Fin dai primi minuti di “Girl Power – La rivoluzione comincia a scuola (Moxie)” di Amy Poehler, c’è in nuce ciò che il film stesso vuole raccontare: una ragazza corre nel bosco, spaventata come se fosse rincorsa da qualcuno: vorrebbe urlare ma non ha voce, vorrebbe emettere dei suoni ma è impossibile (il film è disponibile su Netflix dal 3 marzo 2021).
Un inno femminista
La ragazza in questione è Vivian (Hadley Robison) e quella corsa a perdifiato, in una notte nerissima, spaventata a morte, silenziata da una sorta di maleficio – che poi scopriremo essere il patriarcato – è solo un sogno, metafora della condizione che lei e le sue compagne di scuola conoscono molto bene. “Girl Power” è un inno femminista che prende le mosse dall’omonimo romanzo di Jennifer Mathieu e che nasce tra i banchi di scuola. Il film si apre con una scena che spiega l’intento della regista: mostrare un percorso da un punto A a un punto B, tanto che nel finale, per pochi istanti, torna anche l’immagine di questo sogno ma con un esito diverso perché qui la protagonista, da ragazza timida e introversa, diventa eroina della rivoluzione femminista.
La commedia mostra come spesso le donne più o meno giovani si siano sentite almeno una volta: imbrigliate e mute perché così qualcuno, qualcosa le ha fatte sentire
Amy Poehler, la regista, è uno dei volti comedy più noti d’America (è Leslie Knope nella serie cult “Parks and Recreation”), ed è stata co-presentatrice, insieme a Tina Fey, del Golden Globe 2021. Lei pone al centro un gruppo di studentesse di una high school americana, unite per combattere e protestare contro il maschilismo di compagni di classe e professori. La preside (Marcia Gay Harden) e l’insegnante di lettere (Ike Barinholtz) sono osservatori passivi degli atti di discriminazione: non proteggono, non insegnano, voltano la testa, stando sempre dalla parte del più forte. Liste ignobili, commenti sessisti, provocazioni machiste, prodromi di atti ancora più violenti, sono all’ordine del giorno per Vivian e per le sue amiche messe da parte, sminuite, desiderate e guardate come pezzi di carne.
La discriminazione a scuola
Ragazze abituate a un certo modus operandi e a essere oggettivizzate, sessualizzate, sbranate dai maschi. Ragazzi che hanno scelto come leader il quarterback Mitchell Wilson (Patrick Schwarzenegger), incarnazione del maschilismo più becero e oltraggioso, simbolo di tutti quegli sportivi giustificati per gli atti violenti ai danni di studentesse proprio in quanto sportivi: un vanto per la scuola, l’emblema della mascolinità americana. Ragazze che sono state educate ad accettare, come dimostra Vivian che sussurra alla nuova compagna: “Ti volevo solo dire di ignorare Mitchell, […] è solo un idiota, […] se tieni la testa bassa passerà oltre e darà fastidio a qualcun altro”. Piccole donne abituate a sentirsi colpevoli: come una delle ragazze che viene mandata a casa dalla dirigente perché indossa la canottiera e con la sua fisicità può richiamare l’attenzione di compagni e docenti.
la colpevole ancora una volta è la femmina: è lei che concupisce, che invita e quindi è lei a dover pagare
Dopo essere stata inserita nella classifica come la più silenziosa, la più remissiva, Vivian conosce la nuova compagna di classe, Lucy (Alycia Pascual-Pena), che ha una coscienza femminista, e fonda la fanzine: Moxie. Un termine preso da un vocabolo molto in voga negli anni ’80 che significa “grinta”. Ispirandosi alla madre (Amy Poehler) e al suo passato da attivista ex Riot Grrrl (un movimento punk femminista che hanno come icona le Bikini Kill), mette in atto una lotta contro il “nemico” ma senza svelare la propria identità. C’è spazio per tutte e tutti nella battaglia, perché tra loro c’è anche Seth Acosta (Nico Hiraga): ragazzo sensibile, gentile, educato che fa innamorare Vivian e rompe il modello di maschio tossico che possiede e cancella.
La sorellanza
Uno dei punti forti del film è la sorellanza, il bisogno di stare insieme di queste giovani. Non c’è solo la necessità di rompere un perverso cerchio di norme e stereotipi, ma c’è anche la simpatia, nel senso etimologico del sentire insieme. L’amicizia tra loro, così diverse ma con esperienze tristemente simili, le fa diventare un fronte unico pronto ad agire per il bene comune. C’è Lucy, determinata e guerriera; ci sono Kiera (Sydney Park) e Amaya (Anjelika Washington), della squadra di calcio femminile stanche di essere sminuite rispetto ai maschi; c’è Claudia (Lauren Tsai), la migliore amica di Vivian che sente il peso del giudizio familiare; e CJ (Josie Totah), una trans che non viene accettata né dalla preside né dai suoi compagni.
Le ragazze innescano una piccola rivoluzione che si pone come scopo lo sradicamento del clima sessista, di discriminazione e indifferenza, dando vita a un movimento che sconvolge gli equilibri di quel piccolo mondo
Iniziano a parlarsi, confidarsi, condividere per cambiare il mondo, trovano il coraggio di parlare e la propria voce che singola è flebile, unita ad altre diventa un grido. Stelle e cuori disegnati sulle mani, e canottiere simbolo di libertà, sono le loro giovani armi per dimostrare che esistono, che anche loro hanno un valore, che devono avere gli stessi diritti dei compagni maschi.
Piccole donne ribelli, crescono
Il senso di Girl Power arriva forte e chiaro con una commedia che sembra leggera ma che punta a dire alle ragazze che devono necessariamente far sentire la loro voce, non soggiacere a chi pretende di avere su di loro un potere, perché anche una piccola prevaricazione potrebbe nascondere qualcosa di più pericoloso. Quando le “sorelle” si raccontano le une di fronte alle altre, si percepisce chiaramente quanto tutto parta proprio dal dialogo, dalla condivisione del “personale” che diventa politico, punto cardine del femminismo. Girl Power punta ad avere tante Vivian che durante la lotta inevitabilmente inciampa in errori dettati dalla giovane età ma che diventerà adulta e più matura: un invito a diventare donne coraggiose e più consapevoli di sé stesse, di ciò che vogliono e di ciò che non vogliono.