dell’alienazione parentale anche senza nominarla direttamente e anche in assenza di indagini approfondite, addirittura senza neanche una perizia del consulente tecnico d’ufficio che fino a oggi sembrava imprescindibile.

Una disposizione che lo allontana definitivamente dalla madre, dai suoi affetti, dalla sua routine di vita, in nome di una bigenitorialità che in realtà è il ripristino della “patria potestà” dove la madre scompare per sempre e che quindi non rappresenta un rapporto genitoriale bilanciato, perché quello che conta è solo il padre. Un concetto che dà a lui il potere sui figli e sulla famiglia che nel diritto antico aveva lo scopo di conservare i patrimoni familiari.

Un potere “vitae necisque potestas” cioè di vita e di morte, che il pater familias deteneva nei confronti di tutta la sua discendenza

Un concetto ancora vivo anche all’interno della giustizia, nei fatti, malgrado in Italia sia stato sostituito prima con la “potestà genitoriale” e poi cancellato nel 1975 con la “responsabilità genitoriale” parificando diritti e doveri della madre verso i figli a quelli del padre con la legge n. 151/1975 (riforma del diritto di famiglia). Concetti che si basano sui pregiudizi che in fondo le madri, in quanto donne, sono inadeguate quindi “malevoli”, simbiotiche”, “manipolanti”, e che quindi non sono né adeguate né degne. Una lesione dei diritti umani degna della Corte internazionale di giustizia per tutti i danni che ha fatto e che continua a fare.

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